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PANCREAS ARTIFICIALE
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA C.D.L. INGEGNERIA ELETTRONICA BIOMEDICA ALESSANDRO TOGNETTI TESINA PER IL CORSO DI ORGANI ARTIFICIALI E PROTESI PANCREAS ARTIFICIALE INDICE 1. IL PANCREAS ARTIFICIALE E LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO 1 - 1.1 Cenni alla fisiologia del pancreas……….…………………………..1 1.2 La regolazione del glucosio…………………………….……………2 1.3 Secrezione insulinica………………………………….……………..6 1.4 Il diabete mellito………………………….……………..……………7 1.5 Il pancreas artificiale…………………………………..…………….9 2. I SENSORI DI GLUCOSIO 11 - 2.1 I sensori colorimetrici………………………………………………..15 2.2 Sensore ottico a fluorescienza……………………………………….16 2.3 Sensore a infrarosso………………………………………………….17 2.4 Sensore polarimetrico………………………………………………..17 2.5 Sensore potenziometrico……………………………………………..18 2.6 Sensori potenziometrici allo stato solido:ENFET………………..…20 2.7 Sensori amperometrici……………………….……………………….22 2.8 Sensore termico…………………………………………………...…..22 2.9 Sensori meccano chimici……………………………………………...23 2.10 Problematiche con i sensori in vivo………………………………...23 2.11 Metodi alternativi per la misura di concentrazioni di glucosio..…25 3. CONTROLLO DEL PANCREAS ARTIFICIALE 27 - 3.1 Algoritmi di controllo nei pancreas artificiali………………………27 3.2 Determinazione dei parametri di controllo…………………………31 3.3 Metodi adattivi………………………………………………………..32 3.4 controllo a catena aperta o parzialmente aperta…………………...35 4. - POMPE DI INSULINA IMPIANTABILI 37 4.1 Dove impiantare la pompa e dove infondere l’insulina……………37 4.2 Struttura di una pompa impiantabile di insulina…………………..38 4.3 Eesperienza clinica e complicazioni con le pompe impiantabili di insulina……………………………………………….39 APPENDICE SUGLI ELETTRODI 1. IL PANCREAS E LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO 1.1 CENNI ALLA FISIOLOGIA DEL PANCREAS Il pancreas è un organo a struttura ghiandolare dotato di attività sia endocrina1 che esocrina2. È situato trasversalmente nella parte superiore dell’addome, dietro lo stomaco, tra il duodeno e la milza. Ha forma allungata e appiattita e pesa circa 75 g. È costituito di tre parti (testa, corpo e coda) ed è dotato di due dotti escretori che scaricano il succo pancreatico, ricco di enzimi digestivi, nel duodeno (vedi Figura 1). La funzione esocrina del pancreas è, quindi, quella di supporto all’apparato digerente. La parte endocrina del pancreas, circa il 2% della massa totale, è costituita dagli isolotti di Langerhans (vedi ) che sono dei cluster di cellule (se ne contano circa un milione) di circa 150 µm di diametro, altamente vascolarizzati e innervati singolarmente. Ogni cluster contiene, principalmente, due tipi di cellule endocrine: le alfa cellule e le beta cellule. Le cellule alfa occupano le zone laterali e costituiscono il 15% della massa degli isolotti di Langerhans. Secernono glucagone, ormone che aumenta la demolizione di glicogeno nel fegato, facilita il deposito di glucosio nei muscoli, stimola la scissione dei lipidi e aumenta l’incorporazione di acidi grassi nel fegato e nei muscoli. Le cellule beta, situate centralmente, comprendono l’80% della massa. Secernono insulina ormone fondamentale per l’organismo in quanto è il principale segnale di controllo del metabolismo del glucosio. Ha un’azione ipoglicemizzante sia facilitando l’ingresso del glucosio nei tessuti insulino-dipendenti (muscolo, tessuto adiposo), sia inibendo la produzione epatica del glucosio. Dotto biliare Dotto pancreatico Dotti escretori Coda del Pancreas Corpo del Pancreas duodeno Testa del Pancreas 1 Endocrina: ghiandola a secrezione interna, ossia priva di dotto escretore e altamente vascolarizzata, che riversa direttamente nel sangue le sostanze da essa elaborate. 2 Esocrina: ghiandola che riversa il prodotto della sua attività all’esterno del corpo o in cavità comunicanti con l’esterno. Figura 1: il Pancreas Figura 2: isolotti di Langerhans Vasi Sanguigni Come tutte le ghiandole endocrine gli isolotti di Langerhans secernono i loro ormoni direttamente dentro il flusso sanguigno,tramite i capillari che li circondano. In maniera tale questi ormoni hanno accesso a tutto l’organismo. 1.2 LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO Il ruolo fondamentale del pancreas è quello di mantenere la concentrazione di glucosio nel sangue in un range molto stretto. Nel soggetto non diabetico la glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) al mattino, dopo una notte di digiuno, oscilla tra 80-95 mg /dl; dopo un’assunzione di un pasto, anche ricco di carboidrati, essa non aumenta oltre i 130-140 mg/dl. La glicemia ha oscillazioni tutto sommato modeste se si considera l’alternarsi tra periodi di digiuno (soprattutto notturno) e di alimentazione, questi ultimi, tra l’altro, molto diversi per quantità e qualità delle calorie ingerite. È da notare come il glucosio venga utilizzato ai fini energetici da tutti i tessuti del nostro organismo. Le escursioni della glicemia vengono limitate da un sottile equilibrio tra quantità di glucosio che entra nel sangue e quella che viene utilizzata, istante per istante, dai tessuti dell’organismo (vedi Figura 3). In caso di ipoglicemia nei tessuti glucosio dipendenti si ha una drammatica sofferenza tissutale Assorbimento costante di glucosio nelle 24 ore TESSUTI GLUCOSIO DIPENDENTI ALIMENTI -Il più importante tessuto glucosio dipendente è il sistema nervoso centrale - i glucosio è l’unico substrato ai fini energetici nei tessuti glucosio dipendenti GLUCOSIO NEL SANGUE RILASCIO FEGATO ALTRI TESSUTI Meccanismi di assorbimento Diversi tra loro Figura 3: schema semplificato della fisiologia del metabolismo glucidico Questo equilibrio tra glucosio che entra nella circolazione sanguigna e glucosio assorbito dai tessuti è garantito dall’azione di due “segnali” di controllo: l’insulina e il glucagone. Sono entrambi ormoni secreti in risposta alla concentrazione di glucosio nel sangue, ma operano in maniera opposta (vedi Figura 4). Basso livello di glucosio nel sangue Alto livello di glucosio nel sangue Glucagone rilasciato dalle cellule alfa del pancreas Insulina rilasciata dalle cellule beta del pancreas Le cellule dei tessuti insulino dipendenti assorbono glucosio dal sangue Il fegato rilascia glucosio nel sangue Figura 4: il controllo del glucosio L’insulina viene secreta dalle cellule beta del pancreas nella vena porta, da questa va nel fegato (suo principale sito di degradazione) e si distribuisce nell’intero organismo attraverso la circolazione periferica. Ha un’azione ipoglicemizzante (fa diminuire la concentrazione di glucosio nel sangue) sia facilitando l’assorbimento del glucosio da parte dei tessuti insulino dipendenti (muscolo, tessuto adiposo) sia inibendo la produzione epatica del glucosio. I tessuti insulino dipendenti sono tessuti che assorbono il glucosio in relazione alla presenza di insulina, maggiore è la quantità di insulina maggiore è l’assorbimento di glucosio da parte di questi tessuti. Il pancreas opera, tramite l’insulina, un controllo sulla concentrazione del glucosio tipico dei sistemi a catena chiusa: un aumento del livello del glucosio nel sangue stimola un aumento della secrezione di insulina che, a sua volta, fa diminuire la concentrazione di glucosio nel sangue. Nella Figura 5 cerchiamo di schematizzare il sistema di controllo glucosio insulina. Tessuti glucosio dipendenti produzione FEGATO GLUCOSIO assorbimento Tessuti insulino dipendenti β CELLULE DEL PANCREAS INSULINA secrezione RENI degradazione Figura 5: Sistema di regolazione glucosio-insulina. Le frecce nere rappresentano flussi, le frecce rosse i segnali di controllo. Illustriamo nel grafico sottostante (Figura 6) le escursioni giornaliere della glicemia e dell’insulinemia in un individuo sano; possiamo notare come questi due parametri siano ben collegati tra loro e questo testimonia il buon funzionamento del sistema di controllo glucosio-insulina. Sono da notare le escursioni postprandiali sia della glicemia che dell’insulinemia che si spiegano come risposta alle assunzioni di zuccheri e di carboidrati. Glicemia mg/dl Ora del giorno Insulinemia µU/ml Figura 6: escursioni giornaliere di glicemia e insulinemia Il glucagone, come già detto in precedenza, opera un controllo opposto rispetto all’insulina. Viene secreto maggiormente quando la concentrazione sanguigna di glucosio è bassa: agisce sul fegato facendo rilasciare nel flusso sanguigno il glucosio che ha immagazzinato. Quando, per qualche ragione, il sistema di regolazione non funziona si possono avere due tipi di problemi: l’iperglicemia o l’ipoglicemia. In caso di ipoglicemia, stato patologico che si presenta spesso nei pazienti diabetici in cura con l’insulina, si ha una drammatica sofferenza tissutale dei tessuti glucosio dipendenti che può portare al coma, praticamente il sistema nervoso centrale resta senza energia. In caso di iperglicemia, con l’aumento della glicemia oltre i 180 mg/dl, il glucosio viene perso dal rene insieme a crescenti Ora delquantità giorno di acqua. Il risultato è la perdita di liquidi corporei con aumento di diuresi e sete. Inoltre vista l’impossibilità di usare il glucosio come combustibile spinge l’organismo a usare come fonte di energia i grassi con liberazione nel sangue di acidi grassi che vengono convertiti in chetoni tramite la loro ossidazione nel fegato. Questo porta alla chetoacidosi che può portare al coma se non si interviene tempestivamente con la somministrazione di insulina. 