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Lara Magri - Provincia di Trieste
Lara Magri Museo Etnografico di Malborghetto, Udine Le opzioni in Valcanale/Kanaltal nel 1939 Abstract Con le “opzioni” del 1939 fu data agli abitanti della Valcanale la possibilità di “scegliere” se restare cittadini italiani o se diventare cittadini del Reich. La scelta, che sulla carta era arbitraria, venne condizionata dalle azioni di italianizzazione forzata attuate dal regime fascista. Il testo presenta una breve sintesi della ricerca svolta da chi scrive nell’ambito del progetto denominato “Archivio della Memoria” del Museo etnografico “Palazzo Veneziano” di Malborghetto, di proprietà della Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Val Canale. L’obiettivo è quello di dar voce ai protagonisti, a chi, ancor oggi, può spiegare il contesto in cui la scelta di abbandonare il paese natio maturò, quali furono le conseguenze e come cambiò la composizione etnica della valle. Le antiche lapidi dei cimiteri della Valcanale, estremo lembo nord orientale del Friuli Venezia Giulia, restituiscono alla memoria nomi asburgici e volti di un passato flagellato dalle guerre e dai totalitarismi del XX secolo. La loro ostinata immutevolezza riporta alla mente un verso della poesia Le cose di Borges: Dureranno più in là del nostro oblio, non sapranno mai che ce ne siamo andati. Verrebbe spontaneo intavolare un dialogo con questi muti interlocutori, verrebbe da chiedere: dove sono i vostri eredi? Chi abita nelle vostre case? Lo saprete mai che se ne sono andati? E sono proprio le lapidi dei propri cari a rappresentare il leitmotiv di ogni intervista, rilasciata dalle oltre ottanta persone che, in seno ad un progetto di ricerca avviato nel 2008 dal museo etnografico di Malborghetto, hanno lasciato la loro testimonianza su ciò che “l’opzione del 1939” ha significato per le loro vite. Ognuno di loro ha raccontato delle visite al camposanto del proprio paese di origine, come se, quelle tombe rappresentassero l’ultima ancora possibile per tenere saldi i legami tra il prima ed il dopo, tra quelli che sono e quelli che sono stati, prima che le ferree norme di un regolamento comunale ne decretino la rimozione definitiva. Il prima ed il dopo, in questa storia, sono separati da una data precisa, il 21 ottobre 1939, data in cui Otto Bene, Console generale di Germania a Milano ed il Prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei firmarono le tre convenzioni per il trasferimento delle popolazioni di origine tedesca in Germania. Per capire come si arrivò al 21 ottobre del 1939 è necessario fare un passo indietro. Nel novembre del 1918 la guerra si concluse con la sconfitta della Germania e dell’Impero austoungarico; per il Kanaltal (Valcanale) tale sconfitta significò l’annessione al Regno d’Italia, sancita ufficialmente dal trattato di Saint-Germain del settembre 1919 e l’avvio di quel processo di cambiamento etnico e sociale destinato a culminare con le opzioni del ’39. Gli anni ’20 videro l’affermarsi della politica fascista che, nelle regioni di nuova occupazione, Alto Adige e Valcanale, si concentrò soprattutto nell’attuazione di azioni mirate ad annientare le minoranze linguistiche presenti (slovene e tedesche) e volte alla creazione di uno Stato etnicamente omogeneo di certa fedeltà all’ideologia fascista. È a questo periodo che le memorie raccolte fanno risalire la prima grande “perdita”, quella dell’identità. È vietato parlare in tedesco nell’Italia del Duce; in alcuni locali compare la scritta “Qui si parla solo in italiano”. Negli uffici è necessario disporre di un interprete per relazionare con i nuovi funzionari statali, spesso provenienti dal meridione d’Italia e confinati in queste terre perché non allineati al regime. Un impiego nell’apparato pubblico è una chimera irraggiungibile per coloro che, da questo momento in poi, il regime etichetterà come “allogeni”, termine che per i “vecchi valcanalesi” equivale, ancor oggi, ad un marchio d’infamia. I ragazzi della valle partono per l’Abissinia a combattere per uno Stato che vuole annientare la loro identità, mentre le loro coetanee, in paese, cantano in un italiano stentato: “Quando crepa il negus facciamo un funerale, diremo all’inglese che è morto un maiale” (Testimonianza orale: Fillafer Cristina in Autz). Eravamo sempre di seconda classe, e non c’era lavoro per noi, per noi tedeschi. Era questa la difficoltà maggiore, i giovani