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PANCREAS ARTIFICIALE

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PANCREAS ARTIFICIALE
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA
C.D.L. INGEGNERIA ELETTRONICA BIOMEDICA
ALESSANDRO TOGNETTI
TESINA PER IL CORSO DI ORGANI ARTIFICIALI E PROTESI
PANCREAS
ARTIFICIALE
INDICE
1. IL PANCREAS ARTIFICIALE E LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO 1
-
1.1 Cenni alla fisiologia del pancreas……….…………………………..1
1.2 La regolazione del glucosio…………………………….……………2
1.3 Secrezione insulinica………………………………….……………..6
1.4 Il diabete mellito………………………….……………..……………7
1.5 Il pancreas artificiale…………………………………..…………….9
2. I SENSORI DI GLUCOSIO 11
-
2.1 I sensori colorimetrici………………………………………………..15
2.2 Sensore ottico a fluorescienza……………………………………….16
2.3 Sensore a infrarosso………………………………………………….17
2.4 Sensore polarimetrico………………………………………………..17
2.5 Sensore potenziometrico……………………………………………..18
2.6 Sensori potenziometrici allo stato solido:ENFET………………..…20
2.7 Sensori amperometrici……………………….……………………….22
2.8 Sensore termico…………………………………………………...…..22
2.9 Sensori meccano chimici……………………………………………...23
2.10 Problematiche con i sensori in vivo………………………………...23
2.11 Metodi alternativi per la misura di concentrazioni di glucosio..…25
3. CONTROLLO DEL PANCREAS ARTIFICIALE 27
-
3.1 Algoritmi di controllo nei pancreas artificiali………………………27
3.2 Determinazione dei parametri di controllo…………………………31
3.3 Metodi adattivi………………………………………………………..32
3.4 controllo a catena aperta o parzialmente aperta…………………...35
4.
-
POMPE DI INSULINA IMPIANTABILI 37
4.1 Dove impiantare la pompa e dove infondere l’insulina……………37
4.2 Struttura di una pompa impiantabile di insulina…………………..38
4.3 Eesperienza clinica e complicazioni con le pompe
impiantabili di insulina……………………………………………….39
APPENDICE SUGLI ELETTRODI
1. IL PANCREAS E LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO
1.1 CENNI ALLA FISIOLOGIA DEL PANCREAS
Il pancreas è un organo a struttura ghiandolare dotato di attività sia endocrina1 che
esocrina2. È situato trasversalmente nella parte superiore dell’addome, dietro lo
stomaco, tra il duodeno e la milza. Ha forma allungata e appiattita e pesa circa 75 g.
È costituito di tre parti (testa, corpo e coda) ed è dotato di due dotti escretori che
scaricano il succo pancreatico, ricco di enzimi digestivi, nel duodeno (vedi Figura 1).
La funzione esocrina del pancreas è, quindi, quella di supporto all’apparato digerente.
La parte endocrina del pancreas, circa il 2% della massa totale, è costituita dagli
isolotti di Langerhans (vedi ) che sono dei cluster di cellule (se ne contano circa un
milione) di circa 150 µm di diametro, altamente vascolarizzati e innervati
singolarmente. Ogni cluster contiene, principalmente, due tipi di cellule endocrine: le
alfa cellule e le beta cellule.
Le cellule alfa occupano le zone laterali e costituiscono il 15% della massa degli
isolotti di Langerhans. Secernono glucagone, ormone che aumenta la demolizione di
glicogeno nel fegato, facilita il deposito di glucosio nei muscoli, stimola la scissione
dei lipidi e aumenta l’incorporazione di acidi grassi nel fegato e nei muscoli.
Le cellule beta, situate centralmente, comprendono l’80% della massa. Secernono
insulina ormone fondamentale per l’organismo in quanto è il principale segnale di
controllo del metabolismo del glucosio. Ha un’azione ipoglicemizzante sia
facilitando l’ingresso del glucosio nei tessuti insulino-dipendenti (muscolo, tessuto
adiposo), sia inibendo la produzione epatica del glucosio.
Dotto biliare
Dotto pancreatico
Dotti
escretori
Coda del
Pancreas
Corpo del
Pancreas
duodeno
Testa del
Pancreas
1
Endocrina: ghiandola a secrezione interna, ossia priva di dotto escretore e altamente vascolarizzata, che riversa
direttamente nel sangue le sostanze da essa elaborate.
2
Esocrina: ghiandola che riversa il prodotto della sua attività all’esterno del corpo o in cavità comunicanti con
l’esterno.
Figura 1: il Pancreas
Figura 2: isolotti di Langerhans
Vasi
Sanguigni
Come tutte le ghiandole endocrine gli isolotti di
Langerhans secernono i loro ormoni direttamente
dentro il flusso sanguigno,tramite i capillari che li
circondano. In maniera tale questi ormoni hanno
accesso a tutto l’organismo.
1.2 LA REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO
Il ruolo fondamentale del pancreas è quello di mantenere la concentrazione di
glucosio nel sangue in un range molto stretto. Nel soggetto non diabetico la glicemia
(la concentrazione di glucosio nel sangue) al mattino, dopo una notte di digiuno,
oscilla tra 80-95 mg /dl; dopo un’assunzione di un pasto, anche ricco di carboidrati,
essa non aumenta oltre i 130-140 mg/dl. La glicemia ha oscillazioni tutto sommato
modeste se si considera l’alternarsi tra periodi di digiuno (soprattutto notturno) e di
alimentazione, questi ultimi, tra l’altro, molto diversi per quantità e qualità delle
calorie ingerite. È da notare come il glucosio venga utilizzato ai fini energetici da tutti
i tessuti del nostro organismo. Le escursioni della glicemia vengono limitate da un
sottile equilibrio tra quantità di glucosio che entra nel sangue e quella che viene
utilizzata, istante per istante, dai tessuti dell’organismo (vedi Figura 3).
In caso di ipoglicemia
nei tessuti glucosio
dipendenti si ha una
drammatica sofferenza
tissutale
Assorbimento
costante di
glucosio nelle
24 ore
TESSUTI
GLUCOSIO
DIPENDENTI
ALIMENTI
-Il più importante
tessuto glucosio
dipendente è il
sistema nervoso
centrale
- i glucosio è l’unico
substrato ai fini
energetici nei tessuti
glucosio dipendenti
GLUCOSIO
NEL SANGUE
RILASCIO
FEGATO
ALTRI
TESSUTI
Meccanismi di
assorbimento
Diversi tra loro
Figura 3: schema semplificato della fisiologia del metabolismo glucidico
Questo equilibrio tra glucosio che entra nella circolazione sanguigna e glucosio
assorbito dai tessuti è garantito dall’azione di due “segnali” di controllo: l’insulina e
il glucagone. Sono entrambi ormoni secreti in risposta alla concentrazione di glucosio
nel sangue, ma operano in maniera opposta (vedi Figura 4).
Basso livello di
glucosio nel sangue
Alto livello di
glucosio nel sangue
Glucagone rilasciato
dalle cellule alfa del
pancreas
Insulina rilasciata dalle
cellule beta del pancreas
Le cellule dei tessuti
insulino dipendenti
assorbono glucosio
dal sangue
Il fegato rilascia
glucosio nel sangue
Figura 4: il controllo del glucosio
L’insulina viene secreta dalle cellule beta del pancreas nella vena porta, da questa va
nel fegato (suo principale sito di degradazione) e si distribuisce nell’intero organismo
attraverso la circolazione periferica. Ha un’azione ipoglicemizzante (fa diminuire la
concentrazione di glucosio nel sangue) sia facilitando l’assorbimento del glucosio da
parte dei tessuti insulino dipendenti (muscolo, tessuto adiposo) sia inibendo la
produzione epatica del glucosio. I tessuti insulino dipendenti sono tessuti che
assorbono il glucosio in relazione alla presenza di insulina, maggiore è la quantità di
insulina maggiore è l’assorbimento di glucosio da parte di questi tessuti.
Il pancreas opera, tramite l’insulina, un controllo sulla concentrazione del glucosio
tipico dei sistemi a catena chiusa: un aumento del livello del glucosio nel sangue
stimola un aumento della secrezione di insulina che, a sua volta, fa diminuire la
concentrazione di glucosio nel sangue. Nella Figura 5 cerchiamo di schematizzare il
sistema di controllo glucosio insulina.
Tessuti glucosio
dipendenti
produzione
FEGATO
GLUCOSIO
assorbimento
Tessuti insulino
dipendenti
β CELLULE
DEL PANCREAS
INSULINA
secrezione
RENI
degradazione
Figura 5: Sistema di regolazione glucosio-insulina. Le frecce nere rappresentano flussi, le frecce rosse i segnali di
controllo.
Illustriamo nel grafico sottostante (Figura 6) le escursioni giornaliere della glicemia
e dell’insulinemia in un individuo sano; possiamo notare come questi due parametri
siano ben collegati tra loro e questo testimonia il buon funzionamento del sistema di
controllo glucosio-insulina. Sono da notare le escursioni postprandiali sia della
glicemia che dell’insulinemia che si spiegano come risposta alle assunzioni di
zuccheri e di carboidrati.
Glicemia
mg/dl
Ora del giorno
Insulinemia
µU/ml
Figura 6: escursioni giornaliere di glicemia e insulinemia
Il glucagone, come già detto in precedenza, opera un controllo opposto rispetto
all’insulina. Viene secreto maggiormente quando la concentrazione sanguigna di
glucosio è bassa: agisce sul fegato facendo rilasciare nel flusso sanguigno il glucosio
che ha immagazzinato.