1.3 SECREZIONE INSULINICA Le caratteristiche della secrezione insulinica sono fondamentali per capire il modo con cui il glucosio controlla la secrezione di insulina e quindi per poter realizzare dei sistemi che sostituiscano la funzione pancreatica in caso di malattia. Le principali caratteristiche della secrezione di insulina si possono illustrare facendo riferimento alla risposta delle beta cellule pancreatiche a dei gradini di concentrazione di glucosio (vedi Figura 7) ottenuta da esperimenti su pancreas isolato e perfuso di animale. Secrezione di insulina normalizzata Concentrazione di glucosio nell’arteria Pancreatica [mg/dl] Figura 7.Risposta delle beta cellule a uno stimolo a gradini di glucosio Possiamo notare dalla Figura 7 un profilo bifasico della risposta: un aumento a gradino della glicemia provoca, nella prima fase, un picco rapido di secrezione insulinica che è seguito da una seconda fase di secrezione più lenta che cresce al perdurare dello stimolo. Un’altra caratteristica importante è il potenziamento della risposta: un primo stimolo di glucosio può rendere il pancreas più sensibile a un secondo stimolo. Introduciamo ora un modello strutturale (Figura 8) utile per spiegare questi meccanismi di secrezione. Il profilo bifasico della risposta pancreatica è interpretato, nel modello, come conseguenza dell’esistenza di due pool di insulina in equilibrio dinamico all’interno del pancreas: un pool labile che contiene l’insulina pronta ad essere rapidamente rilasciata (prima fase) e un pool stabile contenente l’insulina che viene rilasciata al perdurare dello stimolo glicemico (seconda fase). GLUCOSIO SINTESI DI INSULINA K21 ISULINA STABILE K12 INSULINA LABILE SECREZIONE DI INSULINA Figura 8: modello strutturale della secrezione di insulina.K12 e K21 sono parametri stocastici. Le frecce continue indicano flussi, quelle tratteggiate i segnali di controllo. I modelli strutturali della secrezione insulinica hanno facilitato la messa a punto degli algoritmi di controllo per il pancreas artificiale di cui iniziamo a parlare a partire dal paragrafo 2. 1.4 IL DIABETE MELLITO Il diabete è la malattia che si presenta quando le funzioni endocrine del pancreas sono alterate o sono totalmente assenti. Secondo quello che è stato detto nei precedenti paragrafi possiamo capire come questa malattia si rifletta sul metabolismo del glucosio portando a condizioni di iperglicemia. Un soggetto viene definito diabetico in relazione alla sua concentrazione sanguigna di glucosio, espressa in mg di glucosio su litro di sangue (mg/l).Esistono vari test per il riscontro della malattia al variare del test varia anche la soglia glicemica secondo la quale un individuo viene definito diabetico. Elenchiamo qui i tre test principali: • Test 1: si misura la glicemia con almeno 8 ore di distanza dall’ultimo pasto. • Test 2: si misura la glicemia in qualsiasi ora del giorno senza riguardo della lontananza dai pasti. • Test 3: si misura la glicemia dopo un carico di glucosio di almeno 75 g. Test 1 Test2 Test 3 Diabetico maggiore di 126 mg/dl Maggiore di 200 mg/dl Maggiore di 200 mg/dl Normale Minore di 110 mg/dl Minore di 140 mg/dl Tabella 1: soglie glicemiche che definiscono un paziente diabetico al variare del test effettuato. • Diabete mellito di tipo I o insulino dipendente Il diabete di tipo I risulta dal venire meno delle funzioni endocrine del pancreas e specificatamente dalla morte delle cellule deputate alla produzione di insulina (le beta cellule), probabilmente per cause autoimmunitarie; colpisce prevalentemente persone con meno di 35 anni. Questa patologia vista la carenza, il più delle volte assoluta, di insulina sfocia nell’iperglicemia e nel coma chetoacidosico (vedi 1.2). A livello diagnostico questa patologia viene trattata con la somministrazione controllata di insulina in maniera da portare entro valori normali la concentrazione di glucosio nel sangue. • Diabete mellito di tipo II o insulino indipendente In caso di diabete di tipo II viene prodotta insulina ma in maniera insufficiente alle necessità organiche, inoltre, spesso, l’organismo è resistente agli effetti dell’insulina. Nella maggior parte dei casi non serve la somministrazione di insulina, ma basta una dieta corretta e la somministrazione di farmaci per via orale. 1.5 IL PANCREAS ARTIFICIALE Bisogna far notare che, quando si parla di pancreas artificiale, si intende un dispositivo che ripristina una sola funzione pancreatica: quella di controllo sulla concentrazione sanguigna del glucosio, funzione che è, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, indispensabile alla vita umana. Consideriamo di avere un soggetto diabetico insulino-dipendente (tipo I) , l’obiettivo è quello di sviluppare un sistema artificiale a catena chiusa in grado di riprodurre la funzione beta-cellulare e di rendere normale il metabolismo del glucosio del paziente. Il pancreas artificiale dovrà essere in grado di “sentire” in tempo reale la concentrazione di glucosio nel sangue in modo continuativo e, nel caso che questa sia troppo alta (o troppo bassa), di normalizzarla tramite una infusione di una quantità ben determinata di insulina3. L’idea di base è, dunque, quella di avere un dispositivo impiantabile che sopperisca alle funzioni mancanti e che svincoli il paziente da numerose e fastidiose autoanalisi e iniezioni di insulina4.Il maggior vantaggio di un pancreas artificiale, rispetto ai metodi tradizionali di cura del diabete, è quello che la glicemia viene controllata secondo per secondo e ,quindi , si ha una maggiore efficienza terapeutica che porta a una minor incidenza dei danni causati dal diabete. Nella Figura 9 possiamo vedere uno schema di principio di questo sistema. INFUSORE SENSORE ALGORITMO DI CONTROLLO Figura 9: schema di principio di un pancreas artificiale 3 in caso di ipoglicemia viene iniettato glucosio normalmente un paziente diabetico analizza il suo stato glicemico 2-3 volte al giorno tramite dei sensori portatili e ,in relazione alla glicemia misurata, si applica delle iniezioni di insulina in quantità determinate 4 Descriviamo ora le parti principali di questo sistema: • SENSORE: è un dispositivo per la misura continuativa della glicemia. Vedi capitolo 2. • CONTROLLORE: è un algoritmo di controllo che calcola la velocità di infusione di insulina ed, eventualmente, di glucosio 3 in relazione alla risposta del sensore. Vedi capitolo 3. • POMPA: realizza l’infusione di insulina o, come già visto, di glucosio 3 su comando del controllore. Vedi capitolo 4. 2. I SENSORI DI GLUCOSIO Per la realizzazione di un pancreas artificiale è indispensabile la presenza di un sensore che misuri in tempo reale e in continuità la concentrazione sanguigna di glucosio; il dispositivo dovrà, inoltre, essere impiantabile nel corpo umano per avere un continuo monitoraggio di glucosio “in situ”. Elenchiamo i principali requisiti per un sensore di glucosio per il monitoraggio continuo “in vivo” della glicemia: • Deve misurare concentrazioni di glucosio in sangue o in tessuti interstiziali che variano da 36 mg/dl a 360 mg/dl in maniera definita e ripetibile • Tempo di risposta dell’ordine di 1-2 minuti ( tempo di risposta del pancreas ),in maniera tale da seguire dinamicamente le variazioni di glicemia • Risposta indipendente dall’idrodinamica dei fluidi corporei, es. flussi sanguigni • Stabile meccanicamente e chimicamente • Impiantabile: - biocompatibile: sterile, atossico, stabile - piccolo - non deve aver bisogno di frequenti calibrazioni - resistente all’ambiente aggressivo che si ha nel corpo umano - facile rimozione5 Possiamo subito far notare l’estrema difficoltà di ottenere un dispositivo che abbia tutte le caratteristiche elencate, cosa che limita di molto l’effettiva realizzazione di un pancreas artificiale. Nella quasi totalità dei casi, per il monitoraggio della glicemia sono usati dei biosensori enzimatici (per richiamare alcune nozioni sugli enzimi vedi nota 6 ). I biosensori sono dispositivi costituiti da un elemento sensibile di origine biologica accoppiato a un sistema in grado di trasdurre il segnale biologico in un segnale quantificabile. Sono intrinsecamente adatti ad essere impiegati per misure di concentrazione di specie chimiche. Il principio di funzionamento dei