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economia aziendale
INSEGNAMENTO DI
ECONOMIA AZIENDALE
LEZIONE V
“LA VALUTAZIONE DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO:
LA REDDITIVITÀ AZIENDALE”
PROF. DOMENICO DEL SORBO
Economia Aziendale
Lezione V
Indice
1
Cos’è L’equilibrio Economico ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Il Concetto Di Economicità In Relazione All’equilibrio Economico-------------------------------------------------- 5
3
Come Si Determina Il Reddito D’impresa --------------------------------------------------------------------------------- 7
3.1
Caso - Dalla Costituzione (T0) Al Primo Periodo Di Esistenza (T1) Dell’azienda --------------------------------- 8
3.2 Struttura Del Reddito Riferito Ad Un Periodo Intermedio Della Vita Di Un’impresa ------------------------------- 11
3.3 Il Principio Di Prudenza------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
3.4 Caso- Valutazione Delle Rimanenze Al Prezzo Di “Presumibile Realizzo” ------------------------------------------ 14
4
Conclusioni --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Economia Aziendale
1
Lezione V
Cos’è l’equilibrio economico
Dopo la disamina del sistema contabile applicato all’azienda occorre prendere in
considerazione il concetto di “equilibrio economico”.
L’azienda ha, per sua natura, l’esigenza di sviluppare l’attività produttiva in modo tale che il
valore economico della produzione risulti sistematicamente superiore al valore dei fattori che
vengono consumati nel processo produttivo. Per questo si dice che l’attività dell’azienda crea
valore.
La concezione di “equilibrio economico” non può che ritrovarsi laddove l’azienda è riuscita
a “produrre valore” cioè a far lievitare attraverso la sua attività organizzata, il valore dei fattori
produttivi che ha utilizzato e consumato.
La condizione di “equilibrio economico” nelle imprese (che stanno sul mercato in
competizione con le altre secondo le regole della domanda e dell’offerta) è tale quando il flusso dei
ricavi:
-
permette la reintegrazione dei costi sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi
necessari alla produzione;
-
da un adeguato margine di profitto, inteso come espressine del valore creato
dall’iniziativa imprenditoriale.
E’ consequenziale che se si realizzano i presupposti dell’equilibrio economico, si realizza
altresì l’equilibrio finanziario poiché anche i flussi delle entrate finanziarie (che misurano i ricavi)
si presentano superiori ai flussi delle uscite finanziarie (che misurano i costi).
Concretamente se si valuta la situazione nell’arco del breve periodo può verificarsi uno
sfasamento temporale tra uscite ed entrate conseguente alla dinamica degli acquisti e delle vendite,
dovuti alle differenti modalità di contrattazione (ottenimento di dilazioni dai fornitori o concessioni
di dilazioni ai clienti) o alla dinamica dei finanziamenti ottenuti o concessi.
Perché avvenga una coesistenza tra equilibrio economico e finanziario in un sistema di
impresa, sono necessari idonei strumenti di accesso al credito che permettono una adeguata
correlazione tra il circuito degli investimenti e quello dei finanziamenti, di modo che i ricavi vadano
sempre a reintegrare tutti i costi, compresi quelli derivanti dalla copertura esterna, a titolo di
prestito, di eventuali fabbisogni finanziari dovuti a sfasamenti tra uscite, necessarie per attuare gli
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Economia Aziendale
Lezione V
investimenti, ed entrate, derivanti dal graduale processo di recupero degli stessi attraverso
l’acquisizione progressiva dei ricavi nella veste monetaria.
Tuttavia la concezione di equilibrio dell’impresa va considerata in un senso più ampio. Nel
senso che, è importante nelle aziende a forma di impresa che i valori di redditività soddisfino le
attese del soggetto economico che ha in esse investito.
In tal caso rileva che si realizzi una condizione di “equilibrio economico” soggettivo. Ciò
sta a significare che la gestione dell’impresa, oltre ad assicurare il soddisfacimento delle attese
minime del proprio soggetto economico, deve permettere di remunerare congruamente anche il
capitale e l’attività imprenditoriale.1
Le condizioni di equilibrio devono intendersi, quindi come una zona in cui ricadono una
serie di rapporti ricavi-costi ritenuti più o meno soddisfacenti dal soggetto economico.
