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Attualità e inattualità della Costituzione italiana

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Attualità e inattualità della Costituzione italiana
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ATTUALITA’ E INATTUALITA’ DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Giovanni Missaglia
Come sta la Costituzione italiana? Il Presidente Ciampi ebbe modo di definirla una bibbia laica.
Anche la Costituzione, infatti, si può e si deve considerare –mutatis mutandis ovviamente – un
testo fondativo. E’ fondamento della nostra Repubblica, che lì affonda le sue radici; è fondamento
delle leggi ordinarie, che non possono violare le norme costituzionali; è fondamento di una
cittadinanza consapevole e partecipe, che nella Costituzione può davvero trovare basi culturali e
morali solide e fertili.
A me pare che in un Paese come il nostro, caratterizzato da un senso civico ridotto, sia proprio
quest’ultimo l’aspetto da enfatizzare. La conoscenza della Costituzione e, soprattutto, l’adesione ai
suoi valori, dovrebbero essere ovvi, dovrebbero costituire una sorta di “religione civile” capace di
unire tutti gli italiani al di là delle fisiologiche divisioni politiche, economiche e culturali che si
producono in qualsiasi società complessa. Non è così, purtroppo. E a me pare che questa sia una
ragione non secondaria dello scarso sentimento di appartenenza nazionale degli italiani. I quali,
come noto, si sentono assai spesso più legati al proprio campanile, alla famiglia, al luogo di lavoro.
Nulla di male in questo, se non fosse che troppo spesso le micro-appartenenze hanno dato e
danno origine a fenomeni deleteri per la costruzione di una cittadinanza matura, come appunto il
campanilismo o il familismo, per stare agli esempi citati.
La Costituzione è il risultato di una storia. Conoscerla, perciò, significa avere una maggiore
consapevolezza delle nostre radici, della nostra provenienza. Ma la Costituzione non è solo un
risultato. E’ anche un nuovo inizio. Conoscerla significa, allora, condividere – certo anche in modo
problematico e critico – i valori e le istituzioni che orientano la vita pubblica verso il futuro.
Insomma, non si tratta solo di sapere da dove veniamo, ma anche verso dove vogliamo o
dobbiamo andare.
Non è un caso che la nostra Costituzione, accanto a norme che certificano dei cambiamenti già
avvenuti (per esempio l’articolo 1 nel definire l’Italia una repubblica democratica assume e
costituzionalizza il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946), ne contiene delle altre
che si definiscono programmatiche, appunto perché indicano un programma per il futuro (per
esempio l’articolo 3 che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che
impediscono una piena libertà e una vera uguaglianza dei cittadini). La Costituzione è un
testamento, come disse Calamandrei, è un’eredità; ma è anche un compito, un impegno. E’ il
lascito di una grande storia collettiva, ma è anche un “destino” verso cui incessantemente
tendere.
L’immagine “destinale” non deve essere fraintesa. Le costituzioni, la nostra compresa, per tanti
versi non sono affatto una “Bibbia”. Non hanno la pretesa di contenere verità rivelate; hanno
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origine umana e dall’uomo possono essere modificate. Stanno dentro la storia e non sono immuni
dalla cifra del mutamento che è propria di ogni divenire storico. Per esempio, è convinzione
diffusa che la seconda parte della nostra carta costituzionale, quella che definisce l’assetto
istituzionale dello Stato, sia bisognosa di correzioni anche incisive e qualche importante modifica
è già stata introdotta.