biosensori enzimatici si basa sul fatto che gli enzimi sono molecole molto selettive che riconoscono il proprio substrato in mezzo a molecole diverse e vi reagiscono. Nel caso di misure di concentrazione di glucosio vengono usati biosensori enzimatici che sfruttano come elemento sensibile l’enzima glucosio-ossidasi (GOD) , questo enzima6 catalizza l’ossidazione del glucosio secondo la relazione: 5 si ha rimozione in caso di ricondizionamento: es. il sensore viene ricaricato di enzima e sterilizzato. Vedi pagine successive 6 nota sugli enzimi: gli enzimi sono i catalizzatori delle reazioni degli organismi viventi (fanno si che la velocità di reazione di una reazione energeticamente favorita salga di alcuni ordini di grandezza); sono proteine globulari dal peso molecolare molto alto ( 12000-106 dalton ) sono molto più grandi del substrato (sostanza catalizzata che reagisce, Glucosio + GOD(FAD+) → acido gluconico + GOD(FADH2)← ossidazione glucosio (1) GOD(FADH2) + O2 → H2O2 + GOD(FAD+)← riossidazione GOD(FADH2) (2) Il FAD è un flavina che funziona da cofattore dell’enzima GOD a cui è legato. I biosensori più studiati sono di tipo elettrochimico e sfruttano la reazione di ossidoriduzione vista sopra, in figura 10 possiamo vedere un tipi co biosensore enzimatico. La superficie del trasduttore è a contatto con l’enzima E ( nel nostro caso è il GOD ) che viene trattenuto tramite una membrana sottile. In fase di misurazione il sensore viene immerso nella soluzione da esaminare e il substrato S (nel nostro caso il glucosio ) diffonde attraverso la membrana e reagisce con l’enzima. I prodotti P della reazione (acido gluconico o H2 O2 ) diffondono verso il trasduttore per essere trasformati in un segnale quantificabile. Figura 10: schema di principio di un biosensore enzimatico Riportiamo le equazioni che descrivono relazioni tra E,S,P: nel nostro caso il glucosio);molti enzimi hanno bisogno di cofattori per agire (nel nostro caso il cofattore del GOD è il FAD). Gli enzimi, come tutti i catalizzatori, non vengono consumati nella reazione. K1 K2 E + S ⇔ ES ⇒ E + P (3) K-1 Ki sono le costanti cinetiche per le reazioni. Ricaviamo la velocità di reazione enzimatica (d[P]/dt) ovvero la velocità di formazione del prodotto. Questo parametro è importante per ricavare i tempi di risposta di un sensore enzimatico. d]S]/dt = -K1 [E] [S] + K-1 [ES] d[ES]/dt = K1 [E] [S] – K-1 [ES] – K2 [ES] d[E]/dt = K2 [ES] + K-1 [ES] – K1 [E] [S] d[P]/dt = K2 [ES] Conservazione enzima: [E0] = [E] + [ES] , E0 è la concentrazione iniziale di enzima Visto che [E0] non può variare: d[E]/dt = d[ES]/dt Stato stazionario: [ES]=cost ⇒ d[ES]/dt = 0 d[ES]/dt = K1 [E] [S] – (K -1 + K2 )[ES]= 0 [ES] = K1 [E] [S] / (K -1 + K2) = K1 ([E0] - [ES]) / (K -1 + K2) ⇒ [ES] = K1 [E0][S] / ( (K -1 + K2)/ K1 + [S] ) ⇒ V = d[P] / dt = K2 [ES] Vm[S] Km + [S] (4) L’equazione 4 rappresenta l’equazione di Michaelis e Menten, con Vm= K2E0 e Km= (K -1 + K2) / K1. Il valore di Km per il GOD è pari a 180 mg/dl. Figura 11: rappresentazione grafica dell equazione di Michaelis e Menten Il tempo di risposta di un sensore enzimatico è determinato anche dalla diffusione del substrato verso la membrana e del prodotto verso il trasduttore (con una cinetica determinata dalla legge di Fick). In conclusione la velocità di reazione dipende dalla concentrazione dell’enzima tramite Vm, Km, dallo spessore della membrana e dello strato enzimatico (più sono sottili più bassi saranno i tempi di misura) e dalle costanti di diffusione del substrato verso la membrana e del prodotto verso il trasduttore. Riguardo a questi argomenti si può fare riferimento alle dispense di bioingegneria. 2.1. SENSORI COLORIMETRICI Sono i sensori più usati dai pazienti diabetici nel controllo del diabete a ciclo aperto. Il paziente si procura una goccia di sangue (circa 3µl) e la mette in contatto con striscioline di carta impregnate di enzima (glucosio-ossidasi e perossidasi) e di un substrato omogeneo (un cromogeno che, ossidandosi fa cambiare di colore la striscia di carta). Vediamo le reazioni in gioco: GOD Glucosio + O2 → acido gluconico + H2O2 (5) PEROSSIDASI H2O2 + substrato cromogeno ridotto → H2O + cromogeno ossidato (6) L’equazione (5) è la reazione somma delle reazioni (1) e (2), rappresenta, quindi, l’ossidazione del glucosio catalizzata dal GOD. In seguito, il perossido di idrogeno (H2O2) viene ridotto ad acqua tramite l’azione dell’enzima perossidasi e con l’uso di un cromogeno che si ossida assumendo una colorazione caratteristica. L’intensità del colore del cromogeno ossidato dipende dalla quantità di H2O2 presente e quindi dalla quantità di glucosio presente (vedi (5)). Ricapitolando possiamo legare la concentrazione di glucosio al colore, più propriamente assorbanza, che assume il cromogeno ossidato. La misura può essere fatta trasmettendo con un fotodiodo un segnale luminoso alla strisciolina di carta e raccogliendo con un led il segnale riflesso che sarà modulato dall’assorbanza della superficie; in seguito, convertendo in digitale il segnale ricevuto, possiamo avere una comoda lettura della glicemia. Vantaggi: - Bassi costi - Selettività (è sempre legata all’uso di GOD) - Semplice da usare Svantaggi: - Errore troppo alto: circa il 15% che aumenta in casi di ipo o iperglicemia - Fastidioso da usare ( visto che in un giorno un paziente dovrebbe fare dalle 2 alle 7 misurazioni ). Non si presta a seguire dinamicamente le variazioni di glicemia; ad esempio nella notte si possono avere casi di ipoglicemia senza che il paziente se ne accorga. In conclusione questo tipo di sensori non sono assolutamente adatti per la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa, soprattutto per l’incapacità di tale metodo di seguire le variazioni in tempo reale. Restano, in ogni modo, i sensori più usati dai pazienti diabetici di tutto il mondo; dal momento che sono usati con il metodo a catena aperta visto in nota 4. 2.2. SENSORE OTTICO A FLUORESCIENZA In questo tipo di sensore7 si sfrutta la capacità della proteina concanavalina A (conA) di legarsi con zuccheri. In sostanza viene immobilizzata la con-A all’interno di una membrana per dialisi a forma tubolare. All’interno della membrana viene intrappolato destrano legato a FITC ( sostanza fluorescente ).Il tutto viene montato sull’estremità di una fibra ottica che investe l’interno della membrana con un segnale luminoso ( di intensità e frequenza nota ) che eccita la fluorescenza delle molecole di destrano; in seguito il segnale riflesso attraversa la fibra ottica e arriva a un ricevitore ottico. Chiaramente l’intensità del segnale riflesso cresce al crescere delle molecole di destrano che non sono legate alla con-A. Quando questo tipo di sensore viene immerso nella soluzione da esaminare, il glucosio, che riesce ad attraversare la membrana perché è più piccolo del destrano, concorre col destrano nel legarsi con la con-A; un determinato numero di molecole di glucosio si legano alla con-A e liberano il destrano all’interno della membrana. La glicemia modula l’intensità del segnale riflesso: maggiore è la concentrazione di glucosio, maggiore è la quantità di molecole di destrano libere e, quindi, maggiore è l’intensità del segnale riflesso. Figura 12: schema di principio di u un sensore ottico a luminescenza Pregi: - Risposta lineare nel range da 54mg/dl a 396 mg/dl - Tempi risposta sui 5 min - Specifico per il glucosio visto che nel sangue non sono presenti altri zuccheri 7 questo tipo di sensori sono ancora in fase di sperimentazione. Difetti - Difficoltà di miniaturizzazione, cosa che rende impossibile l’uso di questi sensori per essere impiantati nel caso di un pancreas artificiale a catena chiusa. - Il sangue si comporta da interferente estinguendo la fluorescenza per azione dell’ossigeno trasportato, questo difetto è per ora insormontabile e impedisce l’effettivo utilizzo pratico di questo tipo di sensori. 2.3. SENSORE A INFRAROSSO È costituito essenzialmente da uno spettrofotomero 8 a infrarosso che misura lo spettro di onde che passano attraverso un braccio e da un sistema di elaborazione che calcola i livelli di glucosio tramite algoritmi complessi. La calibrazione varia da paziente a paziente visto che per ogni paziente è diversa la legge che lega lo spettro a infrarossi con il livello glicemico; questo sensore va calibrato almeno due volte l’anno confrontando la risposta con quella di un sensore di riferimento che preveda il prelievo di sangue. Pregi - Non invasivo Difetti - Non troppo selettivi; gli algoritmi di elaborazione non potranno mai isolare completamente dallo spettro infrarosso misurato il solo contributo dovuto al glucosio. La non selettività è una caratteristica piuttosto comune ai sensori non invasivi - Costoso - Ingombrante; questa caratteristica non lo rende adatto all’utilizzo per un pancreas artificiale. - Va calibrato al cambiare delle condizioni fisiologiche del paziente, ad esempio per perdita o aumento di peso 2.4. SENSORE POLARIMETRICO Il principio di funzionamento di questi sensori è quello che una soluzione contenente molecole chirali ( il glucosio è una molecola chirale destrorotatoria ) investita da un onda piana polarizzata linearmente fa ruotare il piano di polarizzazione dell’onda di una quantità dipendente dalla concentrazione della molecola chirale. Nella pratica si misura la quantità di glucosio presente nell’umore acqueo dell’occhio e la si lega alla quantità di glucosio nel sangue. Il metodo consiste nell’investire l’occhio con un onda elettromagnetica piana e polarizzata linearmente (con polarizzazione nota ), nel ricevere l’onda riflessa e di misurarne la polarizzazione. Poi si calcola la variazione di polarizzazione rispetto all’onda iniziale e si lega mediante relazioni note alla concentrazione di glucosio. 