Un po’ diversa è la situazione nelle tipologie di aziende che non operano in forma di
impresa (aziende cooperative, fondazioni, associazioni, aziende pubbliche ecc.).
In tali realtà, viene a mancare la rispondenza biunivoca tra valori economici e valori
finanziari.
Ne consegue che potrebbe essere realizzato l’equilibrio finanziario tra entrate e uscite senza
che si realizzi l’equilibrio economico (di qui, la scarsa economicità di tali tipi di aziende).
La contabilità delle aziende pubbliche, delle associazioni, delle fondazioni si è, infatti,
tradizionalmente limitata a verificare l’equilibrio finanziario tra entrate e uscite (di competenza e di
cassa) ma non sono stati individuati strumenti utili a valutare i termini economici della gestione. Il
valore dei fattori consumati è formato dai beni o servizi ricevuti gratuitamente o a “ prezzi politici”,
mentre, il valore delle produzioni ottenute è formato da beni o servizi ceduti agli utilizzatori
gratuitamente o a “prezzi politici”.
L’equilibrio soggettivo – scrive Cattaneo – “trova verificazione quando, dato la situazione di minimo equilibrio, il
risultato economico di periodo è giudicato congruo per l’attuazione del programma di gestione volto al
soddisfacimento, nel temo, del fine d’impresa”.
“Si tratta di una classe di condizioni – prosegue l’autore- che implica la considerazione delle prospettive di evoluzione
dell’impresa (e non solo del raggiungimento di meccaniche condizioni di minimo equilibrio tra ricavi e costi) nonché
l’espressione di un giudizio complessivo formulato, essenzialmente, dai comportamenti del soggetto economico, tenuto
conto delle aspettative degli interessi esterni aziendali”, M. CATTANEO 1973, p. 152.
1
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Lezione V
Il concetto di economicità in relazione
all’equilibrio economico
Il concetto di “economicità” dell’azienda, nell’accezione più generale, si estrinseca nella
efficace ed efficiente gestione delle risorse disponibili.
L’efficace ed efficiente gestione dipende dalla capacità dell’organizzazione aziendale di
raggiungere un adeguato livello di composizione delle forze interne ed esterne alla propria attività
economica. Questo richiede la capacità di selezionare obiettivi che incontrano le attese degli
operatori, nonché di ottenere i massimi rendimenti dall’insieme delle risorse utilizzate, col minore
costo possibile.
Adeguati livelli di economicità (intesa in termini di efficacia strategica e di efficienza
operativa) appaiono condizione necessaria e sufficiente per consentire all’organizzazione produttiva
di sopravvivere agevolmente nel tempo in condizioni di equilibrio.
In una seconda accezione l’economicità è intesa come l’attitudine dell’azienda ad offrire
permanentemente adeguata remunerazione a tutti i fattori produttivi2.
Appare evidente che in siffatta accezione, il carattere dell’economicità deve avere come
fondamentale riferimento l’impresa perché solo in tale organizzazione si può parlare di “adeguata
remunerazione dei fattori produttivi e della funzione di imprenditorialità”.
Questa seconda accezione si identifica, quindi, con le condizioni di equilibrio dell’impresa.
Si può, tuttavia, osservare che le condizioni di equilibrio sembrano porre in primo piano
l’attenzione sul rapporto oggettivo tra ricavi e costi, laddove – invece – il concetto di economicità
sembra richiamare aspetti soggettivi di soddisfazione dei soggetti implicati nelle vicende
dell’impresa che devono essere adeguatamente remunerati. Differenza solo apparente considerato
che l’equilibrio economico, in una visione di lungo periodo, implica necessariamente il
soddisfacimento delle attese di tutti i protagonisti dell’iniziativa imprenditoriale e richiede che la
gestione si svolga con efficacia ed efficienza.
Nei gruppi di impresa che includono organizzazioni legate da vincoli di partecipazione,
oppure organizzazioni legate da vincoli contrattuali, l’assetto economico del sistema è più
controverso.
2
In tal senso P. ONIDA 1971, p. 58 e G. FERRERO 1968, p. 200.
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Lezione V
Il fatto che ogni società del gruppo sia formalmente un “autonomo soggetto di diritto”
comporta il rischio che il potere di direzione si traduca in scelte pregiudizievoli per le altre.