volevano lavorare ma (ndr. lavoro) non ce ne era (testimonianza orale Agnes Anderwald in Gitschtaler nata a Coccau nel 1915). Ma era soprattutto sui giovani, sulle nuove generazioni che si puntava per italianizzare il territorio. Il primo provvedimento concreto fu l’introduzione della Riforma scolastica di Giovanni Gentile e la conseguente abolizione dell’insegnamento della lingua tedesca, a partire dall’anno scolastico 1924/251. Era necessario che questi giovani alunni, divenuti italiani, si rendessero conto che italiani si può anche diventare. Non fu facile; se una lingua si chiama madre, vuol dire che con essa c’è un legame involontario, un legame “di sangue” da cui non ci si può dissociare tanto facilmente. I racconti dei testimoni riferiscono di punizioni corporali e monetarie per chi “involontariamente” si esprimeva nella sua lingua d’origine. Racconti che fanno pensare alla Farfalla sull’attaccapanni di Boris Pahor, la novella che narra della bambina appesa per le trecce ad un gancio dell’attaccapanni solo per essersi espressa nella sua lingua madre: lo sloveno. Foto 1 Didascalia: Tarvisio, scolaresca. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: I. Bohunowsky. Guai parlare una parola tedesca in scuola. Bisognava parlare l’italiano, io avevo un amico dietro al mio banco e lui mi ha detto (ndr. in tedesco): “Maria senti, quando abbiamo le vacanze quest’anno?”. Io ho risposto: “Friedl taci!”. Il maestro ci ha sentiti e ha detto: “Goldberger, Miggitsch, venite fuori!”. Poi ci ha bastonati e a mezzogiorno non ci ha lasciato andare a casa, abbiamo dovuto restare a scuola, senza mangiare, solo perché abbiamo parlato in tedesco, (testimonianza orale Maria Goldberger in Bauer nata a Malborghetto nel 1922). 1 Domenig R., Insegnamento delle lingue minoritarie in Valcanale, in CM Magazine News. Bimestrale gratuito a cura della Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale / minoranze slovena, tedesca e friulana / Num. 22, dicembre/gennaio 2011. Nel frattempo in Germania si era affermato il nazionalsocialismo di Hitler. Nel 1936 i due dittatori sancirono la nascita dell’Asse Roma-Berlino e, sebbene Hitler avesse apertamente dichiarato di considerare inviolabili i nuovi confini italiani, palesando un totale disinteresse per le popolazioni di lingua tedesca residenti nel territorio italiano, tra i cittadini dell’Alto Adige e della Valcanale iniziò a fermentare la speranza che, prima o poi, il Führer si sarebbe mobilitato per la riannessione delle terre perse dall’Impero Austroungarico nella Grande Guerra. Il malcelato entusiasmo degli “allogeni” per la politica nazista, soprattutto in Alto Adige, non passò inosservato agli occhi dei gerarchi fascisti che, non essendo riusciti nell’intento di annullare l’identità storica tedesca, iniziarono a pensare a soluzioni radicali. Nell’aprile del 1938, il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano affermò: “Converrà far cenno ai tedeschi circa l’opportunità di riassorbirsi i loro uomini, l’Alto Adige è terra geograficamente italiana e poiché non si può cambiare posto ai monti e corso ai fiumi, bisogna che si spostino gli uomini2”. Questo assunto venne recepito e condiviso dal regime nazista allorquando la Germania iniziò a pensare alla sua espansione nell’est Europa. Fu in quel momento che gli “allogeni” italiani divennero preziosi agli occhi di chi aveva bisogno di uomini da inviare sui vari fronti di guerra, di donne da impiegare nelle industrie del Reich e di famiglie di comprovata fedeltà politica da inviare a colonizzare i territori che, di lì a poco, sarebbero stati conquistati. A questo punto gli interessi dei due dittatori coincisero e si iniziò a pensare ad una soluzione concreta che avrebbe soddisfatto entrambi i regimi, una soluzione attraverso la quale Mussolini si sarebbe liberato degli elementi politicamente non allineati presenti in Alto Adige e nella Valcanale, ed Hitler avrebbe ottenuto la sua riserva di uomini; soldatini di stagno da distribuire sul grande plastico della guerra. Fu così che, il 23 giugno del 1939, a Berlino, nella sede della Gestapo, funzionari tedeschi e funzionari italiani iniziarono le trattative che culminarono nella sottoscrizione delle tre convenzioni per il trasferimento delle popolazioni di origine tedesca residenti nei territori italiani (21 ottobre 1939). Delle tre convenzioni solo la prima “Norme per il rimpatrio dei tedeschi di nascita dall’Alto Adige nel Reich” fu