8 lo spettrofotomero è uno strumento che misura lo spettro di assorbimento o trasmissione di una determinata soluzione. Pregi - Non invasivo Difetti - poco selettivo, il glucosio non è l’unica molecola chirale presente nell’umore acqueo dell’occhio - ingombrante: è costituito da una sorgente luminosa, un polarizzatore e da un ricevitore ottico. Quindi non è adatto, nella configurazione attuale, all’utilizzo per un pancreas artificiale. - costoso 2.5. SENSORE POTENZIOMETRICO Un sensore potenziometrico è costituito essenzialmente dalla modifica di un sensore per la misura del pH. PH-metro Un pH-metro ( Figura 13 ) è costituito da un elettrodo di misura (circondato da una membrana di vetro che lascia passare gli ioni H+)e da un elettrodo di riferimento. Tramite il voltmetro V di Figura 13 si misura la differenza di potenziale tra l’elettrodo di misura (immerso nella soluzione di cui vogliamo misurare il pH ) e l’elettrodo di riferimento, che è a potenziale costante e noto (vedi appendice sugli elettrodi).Riportiamo ora la tensione letta dal voltmetro 9: V=Vmis-Vrif Figura 93:sensore di pH 9 Ricordiamo che un voltmetro ha resistenza interna molto alta. Per questo in una misura potenziometrica non c’è passaggio di corrente e, quindi, le uniche cadute di tensione sono dovute ai potenziali di elettrodo, (7) Nella (7), Vmis rappresenta il potenziale dell’elettrodo di misura e Vrif il potenziale di quello di riferimento. Il potenziale di elettrodo di misura dipende dal pH della soluzione, per la legge di Nernst (vedi appendice elettrodi): Vmis = V0 + RT ZF ln a ≈ V0 + RT ln[H+] (8) ZF Dove a è l’attività dello ione H+ che approssimiamo con la sua concentrazione. La tensione che leggiamo sul voltmetro dipende, come già visto, anche dal potenziale dell’elettrodo di riferimento 10 che, essendo nota e stabile, ci permette di risalire al potenziale dell’elettrodo di misura e quindi al pH È importante sottolineare che l’elettrodo di riferimento deve essere a potenziale costante e con una elevata stabilità ( deve avere una stabilità molto più alta di quella del sistema ). Da pH-metro a sensore di concentrazione di glucosio Per sfruttare sensori di pH come misuratori di glucosio (figura 14) vengono intrappolate molecole di GOD tra membrana di vetro e soluzione da analizzare tramite una membrana per dialisi. Figura 14 10 L’elettrodo di riferimento è posto in una soluzione a concentrazione nota di un elettrolita noto in maniera tale da conoscere il suo potenziale Si sfrutta la reazione (9) nella quale il GOD catalizza la reazione di ossidazione del glucosio favorendo la produzione di acido gluconico. GOD Glucosio + O2 → acido gluconico + H2O2 (9) La produzione di acido gluconico rende la soluzione più acida, si ha, quindi, una riduzione del pH legata alla concentrazione del glucosio che si riperquote sul potenziale di elettrodo di misura. La lettura del voltmetro ( V=Vmis-Vrif ) è direttamente legata, come già visto, al pH della soluzione e, quindi, alla concentrazione di glucosio. Visto che questo tipo di sensori devono avere applicazioni in vivo, non si possono usare i classici elettrodi di riferimento basati su Ag/AgCl o a calomelano perché contengono degli elettroliti liquidi dannosi per l’organismo. Vengono sostituiti da contatti metallo/ossido del metallo (esempio platino/ossido di platino) che, in condizioni fisiologiche, hanno potenziali di elettrodo costanti. pregi - selettività - buona sensibilità in tutto il range di misure di interesse difetti - difficoltà a realizzare, in vivo, un elettrodo di riferimento molto stabile a causa della presenza dei fluidi fisiologici - potenziale tossicità del GOD. L’enzima è immunogenico ovvero scatena reazioni immunitarie 2.6. SENSORI POTENZIOMETRICI ALLO STATO SOLIDO: ENFET Questo tipo di sensori sono costituiti da MOSFET (transistor ad effetto di campo con un isolante, SiO 2 o Si3N4 , sul gate) nei quali il gate è sostituito da un elettrodo di riferimento: ISFET (FET sensibili a ioni). Un ISFET è costituito da un substrato di silicio di tipo p con due zone di tipo n che formano drain e source. Sopra questo substrato viene depositato uno strato isolante di Si3N4 che è sensibile agli ioni H+. Il gate è un elettrodo metallico immerso nella soluzione di cui vogliamo misurare il pH. L’interazione degli ioni della soluzione con lo strato di isolante modifica il campo elettrico tra drain e source alterando, così, la conduttività del canale. In questo modo la tensione di soglia del MOSFET cambia influenzando, per la (10), la corrente di drain che è il parametro misurato. Ricordiamo che la tensione di soglia VT è quella VGS per la quale il MOSFET diventa conduttivo. Vediamo l’espressione della corrente di drain quando il MOSFET è polarizzato in zona lineare: IDRAIN=1/2K[ VGS-VT]2 (10) Possiamo capire come, nelle giuste condizioni di polarizzazione, la corrente di drain è modulata, tramite la VT dal pH. Aggiungendo sullo stato isolante dell’ISFET uno strato di GOD (viene immobilizzato chimicamente o intrappolato da una membrana) si ottiene un ENFET che ha un comportamento perfettamente analogo a un sensore potenziometrico (figura 15). In un dispositivo potenziometrico si misura direttamente un potenziale di elettrodo e, quindi, si ha necessita di un voltmetro con impedenza di ingresso molto alta per non alterare il segnale di ingresso che ha livelli di tensione bassissimi. Al contrario nel sensore allo stato solido l’uscita è a bassa impedenza e ha, intrinsecamente, dei livelli di tensione alti con un conseguente vantaggio sul rapporto segnale/rumore (ricordiamo che l’ENFET si comporta da amplificatore). Figura 15: ENFET Vantaggi - miniaturizzabile, richiede piccolissime quantità di enzima Svantaggi - non biocompatibile - derive causate da imperfezioni sull’interfaccia dispositivo/fluido - distacco della membrana sensibile 2.7. SENSORI AMPEROMETRICI Un sensore amperometrico misura la corrente legata alle reazioni elettrochimiche e, indirettamente, alla concentrazione di un elettrolita. Nel nostro caso la quantità di glucosio presente modula la corrente che passa dall’elettrodo di misura. Abbiamo un anodo di platino, polarizzato a 600mV rispetto al catodo, che ossida elettrochimicamente H2O2 secondo la reazione: H2O2 → 2H+ + O2 + 2e- (11) Maggiore è la quantità di glucosio maggiore è la quantità di H2O2 prodotta dalla reazione enzimatica e maggiore sarà la corrente che attraversa l’elettrodo di misura. Figura 16: sensore amperometrico 2.8. SENSORI TERMICI Misurano la quantità di glucosio sviluppata da una reazione enzimatica (con GOD) e la correlano alla quantità di glucosio presente. difetti - poco specifici, ogni reazione che avviene sviluppa una certa quantità di calore - troppo pesanti e ingombranti 2.9. SENSORI MECCANO CHIMICI Il GOD viene intrappolato in un idrogele formato da acido polivinilico (PVA),materiale biocompatibile,e da polianilina, polimero che contiene gruppi ionizzabili. L'idrogele è un sistema bifasico: è costituito da una rete polimerica con gruppi carichi lungo la catena e da una soluzione acquosa contenente i controioni. Quando il glucosio reagisce, tramite l’enzima GOD, si forma acido gluconico che protona la polianilina; in questo modo l’idrogele diventa più idrofilico e si gonfia. Sono stati realizzati dei sensori semi invasivi per il monitoraggio del glucosio in continuo nei quali l'idrogele viene impiantato sottocute e il sensore è esterno. Ad esempio, si è pensato a un trasduttore ultrasonico per monitorare i movimenti dell’idrogele che, come visto, sono modulati dalla glicemia. Altri sensori di questo tipo sono stati realizzati con un idrogele polimerico contenente array colloidali cristallini e GOD. Per azione del glucosio il sistema si gonfia. La lettura viene fatta investendo con luce bianca il sistema e rilevando la luce riflessa che cambia colore con diversi livelli di glicemia. 