La dottrina considera le organizzazioni controllate come ”dipendenti operative di altre
imprese” prive di due requisiti essenziali per essere considerate aziende:
1.
la visione sistemica, che implica la circolarità tra obiettivi, operazioni e
controllo;
2.
l’autonomia decisionale, anche strategica.
Questa considerazione vale solo dal punto di vista strategico/gestionale, mentre
giuridicamente ogni azienda mantiene la sua autonomia di “soggetto giuridico” con un capitale e un
patrimonio assestante.
Quindi, dal punto di vista della valutazione economica i comportamenti delle singole
imprese del gruppo possono essere orientati e condizionati dagli obiettivi e dalle scelte della
holding, e sotto il profilo giuridico, la holding è chiamata rispondere, assieme alle società
controllate, dei danni sofferti dai soci esterni e dai creditori per il non corretto uso del potere di
direzione strategica del gruppo.
Possiamo concludere dicendo che le imprese vivono in equilibrio economico e
retribuiscono adeguatamente i fattori produttivi, se e quando la loro gestione si sviluppa con
economicità, intesa in termini di efficacia strategica ed efficienza operativa.
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Lezione V
3 Come si determina il reddito d’impresa
Abbiamo detto dell’importanza della redditività dell’impresa ai fini dell’equilibrio
economico (e finanziario). Ora passiamo ad esaminare, più tecnicamente, come si determina il
reddito d’impresa.
Il reddito totale d’impresa è pari all’incremento o al decremento che il capitale conferito
dalla proprietà (soci o imprenditore unico) ha subito per effetto di tutte le operazioni compiute in
un determinato arco di tempo pari all’intera vita dell’impresa.
Per la determinazione del reddito totale si prendono in considerazione i componenti positivi
di reddito (ricavi totali conseguiti) e quelli negativi (costi totali sostenuti) correlate al capitale
finanziario (differenza tra crediti e debiti).
Il reddito totale rappresenta solo un’idea guida per rendere comprensibile quello di reddito
di periodo rilevante ai fini della gestione e delle scelte strategiche da adottare.
Il reddito di periodo prende in considerazione le medesime variabili considerate nella
determinazione del reddito totale, ma riferite ad un arco di tempo predefinito.
I soggetti determinano il reddito di periodo indotti dalle seguenti esigenze:
rappresenta un parametro di verifica delle strategie adottate;
consente di misurare la ricchezza conseguita nel periodo per effetto della
gestione che fa dal limite alla quantità di utile prelevabile da parte dei proprietari (o soci);
da informazioni ai soggetti terzi interessati sulla misura dei redditi relativi a
differenti periodi e sulla composizione del capitale nel tempo;
è previsto per legge, in relazione alla tipologia e alla dimensione aziendale;
serve per determinare il reddito fiscalmente imponibile.
Come prima operazione, bisogna ripartire i costi e i ricavi nel tempo e nello spazio.
I costi si dividono in
1.
costi originari (relativi all’acquisto dei fattori produttivi, determinati
moltiplicando le quantità dei fattori acquistati per i prezzi d’acquisto)
2.
costi derivati o costi di imputazione ( sono il risultato dei costi di fattori
produttivi a fecondità ripetuta ripartito in funzione delle variabili di spazio e tempo.
Stessa suddivisione va fatta per i ricavi:
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1.
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ricavi originari o ricavi entrata (relativi alla vendita dei prodotti, che sono il
risultato delle quantità vendute per i relativi prezzi)
2.
ricavi derivati o ricavi imputazione (sono il risultato di riclassificazioni dei
ricavi originari in funzione delle variabili di tempo e spazio necessarie per passare dai ricavi
delle produzioni vendute ai “ricavi di periodo” o di “definite attività produttive”- come una
commessa più complessa)
Per operare questa suddivisione è necessario avere ben chiaro il concetto di competenza
economica, ossia le condizioni che vengono assunte come utili per individuare i costi e i ricavi da
considerare di pertinenza di un dato periodo, dalla differenza dei quali scaturisce la misura di
reddito attribuibile ad un dato periodo.
La logica applicata è quella che definisce di competenza i differenti periodi dei costi e dei
ricavi relativi ai processi compiuti in ciascuno di essi: con la precisazione che si ritengono compiuti
in un definito periodo solo i processi produttivi che si sono chiusi con il conseguimento dei ricavi,
e sempre che siano state effettuate nel periodo stesso da parte dell’impresa, anche le relative
operazioni. Pertanto sono di competenza del periodo i ricavi finanziariamente conseguiti, per i
quali sia stata effettuata la relativa prestazione da parte dell’impresa.