resa pubblica. In base a tale norma a tutti i cittadini di lingua tedesca residenti nella provincia di Bolzano, nella provincia di Trento ed in quelle di Belluno ed Udine, fu data la possibilità di optare, ovvero di scegliere se entrare in possesso della cittadinanza tedesca, abbandonando l’italico suolo per insediarsi nel Reich, oppure se restare cittadini italiani rinunciando a qualsiasi pretesa di veder rispettata la propria identità etnica. In pratica, si chiese a queste persone di prendere, in poco più di due mesi, una decisione importantissima che avrebbe cambiato radicalmente il corso delle loro vite. Il termine ultimo per esercitare il diritto all’opzione fu fissato al 31 dicembre del 1939, a mezzanotte. Le coscienze dei valcanalesi di divisero. Era il 31 dicembre del1939 che a mezzanotte scadeva il termine per optare per la Germania, c’erano due tarvisiani che aspettavano che mio padre optasse per la Germania e mio padre gli ha detto: “No io non opto per la Germania, se fosse per l’Austria ancora ancora, in quanto ero ufficiale austroungarico, io sono divenuto italiano nel ’20 quando la Valcanale è stata annessa all’Italia, io sono venuto qua e qui voglio morire, non firmo più per nessuno, sono italiano e resto italiano, invece mio fratello che era a Bolzano … era l’unico della famiglia ad aver optato perla Germania. (Testimonianza orale Oscar Nicolaucich, nato a Tarvisio nel 1927). Gli obiettivi principali dell’intesa erano: il rimpatrio di tutti i cittadini germanici (Reichsdeutsche) presenti sul territorio italiano, l’opzione volontaria (entro il 31 dicembre 1939) dei cittadini di razza e di lingua tedesca (Volksdeutsche), il trasferimento completo degli optanti per la Germania entro il 31 dicembre 1942, ed infine la liquidazione dei beni immobili degli optanti attraverso l’istituzione di apposite commissioni paritetiche italo-germaniche. 2 Ciano G., Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Milano 1980. La gestione dei trasferimenti fu affidata al Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstums RKFdV (Commissariato del Reich per il consolidamento del carattere nazionale germanico) di Berlino, la cui direzione era affidata al luogotenente generale della polizia SS-Gruppenführer Ulrich Greifelt che dipendeva direttamente dal capo delle SS Heinrich Himmler. Il braccio operativo del RKFdV era la ADEuRSt (Amtliche Deutsche Ein- und Rückwandererstelle – Ufficio germanico per l’immigrazione e il rimpatrio) con sede a Bolzano, diretta dall’Obersturmbannführer dottor Wilhelm Luig. Nei 70 giorni che intercorsero tra il 21 ottobre ed il capodanno del ’39 vennero alla luce: rancori politici, odio razziale, sentimenti di rivalsa, speranze sopite; un coacervo di sentimenti che diede inizio a quel processo di cambiamento sociale all’interno del quale, ciascuna delle persone coinvolte sentiva di avere un ruolo attivo. Il risultato delle opzioni in Valcanale fu clamoroso, oltre il 90% dei valcanalesi scelse il Reich. La stampa pubblicò questi dati: 2.156 capifamiglia avevano scelto la cittadinanza germanica, 337 si erano espressi per quella italiana e 690 non si erano avvalsi del diritto di optare3. Ma vediamo ora quali furono i fattori che determinarono questo “successo”. Quando il dottor Karl Starzacher arrivò a Tarvisio per dirigere l’ufficio dell’ADEuRSt, trovò una valle profondamente segnata dal ventennio fascista, trovò uomini disoccupati o relegati ad esercitare i lavori più umili: minatori, operai, boscaioli, braccianti agricoli; trovò persone che non riuscivano ad interagire con l’apparato burocratico-amministrativo dello Stato conquistatore, trovò agricoltori a cui il regime fascista aveva espropriato i migliori terreni per edificare caserme e le fortificazioni del vallo alpino del Littorio, ed infine trovò una popolazione sopraffatta dalla sensazione di sentirsi straniera in casa propria4. Poi arrivavano i ferrovieri da Villaco e raccontavano: noi stiamo meglio di voi qua, cosa volete fare, non avete nessuna possibilità di lavoro. E poi il governo italiano, per costruire le caserme, ha edificato sui campi coltivabili e se non c’erano più i campi con cosa dovevamo vivere? (Testimonianza orale Karl Migglautsch nata a Pontafel nel 1920). Foto 2 Il dott. Karl Starzacher (l’uomo al centro con cappello e occhiali) partecipa ad una festa tradizionale ad Ugovizza. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: R. Tributsch. Fu chiaro da subito che qui, in questa valle incastonata tra le montagne, il terreno era fertile, pronto per far germogliare la pianta del successo della politica hitleriana, qui si poteva dimostrare che per il Reich tedesco era di prioritaria importanza ricondurre tutto “il sangue” tedesco all’interno dei patri confini. Un ruolo fondamentale lo giocò la propaganda; gli attivisti del partito compresero immediatamente che era necessario smuovere l’opinione pubblica, arrivare capillarmente dentro ogni casa utilizzando un messaggio semplice e immediato, capace di provocare quella che è un’emozione forte, comune a tutti gli uomini, la paura. Paura che si concretizzò nella famigerata “leggenda siciliana”, descritta da ogni testimone e scolpita indelebilmente nella memoria della valle. Era opinione comune che chi avesse optato per l’Italia sarebbe stato immediatamente trasferito in Sicilia, o comunque nel meridione della penisola. Tanto bastò per far riaffiorare nei ricordi dei valligiani i trasferimenti dei ferrovieri, dei postini e degli stradini all’indomani del primo conflitto mondiale. Il governo italiano corse ai ripari, smentendo la leggenda siciliana, troppo tardi, quando ormai l’esito plebiscitario dell’opzione era già divenuto una certezza. Pochi e deboli furono i tentativi di fermare la propaganda - peraltro negata dai funzionari del Reich - e l’esodo di massa di migliaia di valcanaesi che, spesso privati della dignità di un lavoro giustamente retribuito, piuttosto di essere trasferiti nel sud dell’Italia, decisero di ricongiungersi alle loro origini asburgiche e alla 3 Steinicke E., Das Kanaltal, Institut für Geographie der Universität Innsbruck 1984. Magri L., Valcanale 1939. La grande storia nel destino di una piccola valle, edito dalla Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale, Pontebba (UD), 2013. 4 loro lingua madre. Anche coloro che, nella Valcanale plurietnica, comunemente si esprimevano nell’idioma sloveno si arrogarono il diritto di optare, dichiarandosi comunque appartenenti all’etnia tedesca. La questione circa la possibilità o meno di ammettere al diritto di opzione anche i cosiddetti sloveni della Valcanale rappresentò un problema per i funzionari nazisti e innescò una serie di disordini e tensioni sia interne alla popolazione locale sia tra funzionari fascisti e nazisti. La querelle si risolse con l’estensione del diritto di opzione a tutta la popolazione della Valcanale che si fosse dichiarata appartenente alla nazionalità tedesca, ad esclusione degli sloveni provenienti dalla zona dell’alto Isonzo e ovviamente degli italiani. L’Italia fascista aveva sottovalutato la tensione sociale che si era venuta a creare soprattutto per la questione occupazionale e l’impatto psicologico che l’azione intimidatoria della leggenda siciliana aveva avuto sulle comunità locali. Pochi, tra gli italiani, si attivarono nell’attività di contropropaganda. Tra di essi si distinsero il Podestà di Malborghetto, ing. Emilio Rimediotti, ed il Parroco di Camporosso, Rafko Premrl5 che minacciava di tagliarsi la testa se anche un solo camporossiano avesse lasciato il paese. Premrl venne considerato un “nemico dello stato” e come tale perseguitato, costretto ad andarsene ed infine inviato nel campo di concentramento di Dachau. Foto 3 Didascalia: Optanti in partenza da Valbruna. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: C. Zelloth. Nel febbraio del 1940 i primi convogli ferroviari si mossero verso la Carinzia. È a questa data che possiamo far risalire la seconda dolorosa perdita, quella della propria terra, delle proprie radici, quella che gli stessi protagonisti definiscono “uno strappo”. Ci sono due vocaboli ricorrenti nei racconti degli intervistati: dentro e fuori, dove “dentro” significa Valcanale e “fuori” significa Carinzia. Due parole antitetiche che, nella loro semplicità, dicono molto; essere “dentro” per l’optante valcanalese significa appartenenza; andare “fuori”, essere “fuori”, vuol dire uscire dal luogo a cui appartieni, uscire dal ventre territoriale nel quale sei stato generato e sei cresciuto. Gli Auswanderer, coloro che sono usciti “fuori”, sono tanti, sono circa 4000 persone6. 