2.10. PROBLEMATICHE CON I SENSORI IN VIVO Il nostro obiettivo è quello di realizzare dei dispositivi che siano impiantabili per il monitoraggio in continuo del livello glicemico; purtroppo i modelli di sensori visti fino ad ora hanno un funzionamento adeguato solamente ex vivo o in vitro. In vivo il tempo di vita di questi sensori è limitato a causa di processi infiammatori che ne disturbano la risposta; mediamente hanno una vita di cinque giorni dopo di che vanno espiantati. Nell’utilizzo in vivo ci sono grossi problemi di deriva e di calo di sensibilità; la deriva ( allontanamento della risposta dalla risposta ideale) è diversa da sensore a sensore e da paziente e paziente, ed è causata da vari motivi: reazioni tissutali, infiammazioni locali, infezioni, tossicità e occlusioni delle membrane da parte di proteine o di cellule. Il calo di sensibilità rispetto ai sensori in vitro o ex vivo è compreso tra 20% e 90% e diminuisce ancora col tempo, probabilmente questo è dovuto a degli inibitori di GOD presenti nel tessuto. Inoltre si hanno grossi problemi di biocompatibilità legati all’effetto del GOD che è immunogenico e tossico. Per questo motivo è di fondamentale importanza il problema dell’immobilizzazione del GOD che viene fatta in due maniere: • intrappolamento dentro una membrana: si ha il problema della perdita di GOD con le conseguenze viste sopra • immobilizazione chimica: si ha il problema dei reagenti tossici che si possono liberare nell’organismo Il calo di sensibilità e la deriva costringono a calibrazioni continue dopo l’impianto e durante l’impiego, a questo si aggiunge il bisogno di ricondizionamenti per la sostituzione dell’enzima. Possiamo capire, quindi, la scomodità dell’utilizzo di tale tipo di sensori; nei fatti viene a mancare l’utilità di questi dispositivi impiantabili ovvero la restituzione al paziente di una vita “normale” svincolata da continue autoanalisi e iniezioni. In conclusione è impossibile, almeno fino ad oggi, l’utilizzo di sensori impiantabili per il glucosio e, quindi, la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa ; per questi motivi il campo della ricerca nei sensori di glucosio è molto vivo: la soluzione di questo problema renderà finalmente possibile la realizzazione di un pancreas artificiale che porterebbe alla sconfitta di una delle piaghe dei nostri tempi: il diabete. 2.11. METODI ALTERNATIVI PER LA MISURA DI CONCENTRAZIONI DI GLUCOSIO Viste le problematiche legate all’utilizzo di sensori in vivo siamo passati all’utilizzo di metodi alternativi che isolano il glucosio dai fluidi corporei e effettuano misure ex vivo con i metodi visti fino ad ora. In questo modo vengono risolti i problemi di biocompatibilità, di calo di sensibilità e di deriva legati all’utilizzo dei sensori di glucosio in vivo. IONOFORESI Il metodo della ionoforesi consiste nell’applicazione di una corrente fra due punti della pelle in modo tale da favorire l’apertura dei pori. In questo modo si provoca un flusso di ioni nelle due direzioni e di solvente (liquido fisiologico) nella direzione opposta alla corrente. Lo scopo di questa tecnica è quello di prelevare il liquido fisiologico (che contiene il glucosio ) e di farci, esternamente, delle misure con i sensori visti. Il dipositivo consiste in due camere di prelievo di superficie 10 cm2 con due elettrodi distanti 2 cm fra i quali viene applicata una corrente di circa 0.25 mA/cm2.Per mantenere le condizioni elettrochimiche le due camere contengono una soluzione 0.1 M di NaCl.Il glucosio, estratto nella camera catodica, viene misurato per via amperometrica. vantaggi - non invasivo svantaggi - il livello di glucosio misurato differisce da quello presente nel sangue: nelle camere di misura c’è del glucosio proveniente dal metabolismo dei lipidi nella pelle, questo fenomeno varia da individuo a individuo. C’è quindi la necessita di calibrazioni diverse al variare dell’individuo.. - in caso di sudorazione il dispositivo non può funzionare perchè il glucosio si diluisce. - causa irritazioni alla pelle. LA MICRODIALISI PER IL PRELIEVO DEL GLUCOSIO La tecnica si basa sull’impiantazione, in un vaso sotto la cute, di una membrana tubolare per dialisi nella quale viene fatto scorrere un fluido isotonico . Il glucosio diffonde nella membrana per diffusione e viene pompato in una camera esterna dove viene effettuata la misura di glicemia per via amperometrica. Sono stati realizzati due dispositivi che sfruttano questo principio; il primo (figura 17) è formato da una membrana per dialisi (impiantata nel tessuto sottocutaneo); il fluido isotonico viene pompato esternamente (velocità di 2 l/min) in una camera dove viene mescolato con GOD per effettuare una misura amperometrica. Con questo sistema si ha il problema dell’otturazione della membrana a causa della formazione di uno strato proteico sulla sua superficie. Figura 17: sistema di microdialisi per il prelievo del glucosio. Nel secondo metodo (figura 18) si usa un sistema di circolazione extracorporea una piccola quantità di sangue viene prelevato, dializzato esternamente e poi rimesso in circolo. In questa maniera la membrana per dialisi è facilmente sostituibile, si evita, così, il problema del suo otturamento. Figura 18: sistema di microdialisi per il prelievo del glucosio. Nei due sistemi visti la concentrazione di glucosio dializzato può essere espressa come: C=Csangue(1-e-t/(VR) ) Dove Csangue è la concentrazione di glucosio nel sangue, V è il volume di fluido dentro il tubo da dialisi, t è il tempo di dialisi, e R è la resistenza alla diffusione del glucosio attraverso la membrana (inversamente proporzionale alle costanti di diffusione). I tempi per raggiungere l'equilibrio (C = Csangue) determinano la velocità del sistema (ordine di cinque o dieci minuti). ULTRFILTRAZIONE Con questa tecnica si preleva il glucosio tramite un tubo semipermeabile con una pressione interna più bassa di quella corporea: il glucosio passa, dunque, per un gradiente di pressione. Il sistema è molto più semplice di quello a microdialisi perché non necessita di un pompaggio continuo. Un dispositivo realizzato e utilizzato in vivo prelevava l’ultrafiltrato tramite una fibra cava connessa a una semplice siringa (per mantenere il delta di pressione) e rilevava la glicemia tramite un sensore amperometrico. NOTA SUI METODI ALTERNATIVI I metodi alternativi visti, soprattutto microdialisi e ultrafiltrazione, sono, in prospettiva, più utilizzabili per la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa soprattutto perché evitano l’impianto dell’enzima glucosio-ossidasi che, come abbiamo visto, è immunogenico. La sfida della tecnologia e dell’ingegneria sarà la miniaturizzazione di questi dispositivi in modo tale da permettere il loro effettivo utilizzo in un sistema a catena chiusa. 3. CONTROLLO DEL PANCREAS ARTIFICIALE In questo capitolo affrontiamo il problema della realizzazione di un algoritmo di controllo che calcoli, istante per istante, a partire dai dati che sono i livelli glicemici determinati dai sensori visti, la velocità di infusione di insulina in maniera tale da normalizzare la concentrazione di glucosio nel sangue; tecnicamente questo porta alla realizzazione di un “controllore” del dispositivo di infusione che acquisisce i dati provenienti dai sensori di glucosio e li elabora calcolando, istante per istante, la giusta infusione di insulina, L’algoritmo di controllo deve fare sì che l’intero sistema si comporti in maniera più simile possibile al sistema di regolazione del glucosio in un individuo sano. Il controllore deve anche prevedere, quando la glicemia è troppo bassa, un’ eventuale infusione di destrosio, tramite un apposita pompa, per evitare il problema della ipoglicemia; in pazienti diabetici trattati con insulina si hanno occasionali casi di ipoglicemia lontano dai pasti. Facciamo notare che il target di un algoritmo non è solo quello di normalizzare la glicemia, ma anche quello di normalizzare l’insulinemia; livelli di insulina troppo alti, infatti, portano a più frequenti casi di ipoglicemia e, a lungo periodo, accelerano lo sviluppo dell’arterosclerosi. Raggiungere la normalizzazione dell’insulinemia è tutt’altro che facile, questo perché la somministrazione di insulina non avviene nella vena porta (la via fisiologica), ma in una vena periferica. Nel soggetto non diabetico l’insulina secreta dal pancreas nella vena porta raggiunge direttamente il fegato. Nel fegato il 50% di insulina viene degradata e la parte rimanente entra nella circolazione. Si crea un gradiente tra la concentrazione portale e periferica di insulina, questo gradiente (gradiente porto-sistemico) esercita un importante controllo sul metabolismo epatico del glucosio. È probabile che la via di somministrazione periferica non provochi una sufficiente insulinizzazione epatica e che, per questo, la normalizzazione della glicemia sia ottenuta solo a spese di livelli periferici di insulina troppo alti. Questi fanno si che aumenti l’asssorbimento di glucosio nei tessuti insulino-dipendenti senza sfruttare sufficientemente l’inibizione della produzione epatica provocata dall’insulina. Negli ultimi anni sono stati sviluppati degli infusori impiantabili per somministrazione intraperitoneale di insulina che sono in grado di far giungere l’insulina al fegato tramite la vena porta e di stabilire, quindi, il gradiente portosistemico fisiologico. 