Saranno invece considerati “in corso di svolgimento” i processi produttivi nei quali i ricavi
non sono stati ancora conseguiti, ed i processi nei quali, pur essendo stati conseguiti i ricavi, devono
ancora essere effettuate dall’impresa tutte le prestazioni, o parte di esse.
I costi e i ricavi relativi ai processi ancora in corso competeranno ai periodi successivi nei
quali i processi avranno compimento col conseguimento dei ricavi o col completamento delle
prestazioni ancora da effettuare.
3.1
CASO - Dalla costituzione (t0) al primo periodo di esistenza (t1)
dell’azienda
L’impresa X, con riferimento al suo primo periodo di esistenza, ha compiuto le seguenti
operazioni:
Costituzione
Conferimento capitale in denaro
1.000
Acquisto di fattori produttivi
Fattori a fecondità ripetuta
400
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Contanti
Merce (quantità 10 x prezzo 50)
500
(Pagamento dilazionato)
Lavoro
100
Servizi
100
Vendita merce (quantità 5 x prezzo 120)
600
(Concedendo credito)
Al tempo t1, ai fini della determinazione del reddito, vengono svolte le seguenti considerazioni:
1. Le rimanenze di merci non vendute vengono consegnate al periodo futuro per un valore
determinato in base al prezzo di costo (quantità in rimanenza 5 x prezzo di acquisto 50 =
250)
2. i fattori a fecondità ripetuta si reputano ancora utilizzabili per un valore di 350
3. si corre il rischio di perdite sui crediti di funzionamento (concessi alla clientela) per 20
4. si ritiene di dover sostenere costi futuri per interventi di garanzia sulla merce venduta per 10.
Impresa X – Reddito periodo t0 – t1
Componenti negativi
Componenti positivi
Costi sostenuti nel periodo
Ricavi conseguiti nel periodo
Acquisto ffr.
400
Acquisto merce
500
Lavoro
100
Acquisto servizi
100
Ricavi da rinviare al futuro
Vendita di merce
600
Costi da rinviare al futuro
Merce
250
Ffr.
350
Costi/perdite future presunte
(rischi in essere)
Perdite su crediti
20
Costi futuri per interventi
di garanzia
10
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1.130
Utile
70
Totali
1.200
1.200
Impresa X – Capitale al tempo t1
Attività
Passività e capacità di proprietà
Denaro
400
Debiti di funzionamento
Crediti di funzionamento
580
Passività presunte
500
10
(600 – 20)
Merce
250
Ffr.
350
Capitale di proprietà
Capitale tempo t0
Reddito (t0 – t1)
Totali
1.580
1.000
70
1.580
Dall’esame del caso risulta chiara l’attribuzione delle competenze di costi e ricavi al periodo di
riferimento.
La tabella riporta un utile (quindi un reddito di esercizio) pari a 70.
Questo valore viene fuori dalla differenza tra:
- i ricavi di competenza del periodo di riferimento (t0 – t1)
merce venduta (50 x 120 ricavo unitario): 600
- meno i costi di competenza del periodo di riferimento (t0 – t1)
costo lavoro: 100
costo servizi: 100
ammortamento dei fattori a fecondità ripetuta (ffr. / o impianti): 50
costo merce venduta (50 x 5): 250
costo per interventi di garanzia futura sulla merce venduta nel periodo di riferimento: 10
costo per perdite su crediti di funzionamento (pagamento merce): 20
per un totale di 430.
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Dalla differenza risulta un utile lordo di 70.
3.2 Struttura del reddito riferito ad un periodo intermedio della vita di
un’impresa
La struttura del reddito di un qualsiasi periodo intermedio (tn – 1 / tn) differisce da quella
riferita all’arco di tempo t0 – t1 a ragione dei legami che il periodo ennesimo presenta col passato.
Tali legami sono assenti ovviamente nel reddito del primo periodo di vita dell’impresa.