Quando, per qualche ragione, il sistema di regolazione non funziona si possono avere
due tipi di problemi: l’iperglicemia o l’ipoglicemia. In caso di ipoglicemia, stato
patologico che si presenta spesso nei pazienti diabetici in cura con l’insulina, si ha
una drammatica sofferenza tissutale dei tessuti glucosio dipendenti che può portare al
coma, praticamente il sistema nervoso centrale resta senza energia.
In caso di iperglicemia, con l’aumento della glicemia oltre i 180 mg/dl, il glucosio
viene perso dal rene insieme a crescenti
Ora delquantità
giorno di acqua. Il risultato è la perdita di
liquidi corporei con aumento di diuresi e sete. Inoltre vista l’impossibilità di usare il
glucosio come combustibile spinge l’organismo a usare come fonte di energia i grassi
con liberazione nel sangue di acidi grassi che vengono convertiti in chetoni tramite la
loro ossidazione nel fegato. Questo porta alla chetoacidosi che può portare al coma se
non si interviene tempestivamente con la somministrazione di insulina.
1.3 SECREZIONE INSULINICA
Le caratteristiche della secrezione insulinica sono fondamentali per capire il modo
con cui il glucosio controlla la secrezione di insulina e quindi per poter realizzare dei
sistemi che sostituiscano la funzione pancreatica in caso di malattia.
Le principali caratteristiche della secrezione di insulina si possono illustrare facendo
riferimento alla risposta delle beta cellule pancreatiche a dei gradini di
concentrazione di glucosio (vedi Figura 7) ottenuta da esperimenti su pancreas
isolato e perfuso di animale.
Secrezione di insulina
normalizzata
Concentrazione di
glucosio nell’arteria
Pancreatica [mg/dl]
Figura 7.Risposta delle beta cellule a uno stimolo a gradini di glucosio
Possiamo notare dalla Figura 7 un profilo bifasico della risposta: un aumento a
gradino della glicemia provoca, nella prima fase, un picco rapido di secrezione
insulinica che è seguito da una seconda fase di secrezione più lenta che cresce al
perdurare dello stimolo. Un’altra caratteristica importante è il potenziamento della
risposta: un primo stimolo di glucosio può rendere il pancreas più sensibile a un
secondo stimolo.
Introduciamo ora un modello strutturale (Figura 8) utile per spiegare questi
meccanismi di secrezione. Il profilo bifasico della risposta pancreatica è interpretato,
nel modello, come conseguenza dell’esistenza di due pool di insulina in equilibrio
dinamico all’interno del pancreas: un pool labile che contiene l’insulina pronta ad
essere rapidamente rilasciata (prima fase) e un pool stabile contenente l’insulina che
viene rilasciata al perdurare dello stimolo glicemico (seconda fase).
GLUCOSIO
SINTESI DI
INSULINA
K21
ISULINA
STABILE
K12
INSULINA
LABILE
SECREZIONE
DI INSULINA
Figura 8: modello strutturale della secrezione di insulina.K12 e K21 sono parametri stocastici. Le frecce continue
indicano flussi, quelle tratteggiate i segnali di controllo.
I modelli strutturali della secrezione insulinica hanno facilitato la messa a punto degli
algoritmi di controllo per il pancreas artificiale di cui iniziamo a parlare a partire dal
paragrafo 2.
1.4 IL DIABETE MELLITO
Il diabete è la malattia che si presenta quando le funzioni endocrine del pancreas sono
alterate o sono totalmente assenti. Secondo quello che è stato detto nei precedenti
paragrafi possiamo capire come questa malattia si rifletta sul metabolismo del
glucosio portando a condizioni di iperglicemia.
Un soggetto viene definito diabetico in relazione alla sua concentrazione sanguigna di
glucosio, espressa in mg di glucosio su litro di sangue (mg/l).Esistono vari test per il
riscontro della malattia al variare del test varia anche la soglia glicemica secondo la
quale un individuo viene definito diabetico. Elenchiamo qui i tre test principali:
• Test 1: si misura la glicemia con almeno 8 ore di distanza dall’ultimo pasto.
• Test 2: si misura la glicemia in qualsiasi ora del giorno senza riguardo della
lontananza dai pasti.
• Test 3: si misura la glicemia dopo un carico di glucosio di almeno 75 g.
Test 1
Test2
Test 3
Diabetico
maggiore di
126 mg/dl
Maggiore di
200 mg/dl
Maggiore di
200 mg/dl
Normale
Minore di 110
mg/dl
Minore di 140
mg/dl
Tabella 1:
soglie
glicemiche
che
definiscono un paziente
diabetico al variare del test
effettuato.
• Diabete mellito di tipo I o insulino dipendente
Il diabete di tipo I risulta dal venire meno delle funzioni endocrine del pancreas e
specificatamente dalla morte delle cellule deputate alla produzione di insulina (le beta
cellule), probabilmente per cause autoimmunitarie; colpisce prevalentemente persone
con meno di 35 anni. Questa patologia vista la carenza, il più delle volte assoluta, di
insulina sfocia nell’iperglicemia e nel coma chetoacidosico (vedi 1.2). A livello
diagnostico questa patologia viene trattata con la somministrazione controllata di
insulina in maniera da portare entro valori normali la concentrazione di glucosio nel
sangue.
• Diabete mellito di tipo II o insulino indipendente
In caso di diabete di tipo II viene prodotta insulina ma in maniera insufficiente
alle necessità organiche, inoltre, spesso, l’organismo è resistente agli effetti
dell’insulina. Nella maggior parte dei casi non serve la somministrazione di
insulina, ma basta una dieta corretta e la somministrazione di farmaci per via
orale.
1.5 IL PANCREAS ARTIFICIALE
Bisogna far notare che, quando si parla di pancreas artificiale, si intende un
dispositivo che ripristina una sola funzione pancreatica: quella di controllo sulla
concentrazione sanguigna del glucosio, funzione che è, come abbiamo visto nei
paragrafi precedenti, indispensabile alla vita umana.
Consideriamo di avere un soggetto diabetico insulino-dipendente (tipo I) , l’obiettivo
è quello di sviluppare un sistema artificiale a catena chiusa in grado di riprodurre
la funzione beta-cellulare e di rendere normale il metabolismo del glucosio del
paziente. Il pancreas artificiale dovrà essere in grado di “sentire” in tempo reale la
concentrazione di glucosio nel sangue in modo continuativo e, nel caso che questa sia
troppo alta (o troppo bassa), di normalizzarla tramite una infusione di una quantità
ben determinata di insulina3. L’idea di base è, dunque, quella di avere un dispositivo
impiantabile che sopperisca alle funzioni mancanti e che svincoli il paziente da
numerose e fastidiose autoanalisi e iniezioni di insulina4.Il maggior vantaggio di un
pancreas artificiale, rispetto ai metodi tradizionali di cura del diabete, è quello che la
glicemia viene controllata secondo per secondo e ,quindi , si ha una maggiore
efficienza terapeutica che porta a una minor incidenza dei danni causati dal diabete.
Nella Figura 9 possiamo vedere uno schema di principio di questo sistema.
INFUSORE
SENSORE
ALGORITMO
DI
CONTROLLO
Figura 9: schema di principio di un pancreas artificiale
3
in caso di ipoglicemia viene iniettato glucosio
normalmente un paziente diabetico analizza il suo stato glicemico 2-3 volte al giorno tramite dei sensori portatili e ,in
relazione alla glicemia misurata, si applica delle iniezioni di insulina in quantità determinate
4
Descriviamo ora le parti principali di questo sistema:
• SENSORE: è un dispositivo per la misura continuativa della glicemia. Vedi
capitolo 2.
• CONTROLLORE: è un algoritmo di controllo che calcola la velocità di
infusione di insulina ed, eventualmente, di glucosio 3 in relazione alla risposta del
sensore. Vedi capitolo 3.
• POMPA: realizza l’infusione di insulina o, come già visto, di glucosio 3 su
comando del controllore. Vedi capitolo 4.
2. I SENSORI DI GLUCOSIO
Per la realizzazione di un pancreas artificiale è indispensabile la presenza di un
sensore che misuri in tempo reale e in continuità la concentrazione sanguigna di
glucosio; il dispositivo dovrà, inoltre, essere impiantabile nel corpo umano per avere
un continuo monitoraggio di glucosio “in situ”.
Elenchiamo i principali requisiti per un sensore di glucosio per il monitoraggio
continuo “in vivo” della glicemia:
• Deve misurare concentrazioni di glucosio in sangue o in tessuti interstiziali che
variano da 36 mg/dl a 360 mg/dl in maniera definita e ripetibile
• Tempo di risposta dell’ordine di 1-2 minuti ( tempo di risposta del pancreas ),in
maniera tale da seguire dinamicamente le variazioni di glicemia
• Risposta indipendente dall’idrodinamica dei fluidi corporei, es. flussi sanguigni
• Stabile meccanicamente e chimicamente
• Impiantabile:
- biocompatibile: sterile, atossico, stabile
- piccolo
- non deve aver bisogno di frequenti calibrazioni
- resistente all’ambiente aggressivo che si ha nel corpo umano
- facile rimozione5
Possiamo subito far notare l’estrema difficoltà di ottenere un dispositivo che abbia
tutte le caratteristiche elencate, cosa che limita di molto l’effettiva realizzazione di un
pancreas artificiale.