3.1. ALGORITMI DI CONTROLLO NEI PANCREAS ARTIFICIALI Le prime realizzazioni di pancreas artificiali furono realizzate nel 1974 da due distinti gruppi di ricerca legati rispettivamente a Albisser e Clemens; facciamo notare che il pancreas realizzato da Clemens è stato commercializzato col nome di BIOSTATOR ed è stato utilizzato in particolari ambiti clinici (trattamento coma diabetico,operazioni chirurgiche) con risultati soddisfacenti. Algoritmo di controllo del Pancreas artificiale di Albisser Nell’algoritmo di controllo del pancreas artificiale sviluppato da Albisser l’infusione di insulina, IR(t), è legata alla glicemia, G(t), misurata ogni minuto tramite una funzione a tangente iperbolica (equazione (12),figura 19). (12) 1,0 IR(t) / Imax PI 0,8 0,6 0.5 0,4 0,2 0,0 0 100 200 300 400 GI GP(t) Figura 19: caratteristica di controllo del pancreas di Albisser Allo scopo di evitare casi di ipoglicemia è prevista una infusione di destrosio secondo la stessa caratteristica (12). (13) Imax e Dmax rappresentano i valori massimi delle infusioni di insulina e destrosio, PI e PD regolano la pendenza delle caratteristiche mentre GI e GD sono i livelli glicemici per cui le infusioni sono alla metà del loro valore massimo. La caratteristica principale dell’algoritmo di Albisser sta nel fatto che la glicemia utilizzata per il calcolo dell’infusione di insulina non è quella misurata, G, ma una proiezione temporale GP GP = G + DF (14) DF è un fattore differenziale: DF = k1 A3 + k2 A (15) A è la velocità di variazione della glicemia calcolata come media delle variazioni nei cinque istanti precedenti. Questo accorgimento era stato preso per compensare il ritardo (3-5 minuti) dovuto alla misura, ma divenne subito chiaro che era l’unica maniera per riprodurre la prima fase della risposta delle beta cellule (vedi figura 7) perché consentiva all’algoritmo di sentire la velocità di variazione di glicemia. I parametri dell’algoritmo (Imax, Dmax, GI, GD, PI, PD, k1, k2) sono individuate sulla base del peso e del fabbisogno giornaliero di insulina del paziente e ricalibrate più finemente mediante procedimenti di tipo trial and error. Algoritmo di Clemens: il Biostator L’algoritmo di controllo di Clemens prevede tre tipi di controllo: 1) controllo statico, in cui l’infusione di insulina dipende dall’ultimo valore misurato; 2) controllo dinamico, in cui l’infusione di insulina dipende dalla variazione dei livelli glicemici; 3) controllo statico e dinamico che risulta dalla combinazione dei precedenti; Controllo statico ( figura 20): (16) BI e RI hanno un’interpretazione fisiologica: BI rappresenta il valore desiderato di glicemia, mentre RI rappresenta l’infusione basale in stato stazionario (quando G(t)=BI).Quando G(t) sta al di sotto del valore desiderato di glicemia IR(t) viene posto nullo. QI regola la pendenza della caratteristica. 1,0 IR(t) / Imax PI 0,8 0,6 0.5 GI 0,4 0,2 0,0 0 100 BI 200 300 400 G(t) Figura 20: Caratteristica statica del Biostator Controllo dinamico : IR(t)=K dG/dt (17) È un controllo derivativo puro, consente di riprodurre la prima fase della risposta delle beta cellule. La derivata di G viene approssimato dalla pendenza della retta di regressione calcolata sulle ultime 5 misure. È possibile fare questo avendo tempi di misura piuttosto bassi (circa 1 minuto). Inoltre per ridurre la sensibilità dell’algoritmo al rumore di misura nella caratteristica statica si usa il valore di glicemia prodotto dalla retta di regressione. È prevista anche un infusione di destrosio per evitare effetti ipoglicemici . I parametri dell’algoritmo (QI,RI,K) sono calibrati nel singolo soggetto mediante procedimenti di tipo trial and error. Algoritmo di controllo di Fisher Questo algoritmo realizza semplicemente un controllo di tipo proporzionale e derivativo (PD). IR(t) = a0 + a1(G-BI) + a2 (dG/dt) (17) 250 1,0 200 0,8 IR(t) / Imax glicemia [mg/dl) Dove BI è il valore di glicemia desiderato, a0 un’infusione basale di insulina mentre a1 e a2 sono i parametri del modello. La parte proporzionale ha un funzione simile ai controlli statici visti in precedenza, mentre la parte derivativa, come già visto, consente di riprodurre la prima parte della risposta delle beta cellule. 150 100 50 0,6 0,4 0,2 0 0,0 0 2 4 tempo 6 8 10 [min] 0 2 4 tempo 6 8 [min] Figura 21: risposta dell’algoritmo di Fisher a uno stimolo glicemico Le prestazioni (valutate da Fisher in vivo e con simulazioni al computer) degli algoritmi visti sono essenzialmente equivalenti sia nel normalizzare la glicemia sia nella quantità di insulina usata. 3.2. DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI DI CONTROLLO Nessuno dei tre algoritmi visti in precedenza riesce a normalizzare perfettamente i livelli glicemici nè ad evitare livelli insulinemici troppo alti sia in condizioni basali che dinamiche. La non completa normalizzazione dei profili glicemici è dovuta al fatto che venivano impiegati parametri di controllo medi. Un notevole miglioramento dei profili glicemici si ottiene accordando i parametri dell’algoritmo di controllo alle caratteristiche del paziente tramite una procedura molto rigorosa. Il primo passo della procedura consiste nel determinare un modello che consenta di caratterizzare il sistema di regolazione del glucosio singolo soggetto. Il modello dovrà essere identificabile mediante esperimenti ingresso/uscita nella maniera tale che i suoi parametri potranno essere identificati a partire dalla risposta della glicemia a ingressi noti di insulina (figura 22). M Ingressi Noti di Insulina I Modello del sistema di regolazione Glucosio/Insulina PARAMETRI Valore di glicemia Rivelato G G=M(I) Figura 22: procedurà per determinare i parametri del modello del sistema di regolazione del glucosio 10 Praticamente misurando nel soggetto sotto esame la risposta glicemica a certi ingressi di insulina e sostituendo nell’equazione del modello ( G=M(I) con G misurato ed I noto ) possiamo risalire ai parametri di M. Una volta determinati i parametri del modello possiamo determinare i parametri dell’algoritmo di controllo che ci fanno ottenere le prestazioni desiderate; usando parametri di controllo appropriati si riesce sia a migliorare il profilo glicemico, sia a diminuire la quantità di insulina usata. È da notare che anche utilizzando i parametri di controllo più appropriati possibile non riusciremo mai a normalizzare l’insulinemia a meno di non utilizzare sistemi di infusione intraperitoneali che stabiliscano il giusto gradiente portosistemico. 3.3. METODI ADATTIVI Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato come sia importante accordare i parametri del controllore al singolo paziente e come questo sia facilitato dall’uso di modelli del sistema di regolazione de l glucosio che siano identificabili nel singolo paziente. Questi modelli sono necessariamente semplici e quindi non in grado di descrivere sufficientemente tutte le situazioni che può incontrare il paziente diabetico (sforzi fisici, alimentazione, stress etc.). Inoltre molti dei parametri che caratterizzano il metabolismo di un soggetto sono tempo varianti e necessitano, quindi, di continui aggiornamenti. Per risolvere questi problemi le ricerche, a partire dagli anni 70 in poi, si sono concentrate su tecniche di controllo di tipo adattivo. Un algoritmo di controllo della glicemia basato su tecniche di tipo adattivo è in grado di accordare automaticamente i propri parametri al variare delle situazioni e delle caratteristiche metaboliche del soggetto. Il re golatore adattivo di figura 21 si compone di due catene chiuse. La prima comprende paziente e controllore e fa si che l’errore tra glicemia del paziente e glicemia desiderata si annulli il più possibile in ogni condizione di variazione della glicemia. La seconda catena comprende un modello del sistema di regolazione del glucosio di cui sono stimati on-line i parametri e di un’interfaccia che accorda i parametri del controllore sulla base delle variazioni dei parametri del modello. Parametri del modello individualizza Calcolo dei Parametri del controllore Parametri del controllore Glicemia di desiderata + Identificazione del modello errore insulina Pancreas artificiale (controllore) Paziente glicemia Figura 21:schema di un controllo adattivo self-tuning Facciamo un esempio pratico: • Primo passo: scelta del modello Scegliamo un modello stocastico di tipo ARX (autoregressivo con componente esogena, vedi equazione (18) ). Gk = – c1Gk-1 – c2Gk-2 + C3Ik-1 + C4Ik-2 + vk (18) Gk rappresenta la glicemia, Ik rappresentea