L’impresa inizia un qualsiasi periodo ennesimo con dei processi che sono in corso di svolgimento:
dispone di fattori a fecondità semplice e di fattori a fecondità ripetuta, acquistati in periodi
precedenti, ancora utilizzabili; di prodotti (a differenti stadi di lavorazione), ottenuti in precedenti
periodi, da vendere; deve rendere prestazioni per le quali ha già conseguito, in precedenti periodi,
ricavi anticipati.
I costi ed i ricavi sostenuti e conseguiti anteriormente al tempo tn – 1, relativi ai suddetti
processi in corso, non sono stati considerati nella determinazione del reddito del precedente periodo
e sono stati “consegnati” alla competenza del periodo ennesimo, oggetto di considerazione.
Sicché il reddito del periodo ennesimo include anche un primo strato di componenti,
formato dai costi e dai ricavi provenienti dal precedente periodo e trasferiti alla competenza del
periodo ennesimo.
La struttura del capitale al tempo tn non differisce da quella che abbiamo esaminato per il
capitale al tempo t1 se non per i riferimenti temporali.
La difficoltà maggiore sorge per la valutazione delle “operazioni in corso” (rimanenze) a
fine periodo.
Si parte dall’ipotesi che l’impresa continui a funzionare normalmente dopo il tempo tn
(ipotesi di continuità della gestione), e cioè che la sua attività di produzione continui a svolgersi nel
tempo futuro. Questo implica che i valori delle operazioni in corso (beni disponibili per le
produzioni future e obbligazioni da soddisfare) siano determinati tenendo conto di come potranno
svolgersi le future vicende produttive.
In tale ottica il valore delle obbligazioni da soddisfare (passività) è rappresentato, in ultima
analisi, dalla quantità di risorse finanziarie che, presumibilmente, sarà necessaria per estinguerle.
Tale valore di presumibile estinzione rappresenta il “minimo” attribuibile ad una passività, in
quanto un valore più basso non sarebbe certamente ragionevole.
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Più complesso si presenta il problema per le attività. Infatti il valore di tali beni ( materiali e
immateriali) in rimanenza a fine periodo è strettamente correlato alle possibilità, alle prospettive di
utilizzo degli stessi nelle future combinazioni produttive. Il loro valore, pertanto, è funzione dei
ricavi futuri che chiuderanno le combinazioni produttive, consentendo o meno il recupero di tali
investimenti.
Più precisamente, il valore dei beni è legato al prezzo che si presume di poter realizzare
dalla loro vendita (realizzo diretto) o dalla vendita dei prodotti all’ottenimento dei quali i beni in
rimanenza contribuiranno (realizzo indiretto).
Dobbiamo prendere in considerazione il valore presumibile di realizzo diretto per la
valutazione dei prodotti finiti, delle merci o di altri beni (anche semilavorati) destinati alla vendita,
dei crediti ancora da incassare a fine periodo. Il valore di presumibile realizzo indiretto deve essere,
invece, considerato per la valutazione dei prodotti in corso di lavorazione, dei semilavorati non
destinati alla vendita come tali, dei fattori produttivi a fecondità ripetuta e di quei fattori produttivi a
fecondità semplice che, partecipando alla combinazione produttiva, si incorporano in un prodotto
qualitativamente diverso.
Il prezzo di presumibile realizzo è rappresentato da una quota-parte del prezzo che l’impresa
ritiene di poter realizzare vendendo direttamente il bene in rimanenza; tale quota è determinata in
funzione del rapporto esistente fra il costo del bene in rimanenza ed il costo totale della
combinazione produttiva alla quale il bene partecipa.
Il prezzo di presumibile realizzo indiretto, invece di un fattore produttivo corrisponde ad
una quota- parte del presunto prezzo di vendita del prodotto, realizzabile con il concorso di tale
fattore. Tale quota è determinata in funzione del rapporto esistente tra il costo del bene in rimanenza
ed il costo totale della combinazione produttiva alla quale il fattore è chiamato a partecipare.
Si verifica quindi, che tutto ciò che è valido in ipotesi di normale svolgimento dell’attività
dell’impresa e lascia aperto il campo alle possibilità che fattori produttivi (a fecondità semplice e
ripetuta), non più utilizzabili nelle future combinazioni produttive, siano destinati ad essere
“stralciati” dal processo produttivo e venduti a terzi alle migliori possibili condizioni.