Nella quasi totalità dei casi, per il monitoraggio della glicemia sono usati dei
biosensori enzimatici (per richiamare alcune nozioni sugli enzimi vedi nota 6 ). I
biosensori sono dispositivi costituiti da un elemento sensibile di origine biologica
accoppiato a un sistema in grado di trasdurre il segnale biologico in un segnale
quantificabile. Sono intrinsecamente adatti ad essere impiegati per misure di
concentrazione di specie chimiche. Il principio di funzionamento dei biosensori
enzimatici si basa sul fatto che gli enzimi sono molecole molto selettive che
riconoscono il proprio substrato in mezzo a molecole diverse e vi reagiscono.
Nel caso di misure di concentrazione di glucosio vengono usati biosensori enzimatici
che sfruttano come elemento sensibile l’enzima glucosio-ossidasi (GOD) , questo
enzima6 catalizza l’ossidazione del glucosio secondo la relazione:
5
si ha rimozione in caso di ricondizionamento: es. il sensore viene ricaricato di enzima e sterilizzato. Vedi pagine
successive
6
nota sugli enzimi: gli enzimi sono i catalizzatori delle reazioni degli organismi viventi (fanno si che la velocità di
reazione di una reazione energeticamente favorita salga di alcuni ordini di grandezza); sono proteine globulari dal
peso molecolare molto alto ( 12000-106 dalton ) sono molto più grandi del substrato (sostanza catalizzata che reagisce,
Glucosio + GOD(FAD+) → acido gluconico + GOD(FADH2)← ossidazione glucosio (1)
GOD(FADH2) + O2 → H2O2 + GOD(FAD+)← riossidazione GOD(FADH2)
(2)
Il FAD è un flavina che funziona da cofattore dell’enzima GOD a cui è legato.
I biosensori più studiati sono di tipo elettrochimico e sfruttano la reazione di ossidoriduzione vista sopra, in
figura 10 possiamo vedere un tipi co biosensore enzimatico. La superficie del trasduttore è a contatto con l’enzima
E ( nel nostro caso è il GOD ) che viene trattenuto tramite una membrana sottile. In fase di misurazione il
sensore viene immerso nella soluzione da esaminare e il substrato S (nel nostro caso il glucosio ) diffonde
attraverso la membrana e reagisce con l’enzima. I prodotti P della reazione (acido gluconico o H2 O2 ) diffondono
verso il trasduttore per essere trasformati in un segnale quantificabile.
Figura 10: schema di principio di un biosensore enzimatico
Riportiamo le equazioni che descrivono relazioni tra E,S,P:
nel nostro caso il glucosio);molti enzimi hanno bisogno di cofattori per agire (nel nostro caso il cofattore del GOD è il
FAD). Gli enzimi, come tutti i catalizzatori, non vengono consumati nella reazione.
K1
K2
E + S ⇔ ES ⇒ E + P
(3)
K-1
Ki sono le costanti cinetiche per le reazioni.
Ricaviamo la velocità di reazione enzimatica (d[P]/dt) ovvero la velocità di formazione del prodotto. Questo
parametro è importante per ricavare i tempi di risposta di un sensore enzimatico.
d]S]/dt = -K1 [E] [S] + K-1 [ES]
d[ES]/dt = K1 [E] [S] – K-1 [ES] – K2 [ES]
d[E]/dt = K2 [ES] + K-1 [ES] – K1 [E] [S]
d[P]/dt = K2 [ES]
Conservazione enzima: [E0] = [E] + [ES] , E0 è la concentrazione iniziale di enzima
Visto che [E0] non può variare: d[E]/dt = d[ES]/dt
Stato stazionario: [ES]=cost ⇒ d[ES]/dt = 0
d[ES]/dt = K1 [E] [S] – (K -1 + K2 )[ES]= 0
[ES] = K1 [E] [S] / (K -1 + K2) = K1 ([E0] - [ES]) / (K -1 + K2)
⇒ [ES] = K1 [E0][S] / ( (K -1 + K2)/ K1 + [S] )
⇒ V = d[P] / dt = K2 [ES]
Vm[S]
Km + [S]
(4)
L’equazione 4 rappresenta l’equazione di Michaelis e Menten, con Vm= K2E0 e
Km= (K -1 + K2) / K1. Il valore di Km per il GOD è pari a 180 mg/dl.
Figura 11: rappresentazione grafica dell equazione di Michaelis e Menten
Il tempo di risposta di un sensore enzimatico è determinato anche dalla diffusione del
substrato verso la membrana e del prodotto verso il trasduttore (con una cinetica
determinata dalla legge di Fick). In conclusione la velocità di reazione dipende dalla
concentrazione dell’enzima tramite Vm, Km, dallo spessore della membrana e dello
strato enzimatico (più sono sottili più bassi saranno i tempi di misura) e dalle costanti
di diffusione del substrato verso la membrana e del prodotto verso il trasduttore.
Riguardo a questi argomenti si può fare riferimento alle dispense di bioingegneria.
2.1. SENSORI COLORIMETRICI
Sono i sensori più usati dai pazienti diabetici nel controllo del diabete a ciclo aperto. Il paziente si procura una
goccia di sangue (circa 3µl) e la mette in contatto con striscioline di carta impregnate di enzima (glucosio-ossidasi
e perossidasi) e di un substrato omogeneo (un cromogeno che, ossidandosi fa cambiare di colore la striscia di
carta).
Vediamo le reazioni in gioco:
GOD
Glucosio + O2 → acido gluconico + H2O2
(5)
PEROSSIDASI
H2O2 + substrato cromogeno ridotto
→ H2O + cromogeno ossidato
(6)
L’equazione (5) è la reazione somma delle reazioni (1) e (2), rappresenta, quindi,
l’ossidazione del glucosio catalizzata dal GOD.
In seguito, il perossido di idrogeno (H2O2) viene ridotto ad acqua tramite l’azione
dell’enzima perossidasi e con l’uso di un cromogeno che si ossida assumendo una
colorazione caratteristica. L’intensità del colore del cromogeno ossidato dipende
dalla quantità di H2O2 presente e quindi dalla quantità di glucosio presente (vedi (5)).
Ricapitolando possiamo legare la concentrazione di glucosio al colore, più
propriamente assorbanza, che assume il cromogeno ossidato.
La misura può essere fatta trasmettendo con un fotodiodo un segnale luminoso alla
strisciolina di carta e raccogliendo con un led il segnale riflesso che sarà modulato
dall’assorbanza della superficie; in seguito, convertendo in digitale il segnale
ricevuto, possiamo avere una comoda lettura della glicemia.
Vantaggi:
- Bassi costi
- Selettività (è sempre legata all’uso di GOD)
- Semplice da usare
Svantaggi:
- Errore troppo alto: circa il 15% che aumenta in casi di ipo o iperglicemia
- Fastidioso da usare ( visto che in un giorno un paziente dovrebbe fare dalle 2 alle 7
misurazioni ). Non si presta a seguire dinamicamente le variazioni di glicemia; ad
esempio nella notte si possono avere casi di ipoglicemia senza che il paziente se ne
accorga.
In conclusione questo tipo di sensori non sono assolutamente adatti per la
realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa, soprattutto per l’incapacità di
tale metodo di seguire le variazioni in tempo reale. Restano, in ogni modo, i sensori
più usati dai pazienti diabetici di tutto il mondo; dal momento che sono usati con il
metodo a catena aperta visto in nota 4.
2.2. SENSORE OTTICO A FLUORESCIENZA
In questo tipo di sensore7 si sfrutta la capacità della proteina concanavalina A (conA) di legarsi con zuccheri. In sostanza viene immobilizzata la con-A all’interno di
una membrana per dialisi a forma tubolare. All’interno della membrana viene
intrappolato destrano legato a FITC ( sostanza fluorescente ).Il tutto viene montato
sull’estremità di una fibra ottica che investe l’interno della membrana con un segnale
luminoso ( di intensità e frequenza nota ) che eccita la fluorescenza delle molecole di
destrano; in seguito il segnale riflesso attraversa la fibra ottica e arriva a un ricevitore
ottico. Chiaramente l’intensità del segnale riflesso cresce al crescere delle molecole
di destrano che non sono legate alla con-A.
Quando questo tipo di sensore viene immerso nella soluzione da esaminare, il
glucosio, che riesce ad attraversare la membrana perché è più piccolo del destrano,
concorre col destrano nel legarsi con la con-A; un determinato numero di molecole di
glucosio si legano alla con-A e liberano il destrano all’interno della membrana. La
glicemia modula l’intensità del segnale riflesso: maggiore è la concentrazione di
glucosio, maggiore è la quantità di molecole di destrano libere e, quindi, maggiore è
l’intensità del segnale riflesso.
Figura 12: schema di principio di
u un sensore ottico a luminescenza
Pregi:
- Risposta lineare nel range da 54mg/dl a 396 mg/dl - Tempi risposta sui 5 min
- Specifico per il glucosio visto che nel sangue non sono presenti altri zuccheri
7
questo tipo di sensori sono ancora in fase di sperimentazione.
Difetti
- Difficoltà di miniaturizzazione, cosa che rende impossibile l’uso di questi sensori
per essere impiantati nel caso di un pancreas artificiale a catena chiusa.
- Il sangue si comporta da interferente estinguendo la fluorescenza per azione
dell’ossigeno trasportato, questo difetto è per ora insormontabile e impedisce
l’effettivo utilizzo pratico di questo tipo di sensori.
2.3. SENSORE A INFRAROSSO
È costituito essenzialmente da uno spettrofotomero 8 a infrarosso che misura lo spettro
di onde che passano attraverso un braccio e da un sistema di elaborazione che
calcola i livelli di glucosio tramite algoritmi complessi. La calibrazione varia da
paziente a paziente visto che per ogni paziente è diversa la legge che lega lo spettro a
infrarossi con il livello glicemico; questo sensore va calibrato almeno due volte
l’anno confrontando la risposta con quella di un sensore di riferimento che preveda il
prelievo di sangue.