la dose di insulina al k-esimo istante (tempo di campionamento di un minuto). vk è un segnale casuale, a media nulla indipendente dalle realizzazioni precedenti e tale che: E[vk]=0 E[vk, vr]=0 k≠r E[vk, vr]=1 k=r (19) L’operatore E() esprime l’aspettazione di una grandezza stocastica. Facciamo notare che vk è una variabile di tipo gaussiano. • Scelta del tipo di controllo Si sceglie un controllore a minima varianza (minimizza la varianza tra valore di glicemia del paziente e glicemia misurata) e che minimizza la quantità di insulina: Min ( E(ek2) + rIk ) (20) con ek = Gk – G0, G0 =90 mg/dl è il valore desiderato di glicemia (valore tipico di un soggetto sano), r=0.003 è un coefficiente empirico. La soluzione di questo problema ci consente di calcolare la dose di insulina all’istante k+1: Ik = a1ek + a2ek-1 - a4Ik-1 (21) ai = ci / ( c3 + r / c3 ) i=1,2,4 I parametri del controllore sono legati con semplici equazioni algebriche ai parametri del modello. Stimando dai dati i parametri del modello potremmo quindi risalire ai parametri del controllore. • Terzo passo: identificazione dei parametri del modello Per rendere adattivo il controllore è necessario stimare, istante per istante e in maniera ricorsiva, i parametri del modello; questo porterà ad un identificazione in tempo reale dei parametri del controllore con un conseguente “adattamento” dell’algoritmo di controllo a quelle che sono le condizioni del soggetto in una determinata situazione; ad esempio: i parametri saranno diversi dopo un’attività fisica o dopo un periodo di riposo e saranno diversi da soggetto a soggetto. Per identificare, ricorsivamente, i parametri del modello utilizziamo il metodo dei minimi quadrati ricorsivi. Scriviamo il modello in forma matriciale: Gk = [ -Gk-1 -Gk-2 Ik-1 Ik-2 ] ⋅ [ c1 c2 c3 c4 ]T + vk = Ψ k ⋅ Ω k T (22) Ad ogni nuovo Gk+1 possiamo aggiornare i parametri: Ω k+1 = Ω k + Γk [ Gk - ϑk ⋅ Ωk T ] (23) Dove Γk e ϑk sono matrici a coefficienti noti determinate con la tecnica dei minimi quadrati ricorsivi. Conclusione e problemi con i controlli adattivi Un controllore che usa tecniche adattivo dovrà avere dei parametri che siano legati ai parametri del modello del sistema di regolazione; i parametri del modello dovranno essere stimati ricorsivamente dai dati nella maniera tale che il tipo di controllo cambi (si adatti) al mutamento delle condizioni fisiologiche. Il più grosso problema legato a controllori adattivi è legato al fatto che, in determinate circostanze, possono diventare instabili; una causa di instabilità potrebbe essere un errore nell’identificazione dei parametri del modello dovuto a un disturbo esterno. Se un disturbo cambiasse il valore della glicemia misurata in direzione opposta a quella che determinerebbe un ingresso di insulina , l’algoritmo adattivo interpreterebbe questo come un cambiamento (o peggio un’inversione) della sensibilità del soggettto all’insulina. Facciamo notare che questo fenomeno è stato effettivamente notato in esperimenti in vivo. Confrontando i metodi adattivi con quelli non tradizionali si è visto come non ci fosse una grande differenza nella normalizzazione dei livelli glicemici a patto che i parametri usati nei metodi non adattivi fossero rigorosamente individualizzati e fossero aggiornati a intervalli di tempo piuttosto brevi; sono invece peggiori gli algoritmi che usano parametri di controllo medi. Chiaramente anche i metodi adattivi non riescono a normalizzare l’insulinemia a causa della via di infusione periferica. In conclusione: per il controllo ad anello chiuso della glicemia si possono usare vari algoritmi di controllo (caratteristiche non lineari (12) (16) , controlli PD (17), controlli a minima varianza (20) e altri ancora) , ma è fondamentale accordare i parametri dell’algoritmo al singolo paziente (in maniera adattiva o no). 3.4. CONTROLLO A CATENA APERTA O PARZIALMENTE CHIUSA A partire dalle prime ingombranti realizzazioni del pancreas artificiale sono stati fatti molti passi tecnologici sia nella miniaturizzazione dei vari componenti (sensore impiantabile, infusore impiantabile e controllore esterno) che hanno portato alla realizzazione di pancreas artificiali trasportabili e impiantabili sia, nel perfezionamento degli algoritmi di controllo. Tuttavia non siamo ancora riusciti a realizzare un sensore di glicemia che, a contatto con l’organismo del paziente, mantenga la sua stabilità, sensibilità e specificità e che sia, nello stesso tempo, biocompatibile ( i più recenti tipi di sensori non funzionano correttamente in vivo più di 4-5 giorni). In conclusione il sensore di glucosio è un vero e proprio collo di bottiglia per la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa visto che la tecnologia ci darebbe la possibilità di realizzare tutti gli altri componenti. In attesa della risoluzione dei problemi legati ai sensori sono state ottimizzate strategie di controllo ad anello aperto o parzialmente chiuso che migliorino la tipica strategia convenzionale. La terapia convenzionale si basa su 3-4 iniezioni di insulina il giorno sulla base di misure di glicemia fatte con sensori di tipo colorimetrico (strisciolina reattiva). Per sua natura è inadatta a seguire dinamicamente l’infusione di insulina. Un altro tipo di tecnica si basa sull’infusione, tramite un infusore impiantabile sottocutaneo o meglio ancora intraperitoneale (in grado di ricreare il gradiente porto-sistemico), di un livello costante di insulina (che riproduce il livello insulinemico basale) accoppiato a dosi impulsive di insulina prima dei pasti in modo da riprodurre la risposta dinamica del pancreas. Con questo tipo di terapia riusciamo ad avere un buon controllo glicemico ma aumentano i casi di ipoglicemia rispetto alla terapia tradizionale. Esistono, poi, tecniche caratterizzate da una chiusura non continua della catena (algoritmi a catena parzialmente chiusa) nei quali la glicemia viene misurata a intervalli regolari (1-3 ore) e l’infusione, tramite una pompa portatile, è regolata da algoritmi molto semplici. In genere la misura di glicemia viene fatta dal paziente stesso con le solite striscioline reattive. Questo tipo di tecnica consente di migliorare sia l’infusione basale di insulina, sia le dosi impulsive e permette di avere un buon controllo. Praticamente con questo tipo di tecniche si passa da un pancreas artificiale impiantabile a un pancreas artificiale portatile. Bisogna, però, far notare che l’utilizzo di una pompa di insulina portatile ha, spesso, un brutto impatto psicologico sul paziente. Studi recenti hanno dimostrato la non completa necessità di una pompa portatile; è stato infatti dimostrato come la terapia convenzionale basata su sole iniezioni sottocutanee sia paragonabile ai metodi a catena parzialmente chiusa a patto di misurare la glicemia con la stessa frequenza e, soprattutto, di ottimizzare lo schema terapeutico adattandolo al singolo individuo. L’ottimizzazione viene raggiunta insegnando al paziente a selezionare le giuste dosi di insulina tramite tabelle di decisione che il medico personalizza in modo empirico; perhè questo metodo sia efficace il medico deve addestrare correttamente il paziente che, a sua volta, si deve mantenere, sempre, molto motivato. Sulla base di questo principio è stato realizzato un sistema elettronico tascabile che permette al paziente di gestire autonomamente la terapia senza il bisogno di un particolare addestramento. Il sistema riceve dei dati quali glicemie (misurate 4-5 volte giorno), carboidrati ingeriti nel pasto, tipo e durata di attività fisica e altri ancora. Quindi, sulla base di questi dati, il sistema decide il tipo e la quantità di insulina da iniettare. 