I valori di presumibile realizzo diretto e indiretto, come sopra determinati, rappresentano, in
un’impresa che si ipotizzi “in funzionamento”, i valori massimi che possono essere assegnati alle
attività che costituiscono il capitale lordo di funzionamento al tempo tn: eventuali valori assegnati
oltre tali limiti, in quanto irrealizzabili nelle prospettive della futura attività d’impresa,
risulterebbero vuoti di contenuto economico e certamente “non ragionevoli”.
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L’ipotesi di “normale funzionamento” implica che l’impresa continui a svolgere la sua
attività nel tempo: ciò è possibile se è capace di mantenere condizioni di equilibrio, ottenendo un
flusso di ricavi tale da consentire il recupero di tutti i mezzi monetari investiti nelle combinazioni
produttive ed altresì il guadagno di nuova ricchezza.
E’ ovvio che, per realizzare tale situazione, i prezzi di vendita dei prodotti debbano essere
sistematicamente superiori al costo totale della combinazione produttiva. Solamente in via
eccezionale possono riscontrarsi ipotesi di prezzi “non remuneratori”. Le situazioni di perdita che in
tali casi verrebbero a determinarsi possono essere sopportate dall’impresa nei limiti della capacità di
resistenza che essa ha acquisito: debbono, tuttavia, esaurirsi prima di condurre al disfacimento
dell’intero sistema.
3.3 Il principio di prudenza
Una vota definita l’area dei valori ragionevoli assegnabili ai componenti finanziari ed
economici del capitale, frutto delle “operazioni in corso di svolgimento a fini periodo”, bisogna
decidere a quale di essi è opportuno fare riferimento.
Per rendere la misura del reddito assegnato al periodo, più attendibile, meno aleatoria, nella
consapevolezza che i valori, così consegnati ai periodi futuri, avranno larga probabilità di
verificarsi, occorre scegliere, tra tutti i valori possibili, quelli che hanno la più elevata probabilità di
realizzarsi.
Per fare ciò, è necessario inserire nel processo valutativo la logica del principio di
prudenza” in virtù della quale i valori da assegnare alle attività sono definiti scegliendo i più bassi
tra quelli ragionevoli, in quanto hanno maggiore probabilità di essere recuperati se, come
normalmente avviene, il prezzo di presunto realizzo è superiore. Solitamente i valori più bassi sono
quelli di costo.
In tali casi gli utili futuri presunti, rinvenienti dalla possibilità di collocare i prodotti a prezzi
superiori a quelli di costo, non vengono anticipati a vantaggio del periodo, appartenendo al periodo
in cui saranno “realizzati” attraverso il reale conseguimento dei ricavi (principio della realizzazione
dei ricavi). La scelta del costo, nella normale ipotesi di prezzo presumibile di realizzo superiore,
rende la valutazione dei beni disponibili ininfluente ai fini dell’assegnazione al periodo del reddito
relativo ai soli processi “compiuti” consegnando tali beni ai periodi futuri al medesimo valore al
quale sono stati acquistati.
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Valutazioni a prezzi superiori anticiperebbero a vantaggio del periodo porzioni utili
appartenenti ai processi già compiuti.
Non può certamente escludersi che il prezzo di presumibile realizzo si preveda inferiore ai
valori di costo (situazioni di perdite latenti): la scelta del valore più basso implica che le perdite
latenti vengano anticipate a carico del periodo anche se appaiono soltanto probabili.
Questa esigenza è già inclusa nel principio della ragionevolezza, essendo “non ragionevole”
consegnare ai periodi futuri beni e materiali e utilità economiche per un valore superiore a quello
che si ritiene recuperabile.
Considerazioni analoghe dovrebbero essere fatte per i valori da attribuire alle passività, in
relazione alle quali, l’applicazione del principio della prudenza implica che venga scelto il più alto
tra il valore di presumibile estinzione e quello al quale le obbligazioni sono sorte.
3.4 Caso- valutazione delle rimanenze al prezzo di “presumibile
realizzo”
Nel caso di cui al 3.1, possiamo assumere l’ipotesi che il prezzo di presumibile realizzo
futuro sia soltanto 20.