Pregi
- Non invasivo
Difetti
- Non troppo selettivi; gli algoritmi di elaborazione non potranno mai isolare
completamente dallo spettro infrarosso misurato il solo contributo dovuto al glucosio.
La non selettività è una caratteristica piuttosto comune ai sensori non invasivi
- Costoso
- Ingombrante; questa caratteristica non lo rende adatto all’utilizzo per un pancreas
artificiale.
- Va calibrato al cambiare delle condizioni fisiologiche del paziente, ad esempio per
perdita o aumento di peso
2.4. SENSORE POLARIMETRICO
Il principio di funzionamento di questi sensori è quello che una soluzione contenente
molecole chirali ( il glucosio è una molecola chirale destrorotatoria ) investita da un
onda piana polarizzata linearmente fa ruotare il piano di polarizzazione dell’onda di
una quantità dipendente dalla concentrazione della molecola chirale.
Nella pratica si misura la quantità di glucosio presente nell’umore acqueo dell’occhio
e la si lega alla quantità di glucosio nel sangue. Il metodo consiste nell’investire
l’occhio con un onda elettromagnetica piana e polarizzata linearmente (con
polarizzazione nota ), nel ricevere l’onda riflessa e di misurarne la polarizzazione.
Poi si calcola la variazione di polarizzazione rispetto all’onda iniziale e si lega
mediante relazioni note alla concentrazione di glucosio.
8
lo spettrofotomero è uno strumento che misura lo spettro di assorbimento o trasmissione di una determinata soluzione.
Pregi
- Non invasivo
Difetti
- poco selettivo, il glucosio non è l’unica molecola chirale presente nell’umore
acqueo dell’occhio
- ingombrante: è costituito da una sorgente luminosa, un polarizzatore e da un
ricevitore ottico. Quindi non è adatto, nella configurazione attuale, all’utilizzo per un
pancreas artificiale.
- costoso
2.5. SENSORE POTENZIOMETRICO
Un sensore potenziometrico è costituito essenzialmente dalla modifica di un sensore
per la misura del pH.
PH-metro
Un pH-metro ( Figura 13 ) è costituito da un elettrodo di misura (circondato da una
membrana di vetro che lascia passare gli ioni H+)e da un elettrodo di riferimento.
Tramite il voltmetro V di Figura 13 si misura la differenza di potenziale tra
l’elettrodo di misura (immerso nella soluzione di cui vogliamo misurare il pH ) e
l’elettrodo di riferimento, che è a potenziale costante e noto (vedi appendice sugli
elettrodi).Riportiamo ora la tensione letta dal voltmetro 9:
V=Vmis-Vrif
Figura 93:sensore di pH
9
Ricordiamo che un voltmetro ha resistenza interna molto alta. Per questo in una misura potenziometrica non c’è
passaggio di corrente e, quindi, le uniche cadute di tensione sono dovute ai potenziali di elettrodo,
(7)
Nella (7), Vmis rappresenta il potenziale dell’elettrodo di misura e Vrif il potenziale
di quello di riferimento.
Il potenziale di elettrodo di misura dipende dal pH della soluzione, per la legge di
Nernst (vedi appendice elettrodi):
Vmis = V0 +
RT
ZF
ln a ≈ V0 +
RT
ln[H+]
(8)
ZF
Dove a è l’attività dello ione H+ che approssimiamo con la sua concentrazione.
La tensione che leggiamo sul voltmetro dipende, come già visto, anche dal potenziale
dell’elettrodo di riferimento 10 che, essendo nota e stabile, ci permette di risalire al
potenziale dell’elettrodo di misura e quindi al pH È importante sottolineare che
l’elettrodo di riferimento deve essere a potenziale costante e con una elevata stabilità
( deve avere una stabilità molto più alta di quella del sistema ).
Da pH-metro a sensore di concentrazione di glucosio
Per sfruttare sensori di pH come misuratori di glucosio (figura 14) vengono
intrappolate molecole di GOD tra membrana di vetro e soluzione da analizzare
tramite una membrana per dialisi.
Figura 14
10
L’elettrodo di riferimento è posto in una soluzione a concentrazione nota di un elettrolita noto in maniera tale da
conoscere il suo potenziale
Si sfrutta la reazione (9) nella quale il GOD catalizza la reazione di ossidazione del
glucosio favorendo la produzione di acido gluconico.
GOD
Glucosio + O2 → acido gluconico + H2O2
(9)
La produzione di acido gluconico rende la soluzione più acida, si ha, quindi, una
riduzione del pH legata alla concentrazione del glucosio che si riperquote sul
potenziale di elettrodo di misura. La lettura del voltmetro ( V=Vmis-Vrif ) è
direttamente legata, come già visto, al pH della soluzione e, quindi, alla
concentrazione di glucosio.
Visto che questo tipo di sensori devono avere applicazioni in vivo, non si possono
usare i classici elettrodi di riferimento basati su Ag/AgCl o a calomelano perché
contengono degli elettroliti liquidi dannosi per l’organismo. Vengono sostituiti da
contatti metallo/ossido del metallo (esempio platino/ossido di platino) che, in
condizioni fisiologiche, hanno potenziali di elettrodo costanti.
pregi
- selettività
- buona sensibilità in tutto il range di misure di interesse
difetti
- difficoltà a realizzare, in vivo, un elettrodo di riferimento molto stabile a causa della
presenza dei fluidi fisiologici
- potenziale tossicità del GOD. L’enzima è immunogenico ovvero scatena reazioni
immunitarie
2.6. SENSORI POTENZIOMETRICI ALLO STATO SOLIDO: ENFET
Questo tipo di sensori sono costituiti da MOSFET (transistor ad effetto di campo con
un isolante, SiO 2 o Si3N4 , sul gate) nei quali il gate è sostituito da un elettrodo di
riferimento: ISFET (FET sensibili a ioni).
Un ISFET è costituito da un substrato di silicio di tipo p con due zone di tipo n che
formano drain e source. Sopra questo substrato viene depositato uno strato isolante di
Si3N4 che è sensibile agli ioni H+. Il gate è un elettrodo metallico immerso nella
soluzione di cui vogliamo misurare il pH.
L’interazione degli ioni della soluzione con lo strato di isolante modifica il campo
elettrico tra drain e source alterando, così, la conduttività del canale. In questo modo
la tensione di soglia del MOSFET cambia influenzando, per la (10), la corrente di
drain che è il parametro misurato. Ricordiamo che la tensione di soglia VT è quella
VGS per la quale il MOSFET diventa conduttivo.
Vediamo l’espressione della corrente di drain quando il MOSFET è polarizzato in
zona lineare:
IDRAIN=1/2K[ VGS-VT]2
(10)
Possiamo capire come, nelle giuste condizioni di polarizzazione, la corrente di drain è
modulata, tramite la VT dal pH.
Aggiungendo sullo stato isolante dell’ISFET uno strato di GOD (viene immobilizzato
chimicamente o intrappolato da una membrana) si ottiene un ENFET che ha un
comportamento perfettamente analogo a un sensore potenziometrico (figura 15).
In un dispositivo potenziometrico si misura direttamente un potenziale di elettrodo e,
quindi, si ha necessita di un voltmetro con impedenza di ingresso molto alta per non
alterare il segnale di ingresso che ha livelli di tensione bassissimi. Al contrario nel
sensore allo stato solido l’uscita è a bassa impedenza e ha, intrinsecamente, dei livelli
di tensione alti con un conseguente vantaggio sul rapporto segnale/rumore
(ricordiamo che l’ENFET si comporta da amplificatore).
Figura 15: ENFET
Vantaggi
- miniaturizzabile, richiede piccolissime quantità di enzima
Svantaggi
- non biocompatibile
- derive causate da imperfezioni sull’interfaccia dispositivo/fluido
- distacco della membrana sensibile
2.7. SENSORI AMPEROMETRICI
Un sensore amperometrico misura la corrente legata alle reazioni elettrochimiche e,
indirettamente, alla concentrazione di un elettrolita.
Nel nostro caso la quantità di glucosio presente modula la corrente che passa
dall’elettrodo di misura. Abbiamo un anodo di platino, polarizzato a 600mV rispetto
al catodo, che ossida elettrochimicamente H2O2 secondo la reazione:
H2O2 → 2H+ + O2 + 2e-
(11)
Maggiore è la quantità di glucosio maggiore è la quantità di H2O2 prodotta dalla
reazione enzimatica e maggiore sarà la corrente che attraversa l’elettrodo di misura.
Figura 16: sensore amperometrico
2.8. SENSORI TERMICI
Misurano la quantità di glucosio sviluppata da una reazione enzimatica (con GOD) e
la correlano alla quantità di glucosio presente.
difetti
- poco specifici, ogni reazione che avviene sviluppa una certa quantità di calore
- troppo pesanti e ingombranti
2.9. SENSORI MECCANO CHIMICI
Il GOD viene intrappolato in un idrogele formato da acido polivinilico
(PVA),materiale biocompatibile,e da polianilina, polimero che contiene gruppi
ionizzabili. L'idrogele è un sistema bifasico: è costituito da una rete polimerica con
gruppi carichi lungo la catena e da una soluzione acquosa contenente i controioni.
Quando il glucosio reagisce, tramite l’enzima GOD, si forma acido gluconico che
protona la polianilina; in questo modo l’idrogele diventa più idrofilico e si gonfia.