4000 persone che dovevano essere preparate per l’ingresso nella nuova Patria, che dovevano essere accolte e sistemate, ed i cui beni, dovevano essere valutati, stimati, piazzati sul mercato e, in seguito, venduti. Nulla è lasciato al caso nella Germania di Hitler. Gli Auswanderer che avrebbero attraversato il confine per ricongiungersi alla popolazione carinziana dalle quale erano stati strappati, dovevano farlo da fedeli discepoli nazionalsocialisti. Vennero quindi organizzati i corsi di indottrinamento per la Hitlerjugend (gioventù hitleriana), le serate culturali per le comunità locali, nelle quali i diligenti funzionari nazisti inneggiavano alla grandezza della Grande Germania e del suo Führer; vennero predisposte cerimonie solenni per l’assegnazione della cittadinanza germanica e soprattutto vennero istituiti i corsi per l’insegnamento della lingua tedesca7 per i bambini che, nati sotto il fascismo, il tedesco lo conoscevano solo a livello dialettale o, in diversi casi, non lo conoscevano affatto, poiché a casa parlavano il dialetto sloveno. 5 Parroco di Camporosso dal 1932 al 1940. M. Gariup. Le opzioni per il 3° Reich. Val Canale 1939. Società Cooperativa Dom Cividale del Friuli 1994 6 L. Magri, op. cit. 7 I corsi furono attivati In base alla norma 22 dell’accordo italo-germanico per il rimpatrio di cittadini germanici e l’emigrazione di “allogeni” tedeschi in Germania come pure in base alla convenzione stipulata il 26 gennaio 1940 fra il Provveditore agli Studi di Bolzano, Frattini, ed il capo della ADEuRSt sede centrale di Bolzano, Wilhelm Luig, Gli insegnanti di tedesco vennero nominati da parte delle autorità tedesche per l’emigrazione. Le lezioni (due ore di insegnamento giornaliere) si sarebbero svolte nelle aule delle scuole italiane. Foto 4 Didascalia: Il maestro e gli alunni del corso di lingua tedesca a Bagni di Lusnizza. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: M. Werginz. Intanto la macchina amministrativa teutonica si era messa in moto. Mentre a Tarvisio gli impiegati dell’ADEuRSt stilavano elenchi, stabilendo chi dovesse partire per primo, quando sarebbe partito, dove sarebbe andato e dove, le sue cose, meticolosamente inventariate, sarebbero state depositate; in Carinzia, nella Volksdeutsche Mittelstelle, si organizzava l’accoglienza dei primi arrivati, in genere: nullatenenti, poveri, coloro che non avevano nessuna proprietà. In pratica, coloro che i funzionari nazisti avevano deciso sarebbero stati i primi a dover partire, in quanto la loro sistemazione non comportava particolari difficoltà burocratiche. Abbiamo portato tutto con noi un’oca, un bue e dopo anche le api. (Testimonianza orale Rita Gelbmann in Wohlbang nata a Santa Caterina nel 1923). In un primo momento i rimpatriati vennero sistemati in alberghi o conventi dove avrebbero dovuto trattenersi per 15, 20 giorni circa. Tuttavia molti di loro vi dimorarono per periodi ben più lunghi. Nel frattempo venne istituita una commissione di progettisti per studiare urbanizzazioni da destinare ai nuovi arrivati. Il programma dei lavori prevedeva la costruzione di 1500 appartamenti in 17 località del distretto carinziano, e poichè molti degli individui da insediare erano attivi lavoratori che sarebbero stati impiegati nelle ferrovie, nelle poste e nelle industrie del Reich, si scelse di costruire questi quartieri nei centri maggiori della Carinzia: Klagenfurt, Villach, Sankt Veit e Feldkirchen8. Fu la società immobiliare Neue Heimat ad essere incaricata della edificazione dei nuovi quartieri. Per i nullatenenti della Valcanale, le Kanaltaler Siedlung costruite dalla società immobiliare Neue Heimat rappresentarono di certo una conquista importante. Possedere un grazioso appartamento in una delle più importanti cittadine carinziane ed un lavoro sicuro nel settore pubblico non era poca cosa per chi, nel paese di provenienza, faticava ad arrivare a fine mese. Fu, però, un prezzo alto da pagare per quelle famiglie i cui uomini furono immediatamente arruolati nella Wehrmacht, ed inviati a combattere una guerra dalla quale molti non sarebbero tornati. Foto 5. Didascalia : Il camporossiano Johann Frühstück, prima nell’esercito italiano e poi in quello tedesco. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: Johanna Koechl. Ci siamo trasferiti perché lui (ndr. Il marito) era partito militare, si tovava a Gemona. Lui è uscito si è trasferito perché chi voleva andare in Austria poteva farlo e chi rimaneva in Italia, poi rimaneva un italiano. E mio marito ha detto: “Piuttosto di morire per un italiano, preferisco morire per un austriaco”. E così poi lo hanno licenziato (esonerato dal servizio militare), si è trasferito qua fuori e dopo breve tempo qui ha dovuto arruolarsi. E dopo è partito per la Russia. Partito e mai più tornato. Io ero incinta di sette mesi, il quarto figlio. Ora le dirò perché si è trasferito. Ovunque egli andasse a chiedere un lavoro, gli veniva detto: “Quelli delle terre irredente non ricevono un lavoro”. Avrebbe voluto fare il carabiniere, ma di nuovo niente, così come in ferrovia. Gli rimanevano solo lavori occasionali. È stato questo il motivo, il perché. E qui è arrivato e già prima di partire militare aveva ricevuto un lavoro ed un appartamento. (Testimonianza orale Troppan Zimmermann Margarethe nata a Camporosso nel 1917). 8 L. Magri, Le opzioni in Valcanale nel 1939 (Quaderno n°2 della collana i Quaderni del Museo etnografico – Palazzo Veneziano di Malborghetto), edito dalla Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale, Pontebba 2012. A complicare quello che sembrava un semplice procedimento di trasferimento di gente entusiasta furono, però, le difficoltà di stimare le proprietà che gli “allogeni” si apprestavano a lasciare, e di reperire, in terra carinziana, fattorie idonee nelle quali insediare i nuovi cittadini del Reich. L’optante doveva procedere ad una inventariazione e ad una autovalutazione dei propri beni. Questa autovalutazione veniva sottoposta al vaglio di una sottocommissione. In pratica un perito italiano ed uno tedesco valutavano l’autodichiarazione dell’optante. Se le tre valutazioni combaciavano, la pratica veniva chiusa ed inoltrata alla Commissione per la stima dei beni. Se, invece, le valutazioni risultavano essere divergenti, all’interessato veniva concesso il tempo di un mese per produrre le proprie rimostranze alla commissione di ultima istanza, la quale emetteva un “verdetto”. A tale giudizio l’optante doveva attenersi obbligatoriamente9. In questo contesto maturò, per molti, la terza perdita: quella economica. La vendita dei beni poteva essere effettuata attraverso trattativa privata, oppure si poteva affidare i propri possedimenti all’Ente Nazionale Tre Venezie che versava l’importo dovuto su di un conto speciale: il conto Alto Adige. Il mandato di pagamento in favore dell’optante sarebbe avvenuto solamente nel momento in cui lo stesso si fosse stabilito nel Reich10. Diverse sono le testimonianze di chi, avendo deciso di non investire questo denaro, preferendo lasciare il gruzzoletto ricevuto in banca, riferisce che, al termine della guerra, causa la conseguente svalutazione del marco, si ritrovò senza niente. Mentre le commissioni erano impegnate a stimare le proprietà valcanalesi, negli uffici dell’ADEuRSt si organizzavano le visite alle fattorie carinziane espropriate, nella maggior parte dei casi a “sloveni-carinziani” ritenuti nemici dello Stato, ma molti, tra i valcanalesi, intuendo la tragedia di chi era stato evacuato, non accettarono le sistemazioni proposte. Con questa mossa i funzionari del Reich avrebbero risolto due problemi, si sarebbero liberati di elementi indesiderati e avrebbero risolto il problema del reperimento di fattorie da destinare ai “coloni” della Valcanale. Con decreto del Führer del 7 ottobre 193911 furono individuate le zone di “consolidamento del carattere nazionale tedesco” tramite il trasferimento delle persone non affidabili dal punto di vista etnico politico, e l’insediamento al loro posto di persone “autenticamente tedesche”, specialmente provenienti dall’estero, con una ridistribuzione pianificata della proprietà. Si trattava innanzitutto della zona mistilingue della Carinzia (paesi nei distretti di Wolfsberg, Völkermarkt, Klagenfurt, Villach ed Hermagor). “L’Aktion K12”, avviata all’alba del 14 aprile del 1942, decretò l’evacuazione di 227 famiglie slovene della Carinzia. Ogni capofamiglia interessato dall’azione K venne obbligato a consegnare alla polizia la chiave di casa, munita di un’etichetta, e a firmare la cessione “senza indennizzo” della sua proprietà alla Deutsche Ansiedlungsgesellschaft. Tutto ciò in poco più di un’ora. Gli evacuati vennero raccolti nel campo di lavoro del RAD13 a Ebenthal, nella zona di Klagenfurt, e già la sera del 15 aprile dalla stazione del capoluogo carinziano poté partire il primo treno che avrebbe condotto quasi 1000 persone nei campi di sorveglianza germanici. Foto 6 Didascalia: Semi, Käthe e Francelj Trießnig nel campo di internamento di Hesselberg. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: I. Bohunowsky. Foto 7 9 Scroccaro Mauro, Dall’Aquila bicipite alla croce uncinata, Trento 2000. Scroccaro Mauro, op.cit. 11 Documento n. 291 (dalla raccolta“Karawankengrenze”) ordinanza nr. 21/43/c del RKFdV circa le zone di insediamento nel distretto della Carinzia.www.karawankengrenze.at 12 la K indica Kärnten, la Carinzia. 13 RAD = Reichsarbeitsdienst, cioè lavoro obbligatorio al servizio del Reich. 10 Didascalia: Il campo di internamento di Hagenbüchach in Franconia centrale/Baviera, una delle tappe dell’esilio della famiglia Trießnig, vittima dell’azione K. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: I. Bohunowsky. Contemporaneamente arrivarono, sul suolo carinziano, 224 contadini valcanalesi sistemati immediatamente nelle fattorie rese libere dalla pulizia etnica attuata attraverso l’azione K e introitate dal regime come “beni dei nemici del popolo e dello Stato”14. Quando, finita la guerra, i legittimi proprietari fecero ritorno dai campi di sorveglianza, rivendicarono i loro possedimenti, i valcanalesi, ivi insediatisi, dovettero abbandonare quelle che credevano essere le loro case e si ritrovarono su di una strada. I contratti di acquisto stipulati con il Reich a quel punto non avevano più alcun valore, mentre nel frattempo le proprietà in Valcanale erano state già vendute all’Ente Nazionale per le Tre Venezie o, mediante trattativa privata, ad acquirenti, per la maggior parte dei casi provenienti dal vicino Canal del Ferro. Abbiamo ricevuto una casa a Hundsdorf, qua nel Rosental di quelli chesono stati buttati fuori da Hitler, perché quelli erano sloveni… Dopo gli sloveni son tornati e hanno detto, se noi gli diamo la casa, li dobbiamo dare la casa, noi riceviamo di nuovo la casa a Malborghetto. E invece niente, non soldi, non casa, niente. Poi eravamo sulla strada … (Testimonianza orale Maria Golbergere in Bauer, nata a Malborghetto nel 1924). Foto 8 Didascalia: Ripresa aerea della casa Trießnig vulgo Wirt/Birt a Latschach ober dem Faaker See/Loče ob Baškem jezeru, assegnata attraverso l’Azione K a contadini Valcanalesi. Archivio fotografico Museo etnografico Palazzo Veneziano. Fondo: I. Bohunowsky. I numeri rivelano la dimensione degli esodi, e lasciano intuire la perdita economica dovuta dalla vendita di beni che, acquistati per prezzi modesti finirono nelle mani dei nuovi coloni italiani. Il Prof. Andrea Di Michele dell’Università di Bolzano ha recentemente svolto un importante studio sui beni acquistati dall’ENTV in Alto Adige e in Valcanale. Grazie alla ricerca di De Michele sappiamo che nel territorio compreso tra Pontafel e Tarvisio l’Ente acquistò: 344 fondi rustici, 190 fabbricati urbani, 63 aree edificali, 11 tra alberghi, pensioni e trattorie, 13 industrie, 31 tra piccole aziende commerciali, botteghe ed esercizi professionali. Un’indagine presso l’ufficio tavolare di Pontebba ci consente di presentare, come paradigma di ciò che successe anche negli altri paesi della Valcanale, la situazione delle compravendite delle case a Bagni di Lusnizza (frazione di Malborghetto-Valbruna). Su 25 case registrate al tavolare, 12 risultano essere state acquistate dall’Ente Nazionale Tre Venezie tra il 1942 e il 1943; quasi tutte vendute a friulani, i cui cognomi tradiscono la provenienza (agricoltori, operai e soprattutto boscaioli di Pontebba, delle sue frazioni e della Carnia). Altre, furono vendute attraverso trattativa privata, altre ancora date in affitto. Secondo il testimone AE (classe 1921) furono solamente tre (su 25) le famiglie tedesche che, dopo l’opzione, continuarono a vivere a Bagni di Lusinizza. L’analisi di questi dati ci permette di capire la nuova composizione etnica dei paesi della valle, chi furono i nuovi abitanti e quali fossero le loro professioni e, se appare evidente che dalle valli 14 Documento n. 216 ( dalla raccolta “Karawankengrenze”) scritto dal referente Kaldinazzi e spedito al referente del ministero del Reich per la formazione del popolo e per la propaganda, Dr. Hans Krieg. www.karawankengrenze.at www.karawankengrenze.at limitrofe giunsero praticamente solo boscaioli, operai e agricoltori, risulta altrettanto evidente che i posti di lavoro più ambiti, quelli nell’ambito statale: forestali, finanzieri ecc. erano riservati alle genti provenienti dal resto della penisola, in particolare dal Veneto o dal sud dell’Italia. Alla luce di quanto esposto è evidente che la storia delle “opzioni del 1939” è una storia di perdite, o meglio di una catena di dolorose perdite, materiali per alcuni e immateriali per chi, scegliendo la