In tal modo, la valutazione di ciascuno dei 5 pezzi in rimanenza non può superare 20 e per
tale valore i beni saranno consegnati al successivo periodo
REDDITO ENNESIMO PERIODO
Costi
500
Ricavi
500
Rimanenze
finali
100
(5 x 20) (a)
Utile (b)
100
REDDITO PERIODO SUCCESSIVO
Rimanenze
iniziali
100
(5 x 20)
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Ricavi
100
(5 x 20)
a) Prezzo presumibile di realizzo 20
b) Utile sui 5 pezzi venduti nel periodo ennesimo 250
Perdita presunta sui 5 pezzi che si prevede di
vendere al prezzo di 20 nel periodo successivo:
costo
(5 x 50)
250
ricavo presunto (5 x 20)
(100)
(150)
=====
-------
Utile complessivo
100
In buona sostanza, i valori dei processi in corso di svolgimento, da “consegnare” ai periodi futuri,
debbono essere assegnati secondo le seguenti convenzioni:
-
le attività debbono essere valutate al costo di acquisizione o di produzione, ovvero al
presumibile valore di realizzo (diretto o indiretto per il tramite delle combinazioni
produttive o diretto per “stralcio” su crediti) se inferiore al costo [convenzione del minor
valore per le attività o convenzione del costo];
-
le passività debbono essere iscritte al valore per cui l’obbligazione è sorta (valore
nominale) o al valore di presumibile estinzione, se superiore [convenzione del maggior
valore per le passività];
-
è necessario anticipare, a carico del periodo, quote di costi futuri presunti3, rinvenienti dal
probabile manifestarsi di rischi che già gravano sulla gestione al tempo tn e sono nettamente
individuabili (rischi specifici).
3
Le eventuali perdite future presunte, sui beni che rimangono disponibili al tempo tn, vengono già considerate
adottando la convenzione del minor valore per le attività.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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4 Conclusioni
La logica della competenza ha come obiettivo quello di meglio evidenziare come il
reddito di un periodo ennesimo scaturisca dalla contrapposizione tra i ricavi di competenza del
periodo stesso ed il valore (costo) di tutti i fattori produttivi che sono stati consumati per
realizzare la produzione venduta (relativi costi).
STRUTTURA RIELABORATA DEL REDDITO DI PERIODO
(ricavi e costi della produzione)
Reddito del periodo tn - tn
n-1
Costi di competenza
Ricavi di competenza
Consumi ffs.
per realizzare la
R
produzione venduta
I
Consumi di ffr.
C
A
Perdite future presunte
V
I
Costi futuri presunti
Utile di periodo
In sintesi:
I ricavi di competenza di determinano operando la somma algebrica dei seguenti valori,
separatamente inseriti nel precedente schema del reddito di periodo:
-
ricavi originari (finanziariamente conseguiti nel periodo)
più
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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-
Lezione V
ricavi provenienti dal passato
meno
-
ricavi da rinviare al futuro
Nella sezione sinistra della tabella troviamo, invece:
1. i consumi dei fattori produttivi a fecondità semplice utilizzati per realizzare la
produzione venduta nel periodo;
2. i consumi o la perdita di valore dei fattori produttivi a fecondità ripetuta
(ammortamenti);
3. le perdite ed i costi presunti futuri;
4. l’utile di periodo.
La prima voce sub 1) deriva dalla somma algebrica di :
-
costi dei fattori produttivi a fecondità semplice acquisiti nel periodo;
più
-
costi dei fattori produttivi a fecondità semplice e dei prodotti provenienti dal passato;
meno
-
costi dei fattori produttivi a fecondità semplice dei prodotti rinviati al futuro.
La voce sub 2) deriva dalla somma algebrica tra:
-
costi originari sostenuti nel periodo per l’acquisto di fattori produttivi a fecondità ripetuta;
più
-
costo dei fattori produttiva a fecondità ripetuta proveniente dal passato;
meno
-
costo dei fattori produttivi a fecondità ripetuta da rinviare al futuro.
La rielaborazione della struttura del reddito di periodo sopra descritta, può essere presentata
anche in forma scalare. Si parte dal “tetto” del conto del reddito, i ricavi, e si detraggono i consumi
delle differenti categorie di fattori produttivi, opportunamente organizzati in modo da pervenire a
significativi risultati intermedi, particolarmente utili a che sviluppa analisi di bilancio per acquisire
significative informazioni sulle modalità di formazione della ricchezza all’interno delle differenti
gestioni (caratteristica, accessorie, ecc.) o delle attività produttive aziendali.
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