Sono stati realizzati dei sensori semi invasivi per il monitoraggio del glucosio in
continuo nei quali l'idrogele viene impiantato sottocute e il sensore è esterno.
Ad esempio, si è pensato a un trasduttore ultrasonico per monitorare i movimenti
dell’idrogele che, come visto, sono modulati dalla glicemia.
Altri sensori di questo tipo sono stati realizzati con un idrogele polimerico
contenente array colloidali cristallini e GOD. Per azione del glucosio il sistema si
gonfia. La lettura viene fatta investendo con luce bianca il sistema e rilevando la luce
riflessa che cambia colore con diversi livelli di glicemia.
2.10. PROBLEMATICHE CON I SENSORI IN VIVO
Il nostro obiettivo è quello di realizzare dei dispositivi che siano impiantabili per il
monitoraggio in continuo del livello glicemico; purtroppo i modelli di sensori visti
fino ad ora hanno un funzionamento adeguato solamente ex vivo o in vitro. In vivo il
tempo di vita di questi sensori è limitato a causa di processi infiammatori che ne
disturbano la risposta; mediamente hanno una vita di cinque giorni dopo di che vanno
espiantati.
Nell’utilizzo in vivo ci sono grossi problemi di deriva e di calo di sensibilità; la
deriva ( allontanamento della risposta dalla risposta ideale) è diversa da sensore a
sensore e da paziente e paziente, ed è causata da vari motivi: reazioni tissutali,
infiammazioni locali, infezioni, tossicità e occlusioni delle membrane da parte di
proteine o di cellule.
Il calo di sensibilità rispetto ai sensori in vitro o ex vivo è compreso tra 20% e 90% e
diminuisce ancora col tempo, probabilmente questo è dovuto a degli inibitori di GOD
presenti nel tessuto.
Inoltre si hanno grossi problemi di biocompatibilità legati all’effetto del GOD che è
immunogenico e tossico. Per questo motivo è di fondamentale importanza il
problema dell’immobilizzazione del GOD che viene fatta in due maniere:
• intrappolamento dentro una membrana: si ha il problema della perdita di GOD con
le conseguenze viste sopra
• immobilizazione chimica: si ha il problema dei reagenti tossici che si possono
liberare nell’organismo
Il calo di sensibilità e la deriva costringono a calibrazioni continue dopo l’impianto e
durante l’impiego, a questo si aggiunge il bisogno di ricondizionamenti per la
sostituzione dell’enzima. Possiamo capire, quindi, la scomodità dell’utilizzo di tale
tipo di sensori; nei fatti viene a mancare l’utilità di questi dispositivi impiantabili
ovvero la restituzione al paziente di una vita “normale” svincolata da continue
autoanalisi e iniezioni.
In conclusione è impossibile, almeno fino ad oggi, l’utilizzo di sensori impiantabili
per il glucosio e, quindi, la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa ;
per questi motivi il campo della ricerca nei sensori di glucosio è molto vivo: la
soluzione di questo problema renderà finalmente possibile la realizzazione di un
pancreas artificiale che porterebbe alla sconfitta di una delle piaghe dei nostri tempi:
il diabete.
2.11. METODI ALTERNATIVI PER LA MISURA DI CONCENTRAZIONI DI
GLUCOSIO
Viste le problematiche legate all’utilizzo di sensori in vivo siamo passati all’utilizzo di metodi alternativi che
isolano il glucosio dai fluidi corporei e effettuano misure ex vivo con i metodi visti fino ad ora. In questo modo
vengono risolti i problemi di biocompatibilità, di calo di sensibilità e di deriva legati all’utilizzo dei sensori di
glucosio in vivo.
IONOFORESI
Il metodo della ionoforesi consiste nell’applicazione di una corrente fra due punti
della pelle in modo tale da favorire l’apertura dei pori. In questo modo si provoca un
flusso di ioni nelle due direzioni e di solvente (liquido fisiologico) nella direzione
opposta alla corrente. Lo scopo di questa tecnica è quello di prelevare il liquido
fisiologico (che contiene il glucosio ) e di farci, esternamente, delle misure con i
sensori visti.
Il dipositivo consiste in due camere di prelievo di superficie 10 cm2 con due elettrodi
distanti 2 cm fra i quali viene applicata una corrente di circa 0.25 mA/cm2.Per
mantenere le condizioni elettrochimiche le due camere contengono una soluzione 0.1
M di NaCl.Il glucosio, estratto nella camera catodica, viene misurato per via
amperometrica.
vantaggi
- non invasivo
svantaggi
- il livello di glucosio misurato differisce da quello presente nel sangue: nelle camere
di misura c’è del glucosio proveniente dal metabolismo dei lipidi nella pelle, questo
fenomeno varia da individuo a individuo. C’è quindi la necessita di calibrazioni
diverse al variare dell’individuo..
- in caso di sudorazione il dispositivo non può funzionare perchè il glucosio si
diluisce.
- causa irritazioni alla pelle.
LA MICRODIALISI PER IL PRELIEVO DEL GLUCOSIO
La tecnica si basa sull’impiantazione, in un vaso sotto la cute, di una membrana
tubolare per dialisi nella quale viene fatto scorrere un fluido isotonico . Il glucosio
diffonde nella membrana per diffusione e viene pompato in una camera esterna dove
viene effettuata la misura di glicemia per via amperometrica.
Sono stati realizzati due dispositivi che sfruttano questo principio; il primo (figura
17) è formato da una membrana per dialisi (impiantata nel tessuto sottocutaneo); il
fluido isotonico viene pompato esternamente (velocità di 2 l/min) in una camera
dove viene mescolato con GOD per effettuare una misura amperometrica. Con
questo sistema si ha il problema dell’otturazione della membrana a causa della
formazione di uno strato proteico sulla sua superficie.
Figura 17: sistema di microdialisi per il prelievo del glucosio.
Nel secondo metodo (figura 18) si usa un sistema di circolazione extracorporea una
piccola quantità di sangue viene prelevato, dializzato esternamente e poi rimesso in
circolo.
In questa maniera la membrana per dialisi è facilmente sostituibile, si evita, così, il
problema del suo otturamento.
Figura 18: sistema di microdialisi per il prelievo del glucosio.
Nei due sistemi visti la concentrazione di glucosio dializzato può essere espressa
come:
C=Csangue(1-e-t/(VR) )
Dove Csangue è la concentrazione di glucosio nel sangue, V è il volume di fluido dentro
il tubo da dialisi, t è il tempo di dialisi, e R è la resistenza alla diffusione del glucosio
attraverso la membrana (inversamente proporzionale alle costanti di diffusione).
I tempi per raggiungere l'equilibrio (C = Csangue) determinano la velocità del sistema
(ordine di cinque o dieci minuti).
ULTRFILTRAZIONE
Con questa tecnica si preleva il glucosio tramite un tubo semipermeabile con una
pressione interna più bassa di quella corporea: il glucosio passa, dunque, per un
gradiente di pressione. Il sistema è molto più semplice di quello a microdialisi perché
non necessita di un pompaggio continuo. Un dispositivo realizzato e utilizzato in vivo
prelevava l’ultrafiltrato tramite una fibra cava connessa a una semplice siringa (per
mantenere il delta di pressione) e rilevava la glicemia tramite un sensore
amperometrico.
NOTA SUI METODI ALTERNATIVI
I metodi alternativi visti, soprattutto microdialisi e ultrafiltrazione, sono, in
prospettiva, più utilizzabili per la realizzazione di un pancreas artificiale a catena
chiusa soprattutto perché evitano l’impianto dell’enzima glucosio-ossidasi che, come
abbiamo visto, è immunogenico.
La sfida della tecnologia e dell’ingegneria sarà la miniaturizzazione di questi
dispositivi in modo tale da permettere il loro effettivo utilizzo in un sistema a catena
chiusa.
3. CONTROLLO DEL PANCREAS ARTIFICIALE
In questo capitolo affrontiamo il problema della realizzazione di un algoritmo di
controllo che calcoli, istante per istante, a partire dai dati che sono i livelli glicemici
determinati dai sensori visti, la velocità di infusione di insulina in maniera tale da
normalizzare la concentrazione di glucosio nel sangue; tecnicamente questo porta alla
realizzazione di un “controllore” del dispositivo di infusione che acquisisce i dati
provenienti dai sensori di glucosio e li elabora calcolando, istante per istante, la giusta
infusione di insulina,
L’algoritmo di controllo deve fare sì che l’intero sistema si comporti in maniera più
simile possibile al sistema di regolazione del glucosio in un individuo sano.
Il controllore deve anche prevedere, quando la glicemia è troppo bassa, un’ eventuale
infusione di destrosio, tramite un apposita pompa, per evitare il problema della
ipoglicemia; in pazienti diabetici trattati con insulina si hanno occasionali casi di
ipoglicemia lontano dai pasti.
Facciamo notare che il target di un algoritmo non è solo quello di normalizzare la
glicemia, ma anche quello di normalizzare l’insulinemia; livelli di insulina troppo
alti, infatti, portano a più frequenti casi di ipoglicemia e, a lungo periodo, accelerano
lo sviluppo dell’arterosclerosi.
