Mos maiorum - Liceo Classico Psicopedagogico Cesare Valgimigli
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Mos maiorum - Liceo Classico Psicopedagogico Cesare Valgimigli
8 8.1 I VALORI MORALI NELLA VITA PUBBLICA II mos maiorum. L'espressione mos maiorum, «le tradizioni degli antenati», sintetizza tutte le qualità attribuite ai Romani sin dai tempi dell'antica repubblica e costituisce perciò la chiave di interpretazione per capire a fondo la società romana. I maiores erano i capostipiti delle gentes, cioè delle casate familiari che traevano origine da un antenato comune: l'appartenenza ad una gens era l'elemento che distingueva gli aristocratici dai plebei che, al contrario, non potevano vantare antenati illustri. Presso i componenti di ciascuna gens gli avi erano oggetto di venerazione come divinità protettrici della famiglia: di loro si celebravano le virtù e si praticava il culto delle imagines, cioè dei loro ritratti, esposti nelle dimore aristocratiche come glorie familiari. I maiores costituivano, quindi, i modelli di comportamento da imitare sia nella vita pubblica che in quella privata; e proprio a questo spirito tradizionalista, legato alle glorie del passato e quindi fortemente conservatore, si riconduce l'esaltazione del mos maiorum, considerato dalla società come l'ideale supremo a cui fare riferimento. Quindi il mos maiorum era per i Romani quel complesso di valori e di tradizioni che costituiva il fondamento della loro cultura e della loro civiltà. Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto. Il mos maiorum era, in altri termini, l’insieme dei valori collettivi e dei modelli di comportamento a cui doveva conformarsi qualsiasi innovazione; rispettare il mos maiorum significava quindi incanalare le energie e le spinte innovative entro l’alveo della tradizione, così da renderle funzionali al bene comune. Cardine fondamentale di questo sistema di valori è infatti l’assoluta preminenza dello Stato, della collettività, sul singolo cittadino: questa è l’ottica da cui va esaminato qualunque valore e comportamento; così ad esempio non era tanto il coraggio in sé ad essere apprezzato, ma il coraggio che veniva dimostrato nell’interesse e per la salvezza dello Stato. Ma nei secoli, con l’espansione territoriale, la struttura delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca generò nel popolo romano un cambiamento. Da una parte si desiderava rinnovare i costumi rurali romani (mos maiorum) introducendo usanze e conoscenze provenienti dall’Oriente (si pensi alla filosofia, alla scienza), ma questo generò anche una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla diffusione di costumi moralmente discutibili persino oggi. Questo provocò una forte resistenza da parte degli ambienti più conservatori, che si scagliarono contro le culture extra-romane, accusate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità e di sacrilegio. Catone il Censore lottò accanitamente contro l’ellenizzazione del modo di vivere romano , a favore del ripristino del più antico mos maiorum, che aveva permesso al popolo romano di rimanere unito di fronte alle avversità, di sconfiggere ogni sorta di nemico. Aveva paura che la cultura greca divenisse portatrice di valori che minassero le basi sociali e l’assetto raggiunto dalla repubblica. La morale tradizionale era necessaria per mantenere immutata la repubblica. Con il passare dei secoli e con l’influenza delle usanze di nuove popolazioni, le tradizioni del mos maiorum si dispersero a favore della nuova cultura cristiana e delle esotiche usanze ellenistico-orientali. 8.2 Il vocabolario dei valori della tradizione. Le doti morali che facevano parte del mos maiorum e di cui il civis Romanus doveva dar prova sia nell'attività politica sia in campo militare, erano: la virtus, la qualità più importante per il cittadino perché da essa dipendeva l'onore personale e la dignità sociale. Il termine deriva infatti da vir, che designa non solo l'uomo di cui si celebrava enfaticamente il carattere fermo, il coraggio, la forza, l'energia, il valore, ma anche il soldato; la fides, il rispetto della parola data, la condotta leale in guerra e nei rapporti con gli altri popoli, sia alleati che nemici; la libertas, l'amore e la difesa della libertà, che sono valori insopprimibili per i Romani e si realizzano nel prevalere degli interessi dello Stato su quelli dell'individuo; la concordia, cioè l'armoniosa collaborazione tra tutti gli ordini sociali che ha come fine la salus rei publicae, cioè il benessere e la salvezza dello Stato; essa riguarda sia i magistrati in pace, sia i generali in guerra, sia la classe dei patrizi sia quella dei plebei; la iustitia, esercitata sia nei rapporti con i popoli alleati sia con quelli stranieri, che non dovevano mai essere aggrediti senza giuste motivazioni né oppressi o trattati dispoticamente. In questo senso i Romani introdussero il concetto di iustum bellum in base al quale le guerre dovevano essere combattute solo a scopo difensivo o per vendicare torti subiti; di fatto, questo fu un principio puramente teorico, perché gran parte delle guerre intraprese da Roma furono dettate dalla sua politica aggressiva e imperialistica; la clementia, che i Romani dovevano dimostrare nei confronti degli avversari vinti; la disciplina, che gli eserciti e i loro comandanti dovevano mantenere durante le imprese militari; per i soldati significava la totale obbedienza al comandante che, a sua volta, doveva dimostrare di essere all'altezza della situazione; la prudentia, che in campo militare significava per i generali non lasciare mai nulla al caso, valutare in modo attento e accorto tutte le circostanze, anteporre alle proprie ambizioni personali il bene dell'esercito e il buon esito dell'impresa.