4. POMPE DI INSULINA IMPIANTABILI Gli algoritmi di controllo visti nel paragrafo precedente necessitano di un dispositivo impiantabile, programmabile e comandabile elettricamente per il rilascio dell’insulina all’interno dell’organismo. A questo scopo, negli ultimi anni, sono state sviluppate delle pompe di insulina con tali caratteristiche. Questi dispositivi svincolano il paziente diabetico da continue iniezioni e danno la possibilità di infondere insulina per via sottocutanea o, meglio ancora, per via intraperitoneale; un grosso passo in avanti nella realizzazione di questi infusori è stato fatto dal momento della realizzazione da parte di un industria farmaceutica di un tipo di insulina che non formava precipitati all’interno del serbatoio della pompa (prima di questa scoperta le valvole degli infusori si occludevano dopo pochissimo tempo). Facciamo notare come i problemi di un tale dispositivo elettronico/meccanico siano molteplici: • dove impiantare la pompa e dove infondere l’insulina • deve avere le più piccole dimensioni possibili • necessità di un tipo di insulina stabile alle temperature corporee • problemi di biocompatibilità e di sicurezza (l’impianto potrebbe provocare delle irritazioni permanenti se non realizzato con materiali biocompatibili, oppure un guasto all’apparato meccanico potrebbe provocare una fuoriuscita letale di insulina) • affidabilità dell’elettronica per lunghi periodi in vivo • quali tipi di batterie utilizzare ( devono durare a lungo senza essere pericolose per l’organismo) 4.1. DOVE IMPIANTARE LA POMPA E DOVE INFONDERE L’INSULINA In genere si usano pompe i cui serbatoi sono impiantati nell’esterno dell’addome assicurati alla fascia muscolare con l’infusione, attraverso un catetere di lunghezza di 10-20 cm, intraperitoneale12 o periferica. Cerchiamo di spiegare perché si usano queste due vie di infusione. In condizioni fisiologiche l’insulina viene secreta nella vena porta e da questa raggiunge subito il fegato . Qui si ha una rapida insulinizzazione epatica (nel fegato buona parte dell’insulina viene degradata facendo diminuire rapidamente la quantità di glucosio prodotta) e il raggiungimento da parte dell’insulina di tutti i tessuti attraverso la circolazione periferica ( con conseguente aumento dell’assorbimento di glucosio da parte dei tessuti insulino dipendenti). Questo meccanismo garantisce una rapida risposta a aumenti di concentrazioni di glucosio e , nel contempo, non c’è mai una concentrazione sanguigna periferica di insulina troppo alta. La via di infusione portale non è applicabile perché un eventuale trombosi causata dal catetere porterebbe a un embolia nel fegato con conseguenze piuttosto gravi. 12 Il peritoneo è la membrana che riveste la cavità addominale sostenendo tutti gli organi che vi sono contenuti La via di infusione intraperitoneale ha dei vantaggi perché parte dell’insulina viene direttamente assorbita dalla vena porta e, quindi, si hanno dei livelli di insulina nella circolazione periferica simili a quelli fisiologici (si genera il gradiente portosistemico di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti). La via di infusione intravenosa viene usata nei casi in cui non è possibile usare quella intraperitoneale; l’impianto è più semplice ma per la regolazione del glucosio si deve usare una quantità maggiore di insulina a causa dell’insufficiente insulinizzazione epatica . 4.2 STRUTTURA DI UNA POMPA IMPIANTABILE DI INSULINA Una pompa impiantabile di insulina di tipo meccanico (figura 22) è composta da un serbatoio di insulina, da un pistone, da due elettrovalvole (A e B), da un catetere e dall’elettronica di controllo del pistone e delle valvole A e B. Il serbatoio di insulina è costruito, chiaramente, con un materiale siliconico biocompatibile, ha un volume che varia dai 15 ai 25 ml, un peso dai 150 ai 300 g e una dimensione di circa 10x2 cm. È, inoltre, provvisto di una piccola valvola con la quale viene effettuato il ricaricamento di insulina con una siringa. Figura 22: schema di una pompa impiantabile per insulina La pompa è controllata da un controllore esterno (vedi paragrafo precedente) per telemetria; vediamo come avviene l’infusione: viene aperta la valvola A e aspirata insulina tramite un movimento del pistone verso l’alto; in seguito viene chiusa la valvola A, aperta la valvola B e, con la pressione del pistone viene iniettata insulina nel catetere e, quindi, all’interno del peritoneo. Sono previste due modalità di infusione che vengono applicate insieme: un’infusione costante (che corrisponde all’infusione basale di insulina vista nel paragrafo precedente) e un infusione impulsiva (bolo). Il catetere è fatto di gomma siliconica e politilene. Tutto il sistema viene alimentato con una batteria di 3V, grande all’incirca come quella di un orologio, che ha una durata di circa 3 anni; è importante che la batteria non rilasci degli elettroliti dannosi per l’organismo (neanche in caso fortuito di rottura). Per evitare fenomeni di iperglicemia o di ipoglicemia associati a dei mal funzionamenti o dei guasti sono previsti dei meccanismi di sicurezza: elettronica ridondante (se si rompe un dispositivo che ha una certa funzione ce n’è sempre un altro in parallelo che svolge la stessa mansione); chiusura delle valvole in caso di malfunzionamento (se si infondesse troppa insulina a causa di un malfunzionamento dell’elettronica le conseguenze per l’organismo potrebbero essere piuttosto gravi); avviso in caso di batteria scarica e altri ancora. La ricarica dell’insulina viene fatta in genere circa ogni mese. In tutte le pompe di insulina è prevista la possibilità di sostituzione del catetere in seguito a possibili occlusioni della sua punta, è, in genere, previsto un sistema di diagnosi dell’occlusione del catetere che calcola la resistenza dello stesso a un flusso noto di una soluzione campione iniettata attraverso la porta di accesso della pompa (valvola di riempimento del serbatoio) . Esistono anche dei modelli di pompe sprovviste di pistone in cui nel serbatoio è mantenuta una pressione positiva con del Freon , l’infusione di insulina avviene con l’azione delle due elettrovalvole che stanno a valle del serbatoio. 4.3. ESPERIENZA CLINICA E COMPLICAZIONI CON L’USO DI POMPE IMPIANTABILI DI INSULINA L’esperienza clinica nell’uso di questo tipo di dispositivi ha dimostrato che, soprattutto con l’uso di pompe intraperitoneali, si ha una buona regolazione dei profili glicemici del paziente diabetico rispetto all’infusione di insulina mediante le tradizionali siringhe senza, nel contempo, incorrere in frequenti casi di ipoglicemia, a patto che il controllo dell’infusione sia fatto correttamente. Ricordiamo però che il maggior vantaggio dell’uso di dispositivi di infusione intraperitoneali è soprattutto quello di garantire una corretta insulinizzazione epatica e, quindi, di normalizzare anche i livelli di insulina rendendoli confrontabili a quelli fisiologici. Le complicazioni maggiori sono quelle dell’occlusione del catetere a causa del deposito di proteine, tessuti fibrosi dell’organismo o di aggregati dell’insulina. Quando si verificano questi problemi bisogna ricorrere a interventi chirurgici. Un altro problema è il deposito di aggregati di insulina dentro la camera del pistone questo dà dei notevoli problemi con i flussi sia in fase di aspirazione di insulina dal serbatoio sia in fase di infusione; la soluzione a questo problema è l’iniezione nella riserva di una soluzione basica che dissolve gli aggregati e restituisce il normale flusso. Bisogna anche tenere conto del fatto che un impianto di questo dispositivo può provocare infiammazioni, dolore e, in certi casi, infezioni che portano all’espianto di tutto il sistema. APPENDICE SUGLI ELETTRODI Quando un metallo è immerso in una soluzione ( contenente ioni del metallo ) si può verificare il passaggio in soluzione di alcuni atomi del metallo come cationi (1), oppure il depositarsi sul metallo, allo stato di atomi neutri, di alcuni dei cationi del metallo presenti in soluzione (2). Me ⇔ MeN+ + Ne- (1) (Dove N è il numero di elettroni trasferiti) Men+ + Ne- ⇔ Me (2) Nel caso (1) atomi del metallo abbandonano il reticolo cristallino e passano nella soluzione come ioni positivi , sulla superficie del metallo a contatto con la soluzione viene a crearsi un accumulo di cariche negative. Questo porta alla formazione, all’equilibrio, di un doppio strato elettrico all’interfaccia metallo soluzione che porta ad avere all’equilibrio una differenza di potenziale negativa tra soluzione ed elettrodo (figura a). Figura j: caso descritto in equazione (1) Nel caso (2) , una volta raggiunto l’equilibrio abbiamo un eccesso di cariche positive sulla superficie del metallo in quanto i cationi hanno sottratto elettroni al reticolo del metallo.Nella soluzione sullo strato interfacciale rimarrà un eccesso di cariche negative (anioni del sale) che si distribuiscono in maniera tale da controbilanciare le cariche positive sulla superficie metallica. La formazione del doppio strato elettrico sull’interfaccia metallo soluzione porterà, all’equilibrio ad avere una ddp tra positiva tra soluzione e elettrodo (figura b). Figura k: caso descritto in equazione (2) In conclusione la differenza di potenziale che si ha,all’equilibrio tra metallo e soluzione è detta potenziale di elettrodo. Per calcolare la ddp tra fase metallica e soluzione sfruttiamo la legge di Nernst: V = V0 + RT ln ZF ao ≈ V0 + ar RT ln ZF Co (3) Cr Ao: attività specie che si ossida ≈ Co: concentrazione specie che si ossida Ar: attività specie che si riduce ≈ Cr:concentrazione specie che si riduce T: temperatura soluzione in gradi Kelvin della soluzione Z: Valenza dello ione F: costante di Faraday R: costante dei gas V: potenziale di elettrodo V0: potenziale di elettrodo quando C0 = Cr, i potenziali V0 sono tipici di una semicella ovvero dipendono dal metallo con cui è fatto l’elettrodo e dall’elettrolita in soluzione ( si trovano tabellati). Applichiamo la (3) alla (2): CMen+ RT V = V0 + ln ZF ≈ V0 + RT ln CMen+ (4) ZF Per approfondimenti si rimanda al corso di strumentazione biomedica.