Raggiungere la normalizzazione dell’insulinemia è tutt’altro che facile, questo
perché la somministrazione di insulina non avviene nella vena porta (la via
fisiologica), ma in una vena periferica. Nel soggetto non diabetico l’insulina secreta
dal pancreas nella vena porta raggiunge direttamente il fegato. Nel fegato il 50% di
insulina viene degradata e la parte rimanente entra nella circolazione. Si crea un
gradiente tra la concentrazione portale e periferica di insulina, questo gradiente
(gradiente porto-sistemico) esercita un importante controllo sul metabolismo epatico
del glucosio. È probabile che la via di somministrazione periferica non provochi una
sufficiente insulinizzazione epatica e che, per questo, la normalizzazione della
glicemia sia ottenuta solo a spese di livelli periferici di insulina troppo alti. Questi
fanno si che aumenti l’asssorbimento di glucosio nei tessuti insulino-dipendenti senza
sfruttare sufficientemente l’inibizione della produzione epatica provocata
dall’insulina.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati degli infusori impiantabili per
somministrazione intraperitoneale di insulina che sono in grado di far giungere
l’insulina al fegato tramite la vena porta e di stabilire, quindi, il gradiente portosistemico fisiologico.
3.1. ALGORITMI DI CONTROLLO NEI PANCREAS ARTIFICIALI
Le prime realizzazioni di pancreas artificiali furono realizzate nel 1974 da due distinti
gruppi di ricerca legati rispettivamente a Albisser e Clemens; facciamo notare che il
pancreas realizzato da Clemens è stato commercializzato col nome di BIOSTATOR
ed è stato utilizzato in particolari ambiti clinici (trattamento coma
diabetico,operazioni chirurgiche) con risultati soddisfacenti.
Algoritmo di controllo del Pancreas artificiale di Albisser
Nell’algoritmo di controllo del pancreas artificiale sviluppato da Albisser l’infusione
di insulina, IR(t), è legata alla glicemia, G(t), misurata ogni minuto tramite una
funzione a tangente iperbolica (equazione (12),figura 19).
(12)
1,0
IR(t) / Imax
PI
0,8
0,6
0.5
0,4
0,2
0,0
0
100
200
300
400
GI
GP(t)
Figura 19: caratteristica di controllo del pancreas di Albisser
Allo scopo di evitare casi di ipoglicemia è prevista una infusione di destrosio secondo
la stessa caratteristica (12).
(13)
Imax e Dmax rappresentano i valori massimi delle infusioni di insulina e destrosio, PI
e PD regolano la pendenza delle caratteristiche mentre GI e GD sono i livelli
glicemici per cui le infusioni sono alla metà del loro valore massimo.
La caratteristica principale dell’algoritmo di Albisser sta nel fatto che la glicemia
utilizzata per il calcolo dell’infusione di insulina non è quella misurata, G, ma una
proiezione temporale GP
GP = G + DF
(14)
DF è un fattore differenziale:
DF = k1 A3 + k2 A
(15)
A è la velocità di variazione della glicemia calcolata come media delle variazioni nei
cinque istanti precedenti. Questo accorgimento era stato preso per compensare il
ritardo (3-5 minuti) dovuto alla misura, ma divenne subito chiaro che era l’unica
maniera per riprodurre la prima fase della risposta delle beta cellule (vedi figura 7)
perché consentiva all’algoritmo di sentire la velocità di variazione di glicemia.
I parametri dell’algoritmo (Imax, Dmax, GI, GD, PI, PD, k1, k2) sono individuate
sulla base del peso e del fabbisogno giornaliero di insulina del paziente e ricalibrate
più finemente mediante procedimenti di tipo trial and error.
Algoritmo di Clemens: il Biostator
L’algoritmo di controllo di Clemens prevede tre tipi di controllo: 1) controllo statico,
in cui l’infusione di insulina dipende dall’ultimo valore misurato; 2) controllo
dinamico, in cui l’infusione di insulina dipende dalla variazione dei livelli glicemici;
3) controllo statico e dinamico che risulta dalla combinazione dei precedenti;
Controllo statico ( figura 20):
(16)
BI e RI hanno un’interpretazione fisiologica: BI rappresenta il valore desiderato di
glicemia, mentre RI rappresenta l’infusione basale in stato stazionario (quando
G(t)=BI).Quando G(t) sta al di sotto del valore desiderato di glicemia IR(t) viene
posto nullo. QI regola la pendenza della caratteristica.
1,0
IR(t) / Imax
PI
0,8
0,6
0.5
GI 0,4
0,2
0,0
0
100
BI
200
300
400
G(t)
Figura 20: Caratteristica statica del Biostator
Controllo dinamico :
IR(t)=K dG/dt
(17)
È un controllo derivativo puro, consente di riprodurre la prima fase della risposta delle beta cellule. La derivata
di G viene approssimato dalla pendenza della retta di regressione calcolata sulle ultime 5 misure. È possibile fare
questo avendo tempi di misura piuttosto bassi (circa 1 minuto).
Inoltre per ridurre la sensibilità dell’algoritmo al rumore di misura nella caratteristica
statica si usa il valore di glicemia prodotto dalla retta di regressione.
È prevista anche un infusione di destrosio per evitare effetti ipoglicemici .
I parametri dell’algoritmo (QI,RI,K) sono calibrati nel singolo soggetto mediante
procedimenti di tipo trial and error.
Algoritmo di controllo di Fisher
Questo algoritmo realizza semplicemente un controllo di tipo proporzionale e derivativo (PD).
IR(t) = a0 + a1(G-BI) + a2 (dG/dt)
(17)
250
1,0
200
0,8
IR(t) / Imax
glicemia
[mg/dl)
Dove BI è il valore di glicemia desiderato, a0 un’infusione basale di insulina mentre
a1 e a2 sono i parametri del modello. La parte proporzionale ha un funzione simile ai
controlli statici visti in precedenza, mentre la parte derivativa, come già visto,
consente di riprodurre la prima parte della risposta delle beta cellule.
150
100
50
0,6
0,4
0,2
0
0,0
0
2
4
tempo
6
8
10
[min]
0
2
4
tempo
6
8
[min]
Figura 21: risposta dell’algoritmo di Fisher a uno stimolo
glicemico
Le prestazioni (valutate da Fisher in vivo e con simulazioni al computer) degli algoritmi visti sono essenzialmente
equivalenti sia nel normalizzare la glicemia sia nella quantità di insulina usata.
3.2. DETERMINAZIONE DEI PARAMETRI DI CONTROLLO
Nessuno dei tre algoritmi visti in precedenza riesce a normalizzare perfettamente i livelli glicemici nè ad evitare
livelli insulinemici troppo alti sia in condizioni basali che dinamiche.
La non completa normalizzazione dei profili glicemici è dovuta al fatto che venivano impiegati parametri di
controllo medi.
Un notevole miglioramento dei profili glicemici si ottiene accordando i parametri dell’algoritmo di controllo alle
caratteristiche del paziente tramite una procedura molto rigorosa.
Il primo passo della procedura consiste nel determinare un modello che consenta di caratterizzare il sistema di
regolazione del glucosio singolo soggetto.
Il modello dovrà essere identificabile mediante esperimenti ingresso/uscita nella maniera tale che i suoi
parametri potranno essere identificati a partire dalla risposta della glicemia a ingressi noti di insulina (figura 22).
M
Ingressi Noti di
Insulina I
Modello del sistema
di regolazione
Glucosio/Insulina
PARAMETRI
Valore di glicemia
Rivelato G
G=M(I)
Figura 22: procedurà per determinare i parametri del modello del sistema di
regolazione del glucosio
10
Praticamente misurando nel soggetto sotto esame la risposta glicemica a certi ingressi
di insulina e sostituendo nell’equazione del modello ( G=M(I) con G misurato ed I
noto ) possiamo risalire ai parametri di M.
Una volta determinati i parametri del modello possiamo determinare i parametri dell’algoritmo di controllo che
ci fanno ottenere le prestazioni desiderate; usando parametri di controllo appropriati si riesce sia a migliorare il
profilo glicemico, sia a diminuire la quantità di insulina usata.
È da notare che anche utilizzando i parametri di controllo più appropriati possibile
non riusciremo mai a normalizzare l’insulinemia a meno di non utilizzare sistemi di
infusione intraperitoneali che stabiliscano il giusto gradiente portosistemico.
3.3. METODI ADATTIVI
Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato come sia importante accordare i
parametri del controllore al singolo paziente e come questo sia facilitato dall’uso di
modelli del sistema di regolazione de l glucosio che siano identificabili nel singolo paziente.
Questi modelli sono necessariamente semplici e quindi non in grado di descrivere
sufficientemente tutte le situazioni che può incontrare il paziente diabetico (sforzi fisici,
alimentazione, stress etc.). Inoltre molti dei parametri che caratterizzano il metabolismo
di un soggetto sono tempo varianti e necessitano, quindi, di continui aggiornamenti.
Per risolvere questi problemi le ricerche, a partire dagli anni 70 in poi, si sono
concentrate su tecniche di controllo di tipo adattivo.
Un algoritmo di controllo della glicemia basato su tecniche di tipo adattivo è in grado di
accordare automaticamente i propri parametri al variare delle situazioni e delle
caratteristiche metaboliche del soggetto. Il re golatore adattivo di figura 21 si compone di
due catene chiuse. La prima comprende paziente e controllore e fa si che l’errore tra
glicemia del paziente e glicemia desiderata si annulli il più possibile in ogni condizione di
variazione della glicemia.
La seconda catena comprende un modello del sistema di regolazione del glucosio di cui sono
stimati on-line i parametri e di un’interfaccia che accorda i parametri del controllore sulla
base delle variazioni dei parametri del modello.
Parametri del
modello
individualizza
Calcolo dei
Parametri del
controllore
Parametri del
controllore
Glicemia di
desiderata
+
Identificazione
del
modello
errore
insulina
Pancreas artificiale
(controllore)
Paziente
glicemia
Figura 21:schema di un controllo adattivo self-tuning
Facciamo un esempio pratico:
• Primo passo: scelta del modello
Scegliamo un modello stocastico di tipo ARX (autoregressivo con componente
esogena, vedi equazione (18) ).