Ma il punto qui è un altro. Hegel diceva che le costituzioni non si fanno a tavolino e che anzi non
vengono proprio “fatte”: esse “sgorgano” dallo spirito di un popolo. L’Assemblea Costituente ha
materialmente redatto le norme della Costituzione, certo. Ma non ha “fatto” nulla se non, per così
dire, “trascrivere” i risultati della storia viva e concreta degli anni della lotta di liberazione. Perciò,
si introducano tutti i cambiamenti ritenuti necessari e corrispondenti allo “spirito” del tempo. Ma
si sappia che ogni modifica artificiosamente proposta a vantaggio di questa o quella parte politica
è destinata al fallimento: o perché respinta dalla maggioranza del popolo italiano, come nel
referendum costituzionale del giugno 2006, o perché destinata a tradire lo spirito costituzionale
che non è mai “parziale” anche quando ha un’origine “partigiana”. La nostra Costituzione fu votata
da tutte le forze antifasciste che pure provenivano da culture politiche assai diverse: il
cattolicesimo democratico, il marxismo e il liberalismo.
La Costituzione è sempre la definizione di un terreno comune. Quando, come in questi anni, si
tende a farne un uso di parte, a proporne modifiche fatte apposta per dividere; quando la
definizione delle regole del gioco, dentro cui deve svolgersi il fisiologico conflitto politico e sociale
che caratterizza le società pluraliste, diventa essa stessa un’arma politica fra le altre invece che
terreno di una ricerca comune, conoscere la Costituzione e diffonderne lo spirito diventa ancora
più importante.
Alla luce di queste considerazioni, mi pare, può e deve essere affrontato il tema dell’attualità della
Costituzione. Al riguardo, metto in fila alcune rapide considerazioni:
1) Non si dovrebbe mai cedere alla retorica del “nuovismo”, delle innovazioni ad ogni costo,
della modernizzazione indistinta, specie in una materia delicata come questa. La
Costituzione non è una legge ordinaria, non invecchia con la stessa rapidità. La Costituzione
fissa i principi generali del vivere comune e dell’ordinamento istituzionale. Definisce le
regole del gioco sulla cui base avviene la legiferazione ordinaria. Ma proprio per questo, le
regole costituzionali vanno trattate con grande prudenza. Mi si passi un’ analogia un po’
dozzinale: le squadre di calcio possono cambiare schemi, tattiche, strategie, allenatori, ma
non le regole del gioco! Lo si può fare qualche volta; ma solo con l’accordo degli avversari e
non per interessi di parte. Del resto, una Costituzione di sessant’anni è ancora molto
giovane. La Costituzione americana, modificata solo da alcuni emendamenti molto
circoscritti, è ancora quella del 1787!
2) Questo non significa negare la necessità di alcuni aggiornamenti. In particolare, c’è una
questione che attraversa il dibattito politico da molti anni. Gustavo Zagrebelsky, uno dei
nostri maggiori costituzionalisti, la esprime così: “Dove un’esigenza di rinnovamento è
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invece avvertita è nell’organizzazione della macchina di governo, centrale e periferica. Qui,
si ritiene, c’è bisogno non di uno stravolgimento ma di un adeguamento al bisogno
crescente di decisioni efficienti. Si è detto giustamente che una democrazia che non sa
decidere si condanna alla subalternità ad altri poteri di fatto, che democratici non sono. Il
rafforzamento dei poteri del governo nel perseguire l’attuazione del suo programma, la
semplificazione e l’alleggerimento della macchina pubblica, la determinazione più chiara
dei livelli di competenze e di responsabilità; tutto questo è da farsi, ma non è la riforma
della Costituzione, ne è l’ordinaria manutenzione”. Un discorso analogo potrebbe essere
fatto per il superamento del bicameralismo, la riduzione del numero dei parlamentari, una
più incisiva disciplina della libertà di informazione (ai tempi della Costituente neppure c’era
la televisione!) e così via. Ogni “aggiustamento” è legittimo. Ma un conto è aggiustare, un
conto è stravolgere.