Gk = – c1Gk-1 – c2Gk-2 + C3Ik-1 + C4Ik-2 + vk
(18)
Gk rappresenta la glicemia, Ik rappresentea la dose di insulina al k-esimo istante
(tempo di campionamento di un minuto).
vk è un segnale casuale, a media nulla indipendente dalle realizzazioni precedenti e
tale che:
E[vk]=0
E[vk, vr]=0 k≠r
E[vk, vr]=1 k=r
(19)
L’operatore E() esprime l’aspettazione di una grandezza stocastica. Facciamo notare
che vk è una variabile di tipo gaussiano.
• Scelta del tipo di controllo
Si sceglie un controllore a minima varianza (minimizza la varianza tra valore di
glicemia del paziente e glicemia misurata) e che minimizza la quantità di insulina:
Min ( E(ek2) + rIk )
(20)
con ek = Gk – G0, G0 =90 mg/dl è il valore desiderato di glicemia (valore tipico di un
soggetto sano), r=0.003 è un coefficiente empirico.
La soluzione di questo problema ci consente di calcolare la dose di insulina
all’istante k+1:
Ik = a1ek + a2ek-1 - a4Ik-1
(21)
ai = ci / ( c3 + r / c3 )
i=1,2,4
I parametri del controllore sono legati con semplici equazioni algebriche ai parametri
del modello. Stimando dai dati i parametri del modello potremmo quindi risalire ai
parametri del controllore.
• Terzo passo: identificazione dei parametri del modello
Per rendere adattivo il controllore è necessario stimare, istante per istante e in
maniera ricorsiva, i parametri del modello; questo porterà ad un identificazione in
tempo reale dei parametri del controllore con un conseguente “adattamento”
dell’algoritmo di controllo a quelle che sono le condizioni del soggetto in una
determinata situazione; ad esempio: i parametri saranno diversi dopo un’attività fisica
o dopo un periodo di riposo e saranno diversi da soggetto a soggetto.
Per identificare, ricorsivamente, i parametri del modello utilizziamo il metodo dei
minimi quadrati ricorsivi.
Scriviamo il modello in forma matriciale:
Gk = [ -Gk-1 -Gk-2 Ik-1 Ik-2 ] ⋅ [ c1 c2 c3 c4 ]T + vk = Ψ k ⋅ Ω k T
(22)
Ad ogni nuovo Gk+1 possiamo aggiornare i parametri:
Ω k+1 = Ω k + Γk [ Gk - ϑk ⋅ Ωk T ]
(23)
Dove Γk e ϑk sono matrici a coefficienti noti determinate con la tecnica dei minimi
quadrati ricorsivi.
Conclusione e problemi con i controlli adattivi
Un controllore che usa tecniche adattivo dovrà avere dei parametri che siano legati ai
parametri del modello del sistema di regolazione; i parametri del modello dovranno
essere stimati ricorsivamente dai dati nella maniera tale che il tipo di controllo cambi
(si adatti) al mutamento delle condizioni fisiologiche.
Il più grosso problema legato a controllori adattivi è legato al fatto che, in
determinate circostanze, possono diventare instabili; una causa di instabilità potrebbe
essere un errore nell’identificazione dei parametri del modello dovuto a un disturbo
esterno. Se un disturbo cambiasse il valore della glicemia misurata in direzione
opposta a quella che determinerebbe un ingresso di insulina , l’algoritmo adattivo
interpreterebbe questo come un cambiamento (o peggio un’inversione) della
sensibilità del soggettto all’insulina. Facciamo notare che questo fenomeno è stato
effettivamente notato in esperimenti in vivo.
Confrontando i metodi adattivi con quelli non tradizionali si è visto come non ci fosse
una grande differenza nella normalizzazione dei livelli glicemici a patto che i
parametri usati nei metodi non adattivi fossero rigorosamente individualizzati e
fossero aggiornati a intervalli di tempo piuttosto brevi; sono invece peggiori gli
algoritmi che usano parametri di controllo medi.
Chiaramente anche i metodi adattivi non riescono a normalizzare l’insulinemia a
causa della via di infusione periferica.
In conclusione: per il controllo ad anello chiuso della glicemia si possono usare vari
algoritmi di controllo (caratteristiche non lineari (12) (16) , controlli PD (17),
controlli a minima varianza (20) e altri ancora) , ma è fondamentale accordare i
parametri dell’algoritmo al singolo paziente (in maniera adattiva o no).
3.4. CONTROLLO A CATENA APERTA O PARZIALMENTE CHIUSA
A partire dalle prime ingombranti realizzazioni del pancreas artificiale sono stati fatti molti passi tecnologici sia
nella miniaturizzazione dei vari componenti (sensore impiantabile, infusore impiantabile e controllore esterno)
che hanno portato alla realizzazione di pancreas artificiali trasportabili e impiantabili sia, nel perfezionamento
degli algoritmi di controllo.
Tuttavia non siamo ancora riusciti a realizzare un sensore di glicemia che, a contatto con l’organismo del
paziente, mantenga la sua stabilità, sensibilità e specificità e che sia, nello stesso tempo, biocompatibile ( i più
recenti tipi di sensori non funzionano correttamente in vivo più di 4-5 giorni). In conclusione il sensore di glucosio
è un vero e proprio collo di bottiglia per la realizzazione di un pancreas artificiale a catena chiusa visto che la tecnologia
ci darebbe la possibilità di realizzare tutti gli altri componenti.
In attesa della risoluzione dei problemi legati ai sensori sono state ottimizzate strategie di controllo ad anello
aperto o parzialmente chiuso che migliorino la tipica strategia convenzionale.
La terapia convenzionale si basa su 3-4 iniezioni di insulina il giorno sulla base di misure di glicemia fatte con
sensori di tipo colorimetrico (strisciolina reattiva). Per sua natura è inadatta a seguire dinamicamente l’infusione
di insulina.
Un altro tipo di tecnica si basa sull’infusione, tramite un infusore impiantabile sottocutaneo o meglio ancora
intraperitoneale (in grado di ricreare il gradiente porto-sistemico), di un livello costante di insulina (che
riproduce il livello insulinemico basale) accoppiato a dosi impulsive di insulina prima dei pasti in modo da
riprodurre la risposta dinamica del pancreas. Con questo tipo di terapia riusciamo ad avere un buon controllo
glicemico ma aumentano i casi di ipoglicemia rispetto alla terapia tradizionale.
Esistono, poi, tecniche caratterizzate da una chiusura non continua della catena
(algoritmi a catena parzialmente chiusa) nei quali la glicemia viene misurata a
intervalli regolari (1-3 ore) e l’infusione, tramite una pompa portatile, è regolata da
algoritmi molto semplici. In genere la misura di glicemia viene fatta dal paziente
stesso con le solite striscioline reattive. Questo tipo di tecnica consente di migliorare
sia l’infusione basale di insulina, sia le dosi impulsive e permette di avere un buon
controllo. Praticamente con questo tipo di tecniche si passa da un pancreas artificiale
impiantabile a un pancreas artificiale portatile.
Bisogna, però, far notare che l’utilizzo di una pompa di insulina portatile ha, spesso,
un brutto impatto psicologico sul paziente. Studi recenti hanno dimostrato la non
completa necessità di una pompa portatile; è stato infatti dimostrato come la terapia
convenzionale basata su sole iniezioni sottocutanee sia paragonabile ai metodi a
catena parzialmente chiusa a patto di misurare la glicemia con la stessa frequenza e,
soprattutto, di ottimizzare lo schema terapeutico adattandolo al singolo individuo.
L’ottimizzazione viene raggiunta insegnando al paziente a selezionare le giuste dosi
di insulina tramite tabelle di decisione che il medico personalizza in modo empirico;
perhè questo metodo sia efficace il medico deve addestrare correttamente il paziente
che, a sua volta, si deve mantenere, sempre, molto motivato.
Sulla base di questo principio è stato realizzato un sistema elettronico tascabile che
permette al paziente di gestire autonomamente la terapia senza il bisogno di un
particolare addestramento. Il sistema riceve dei dati quali glicemie (misurate 4-5
volte giorno), carboidrati ingeriti nel pasto, tipo e durata di attività fisica e altri
ancora. Quindi, sulla base di questi dati, il sistema decide il tipo e la quantità di
insulina da iniettare.
4. POMPE DI INSULINA IMPIANTABILI
Gli algoritmi di controllo visti nel paragrafo precedente necessitano di un dispositivo
impiantabile, programmabile e comandabile elettricamente per il rilascio dell’insulina
all’interno dell’organismo. A questo scopo, negli ultimi anni, sono state sviluppate
delle pompe di insulina con tali caratteristiche. Questi dispositivi svincolano il
paziente diabetico da continue iniezioni e danno la possibilità di infondere insulina
per via sottocutanea o, meglio ancora, per via intraperitoneale; un grosso passo in
avanti nella realizzazione di questi infusori è stato fatto dal momento della
realizzazione da parte di un industria farmaceutica di un tipo di insulina che non
formava precipitati all’interno del serbatoio della pompa (prima di questa scoperta le
valvole degli infusori si occludevano dopo pochissimo tempo).