3) Negli ultimi due decenni, il tema dell’attualità della Costituzione ha cambiato
completamente di segno. Potrei dire, con una semplificazione non fuorviante, che
l’aggettivo “inattuale”, riferito alla Costituzione, ha smesso di significare “non
sufficientemente attuata”, “ancora da attuare”, ed è invece diventato sinonimo di
“invecchiata”, “superata”. E’ un passaggio che – ad avviso mio ma soprattutto di molti
costituzionalisti e dello stesso popolo italiano che nella sua maggioranza ha respinto, nel
referendum del giugno 2006, una proposta di modifica costituzionale così vasta da dare
origine, di fatto, ad una nuova Costituzione – è un passaggio, dicevo, infondato. O, se si
preferisce, fondato sull’illusione che la crisi del sistema politico italiano potesse essere
imputabile alla Costituzione e, perciò, superabile proprio agendo sul sistema costituzionale.
Ma la crisi del sistema politico –dei partiti, della loro credibilità, del loro radicamento, delle
loro basi ideologiche – è altra cosa dal sistema costituzionale –che invece definisce i diritti
e i doveri dei cittadini e l’architettura istituzionale dello Stato.
4) Penso, invece, che si dovrebbe ricominciare a parlare di inattualità della Costituzione nel
primo senso che ho segnalato: la Costituzione è inattuale perché non è ancora stata
sufficientemente attuata. Consiglio sempre un esercizio salutare: leggere la Costituzione e
poi guardarsi intorno. Si scoprirà che il progetto costituzionale è ancora lontano dall’essere
realizzato. A puro titolo di esempio, mi limito a segnalare i dati più evidenti. Quanti sono i
giovani capaci e meritevoli che ancora non possono giungere ai più alti gradi dello studio a
causa della loro condizione sociale (art. 34)? O gli inabili che non possono fruire di
un’idonea formazione professionale per meglio inserirsi nella società (art. 38)? E – tema
quanto mai “attuale” - quanti lavoratori non percepiscono un salario sufficiente ad
assicurare a sé e alla loro famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36)? E quante sono le
discriminazioni sessiste di cui le donne sono vittime nelle famiglie, nella società e nel
mondo del lavoro, a dispetto di quanto statuito dagli articoli 3 e 37 della Costituzione? Se
dal campo dei diritti sociali passiamo a quello dei diritti civili, il panorama non è più
consolante. Possiamo considerare compiuto il cammino della libertà religiosa se oggi molti
fedeli non possono neppure disporre di un luogo di culto dove pregare, o se le minoranze
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religiose non hanno alcuna possibilità di far conoscere la loro storia neppure nelle scuole
pubbliche (artt. 8 e 19)? Qualcuno si sentirebbe di dire che tutti hanno identico accesso al
diritto di difesa a prescindere dal loro reddito (art. 24)? O che la pena, nonostante alcune
esperienze d’avanguardia di molti operatori carcerari, consente davvero la realizzazione del
fine costituzionale del reinserimento del detenuto (art. 27)? E infine, per venire ai
fondamenti della stessa democrazia: non è forse vero che ancora oggi il potere politico è
strettamente intrecciato al potere economico e al potere mediatico? Si può, con onestà
intellettuale, negare che l’intreccio tra il denaro e il potere è, ancora oggi, un ostacolo alla
realizzazione di una democrazia compiuta?
5) L’elenco potrebbe e dovrebbe continuare. Non per misconoscere gli enormi progressi che
sessant’anni di vita costituzionale e repubblicana hanno consentito. Non è vero che non
cambia mai nulla. Oggi, proprio grazie alla Costituzione, l’Italia è un Paese democratico, per
quanto la sua democrazia sia imperfetta; e i cittadini italiani, tanto per fare esempi
clamorosi, possono, entro certi limiti che certo vanno superati, accedere agli studi e alle
cure sanitarie a prescindere dal loro reddito. Le donne hanno conquistato il diritto di voto e
la guerra d’offesa, triste memoria dell’Italia fascista, è esclusa dall’ordinamento
costituzionale. Ma proprio queste conquiste di progresso e di civiltà ci aiutano a vedere il
tanto, forse il troppo, che ancora resta da fare. E ci insegnano che la Costituzione, in
fondo, dipende da noi.
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