Facciamo notare come i problemi di un tale dispositivo elettronico/meccanico siano
molteplici:
• dove impiantare la pompa e dove infondere l’insulina
• deve avere le più piccole dimensioni possibili
• necessità di un tipo di insulina stabile alle temperature corporee
• problemi di biocompatibilità e di sicurezza (l’impianto potrebbe provocare delle
irritazioni permanenti se non realizzato con materiali biocompatibili, oppure un
guasto all’apparato meccanico potrebbe provocare una fuoriuscita letale di
insulina)
• affidabilità dell’elettronica per lunghi periodi in vivo
• quali tipi di batterie utilizzare ( devono durare a lungo senza essere pericolose per
l’organismo)
4.1. DOVE IMPIANTARE LA POMPA E DOVE INFONDERE L’INSULINA
In genere si usano pompe i cui serbatoi sono impiantati nell’esterno dell’addome
assicurati alla fascia muscolare con l’infusione, attraverso un catetere di lunghezza di
10-20 cm, intraperitoneale12 o periferica. Cerchiamo di spiegare perché si usano
queste due vie di infusione. In condizioni fisiologiche l’insulina viene secreta nella
vena porta e da questa raggiunge subito il fegato . Qui si ha una rapida
insulinizzazione epatica (nel fegato
buona parte dell’insulina viene degradata
facendo diminuire rapidamente la quantità di glucosio prodotta) e il raggiungimento
da parte dell’insulina di tutti i tessuti attraverso la circolazione periferica ( con
conseguente aumento dell’assorbimento di glucosio da parte dei tessuti insulino
dipendenti). Questo meccanismo garantisce una rapida risposta a aumenti di
concentrazioni di glucosio e , nel contempo, non c’è mai una concentrazione
sanguigna periferica di insulina troppo alta. La via di infusione portale non è
applicabile perché un eventuale trombosi causata dal catetere porterebbe a un embolia
nel fegato con conseguenze piuttosto gravi.
12
Il peritoneo è la membrana che riveste la cavità addominale sostenendo tutti gli organi che vi sono contenuti
La via di infusione intraperitoneale ha dei vantaggi perché parte dell’insulina viene
direttamente assorbita dalla vena porta e, quindi, si hanno dei livelli di insulina nella
circolazione periferica simili a quelli fisiologici (si genera il gradiente portosistemico di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti).
La via di infusione intravenosa viene usata nei casi in cui non è possibile usare quella
intraperitoneale; l’impianto è più semplice ma per la regolazione del glucosio si deve
usare una quantità maggiore di insulina a causa dell’insufficiente insulinizzazione
epatica .
4.2 STRUTTURA DI UNA POMPA IMPIANTABILE DI INSULINA
Una pompa impiantabile di insulina di tipo meccanico (figura 22) è composta
da un serbatoio di insulina, da un pistone, da due elettrovalvole (A e B), da un
catetere e dall’elettronica di controllo del pistone e delle valvole A e B.
Il serbatoio di insulina è costruito, chiaramente, con un materiale siliconico
biocompatibile, ha un volume che varia dai 15 ai 25 ml, un peso dai 150 ai 300 g e
una dimensione di circa 10x2 cm. È, inoltre, provvisto di una piccola valvola con la
quale viene effettuato il ricaricamento di insulina con una siringa.
Figura 22: schema di una pompa impiantabile per insulina
La pompa è controllata da un controllore esterno (vedi paragrafo precedente) per
telemetria; vediamo come avviene l’infusione:
viene aperta la valvola A e aspirata insulina tramite un movimento del pistone verso
l’alto; in seguito viene chiusa la valvola A, aperta la valvola B e, con la pressione del
pistone viene iniettata insulina nel catetere e, quindi, all’interno del peritoneo. Sono
previste due modalità di infusione che vengono applicate insieme:
un’infusione costante (che corrisponde all’infusione basale di insulina vista nel
paragrafo precedente) e un infusione impulsiva (bolo).
Il catetere è fatto di gomma siliconica e politilene.
Tutto il sistema viene alimentato con una batteria di 3V, grande all’incirca come
quella di un orologio, che ha una durata di circa 3 anni; è importante che la batteria
non rilasci degli elettroliti dannosi per l’organismo (neanche in caso fortuito di
rottura).
Per evitare fenomeni di iperglicemia o di ipoglicemia associati a dei mal
funzionamenti o dei guasti sono previsti dei meccanismi di sicurezza:
elettronica ridondante (se si rompe un dispositivo che ha una certa funzione ce n’è
sempre un altro in parallelo che svolge la stessa mansione); chiusura delle valvole in
caso di malfunzionamento (se si infondesse troppa insulina a causa di un
malfunzionamento dell’elettronica le conseguenze per l’organismo potrebbero essere
piuttosto gravi); avviso in caso di batteria scarica e altri ancora.
La ricarica dell’insulina viene fatta in genere circa ogni mese.
In tutte le pompe di insulina è prevista la possibilità di sostituzione del catetere in
seguito a possibili occlusioni della sua punta, è, in genere, previsto un sistema di
diagnosi dell’occlusione del catetere che calcola la resistenza dello stesso a un flusso
noto di una soluzione campione iniettata attraverso la porta di accesso della pompa
(valvola di riempimento del serbatoio) .
Esistono anche dei modelli di pompe sprovviste di pistone in cui nel serbatoio è
mantenuta una pressione positiva con del Freon , l’infusione di insulina avviene con
l’azione delle due elettrovalvole che stanno a valle del serbatoio.
4.3. ESPERIENZA CLINICA E COMPLICAZIONI CON L’USO DI POMPE
IMPIANTABILI DI INSULINA
L’esperienza clinica nell’uso di questo tipo di dispositivi ha dimostrato che,
soprattutto con l’uso di pompe intraperitoneali, si ha una buona regolazione dei
profili glicemici del paziente diabetico rispetto all’infusione di insulina mediante le
tradizionali siringhe senza, nel contempo, incorrere in frequenti casi di ipoglicemia, a
patto che il controllo dell’infusione sia fatto correttamente. Ricordiamo però che il
maggior vantaggio dell’uso di dispositivi di infusione intraperitoneali è soprattutto
quello di garantire una corretta insulinizzazione epatica e, quindi, di normalizzare
anche i livelli di insulina rendendoli confrontabili a quelli fisiologici.
Le complicazioni maggiori sono quelle dell’occlusione del catetere a causa del
deposito di proteine, tessuti fibrosi dell’organismo o di aggregati dell’insulina.
Quando si verificano questi problemi bisogna ricorrere a interventi chirurgici.
Un altro problema è il deposito di aggregati di insulina dentro la camera del pistone
questo dà dei notevoli problemi con i flussi sia in fase di aspirazione di insulina dal
serbatoio sia in fase di infusione; la soluzione a questo problema è l’iniezione nella
riserva di una soluzione basica che dissolve gli aggregati e restituisce il normale
flusso.
Bisogna anche tenere conto del fatto che un impianto di questo dispositivo può provocare infiammazioni, dolore
e, in certi casi, infezioni che portano all’espianto di tutto il sistema.
APPENDICE SUGLI ELETTRODI
Quando un metallo è immerso in una soluzione ( contenente ioni del metallo ) si può
verificare il passaggio in soluzione di alcuni atomi del metallo come cationi (1),
oppure il depositarsi sul metallo, allo stato di atomi neutri, di alcuni dei cationi del
metallo presenti in soluzione (2).
Me ⇔ MeN+ + Ne-
(1) (Dove N è il numero di elettroni trasferiti)
Men+ + Ne- ⇔ Me (2)
Nel caso (1) atomi del metallo abbandonano il reticolo cristallino e passano nella
soluzione come ioni positivi , sulla superficie del metallo a contatto con la soluzione
viene a crearsi un accumulo di cariche negative. Questo porta alla formazione,
all’equilibrio, di un doppio strato elettrico all’interfaccia metallo soluzione che porta
ad avere all’equilibrio una differenza di potenziale negativa tra soluzione ed elettrodo
(figura a).
Figura j: caso descritto in
equazione (1)
Nel caso (2) , una volta raggiunto l’equilibrio abbiamo un eccesso di cariche positive
sulla superficie del metallo in quanto i cationi hanno sottratto elettroni al reticolo del
metallo.Nella soluzione sullo strato interfacciale rimarrà un eccesso di cariche
negative (anioni del sale) che si distribuiscono in maniera tale da controbilanciare le
cariche positive sulla superficie metallica. La formazione del doppio strato elettrico
sull’interfaccia metallo soluzione porterà, all’equilibrio ad avere una ddp tra positiva
tra soluzione e elettrodo (figura b).
Figura k: caso descritto
in equazione (2)
In conclusione la differenza di potenziale che si ha,all’equilibrio tra metallo e
soluzione è detta potenziale di elettrodo.
Per calcolare la ddp tra fase metallica e soluzione sfruttiamo la legge di Nernst:
V = V0 +
RT
ln
ZF
ao
≈ V0 +
ar
RT
ln
ZF
Co
(3)
Cr
Ao: attività specie che si ossida ≈ Co: concentrazione specie che si ossida
Ar: attività specie che si riduce ≈ Cr:concentrazione specie che si riduce
T: temperatura soluzione in gradi Kelvin della soluzione
Z: Valenza dello ione
F: costante di Faraday
R: costante dei gas
V: potenziale di elettrodo
V0: potenziale di elettrodo quando C0 = Cr, i potenziali V0 sono tipici di una
semicella ovvero dipendono dal metallo con cui è fatto l’elettrodo e dall’elettrolita in
soluzione ( si trovano tabellati).
Applichiamo la (3) alla (2):
CMen+
RT
V = V0 +
ln
ZF
≈ V0 +
RT
ln CMen+
(4)
ZF
Per approfondimenti si rimanda al corso di strumentazione biomedica.
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