cittadinanza germanica, trovò in Carinzia un lavoro sicuro ed un dignitoso appartamento nelle Kanaltaler Siedlungen. I valcanelsi, optando, tagliarono il cordone ombelicale con la valle che li aveva partoriti perdendo le proprie radici e, in molti casi, anche il denaro ricevuto dalla vendita dei loro beni. Occuparono case da cui altri, gli sloveni carinziani, erano stati cacciati, case che gli stessi poterono rivendicare al termine della guerra e sulle quali i valcanalesi non poterono vantare alcun diritto, subendo, di fatto, un’altra dolorosa perdita, quella della casa in cui credevano di poter costruire un futuro migliore per loro stessi e per i loro figli. Non potendo rientrare nella valle natia, dove non possedevano più nulla, dovettero partire da zero in una nuova Austria che non li riconosceva come suoi cittadini, dove venivano considerati nazisti convinti, privilegiati per aver ricevuto, in tempo di guerra, appartamenti nuovi e posti di lavoro che, in molti casi, per gli stessi austriaci erano difficili da ottenere. Dopo la guerra abbiamo avuto qualche problema a scuola, insomma questa era la Kanaltaler Siedlung, perché durante il periodo hitleriano erano case popolare dette “dei valcanalesi”e solo dopo è diventata Neue Heimat … e dopo a scuola avremmo voluto volentieri continuare ad imparae lo sloveno e l’italiano, ma c’erano degli screzi con gli altri , gli austriaci residenti qui da sempre. Noi venivamo chiamati le pantegane del canale, mangiatori di spaghetti … e così abbiamo parlato solo e sempre in tedesco. E naturalmente i genitori hanno fatto altrettanto e consapevolmente, in modo che non avessimo problemi a scuola (testimonianza orale Sig. Troppan, figlio della Signora Troppan Zimmermann Margarethe). Gli optanti valcanalesi erano apolidi, cittadini del terzo Reich, cittadini di un “impero” che non esisteva più; per essere legalmente riconosciuti, per appartenere ad una nazione dovettero comprarsi, a caro prezzo, la nuova identità austriaca. La guerra è finita in maggio e a lui (ndr. Il patrigno) è ritornato in settembre, poco dopo i soldi non valevano più niente … noi abbiamo dovuto andarcene da quel posto (ndr. Dove si erano sistemati), senza nazionalità, chi la voleva doveva comperarsela, e quella era una cosa triste per noi. Eravamo niente e nessuno, chi voleva restare doveva pagare sui 2500 marchi che oggi sarebbero 25000 scellini e in euro 2000, no un p’ meno e i soldi erano in banca ma non valevano, valevano solo un tot un piccolo tot. La mamma ha detto: “Non potremo andare avanti qui, andiamo ritorniamo in Valcanale”. 5000 son partiti nel ’40 e ritornati sono in 20e tra questi poveri 20 erano i miei. Io mi sono sposata a 19 anni con un austriaco. (Testimonianza orale Jolanda Pötscher da Coccau). Nel frattempo, altri, i poveri contadini delle valli del Canal del Ferro avevano deciso di abbandonare i luoghi natii, approfittando dei beni appartenuti agli optanti, ed ora in mano all’ENTV, decretando, in questo modo, l’inizio di quel processo di abbandono di quelle sterili valli che, oggi, è terribilmente evidente. Che la vicenda delle opzioni abbia rappresentato una perdita anche per chi è rimasto non è difficile da comprendere se si pensa alle famiglie e alle amicizie separate dalle scelte diverse, alla fatica che “i superstiti” di questo processo storico dovettero compiere nell’Italia del dopoguerra per salvaguardare la propria identità, la propria lingua e le proprie tradizioni, traghettandole in un presente nel quale, nuovi e vecchi valcanalesi, possano finalmente dire di esserne fieri. E, che questa ferita collettiva apertasi all’indomani della prima guerra mondiale, non si sia del tutto rimarginata, in particolare tra i più anziani, è ancora percepibile, ad esempio, nella consuetudine delle famiglie ugovizzane che, durante le celebrazioni liturgiche per la festa di San Sebastiano, chiedono ancor oggi al sacerdote di pregare per la propria famiglia e “per quelli che sono andati fuori”. Sul muro di Schojer c’era una superficie liscia, il muro era tutto rosso, rosso scuro e sopra hanno … il muro era bianco ma lo hanno talmente colorato, verniciato! E sopra c’era scritto “quello che abbiamo conquistato lo abbiamo conquistato col sangue”. Ed è così che ancora oggi loro ci sono e noi abbiamo dovuto andarcene. (Testimonianza orale Troppan Zimmermann Margarethe nata a Camporosso nel 1917). Conclusioni. Liberi di dover partire è il titolo di una poesia che il poeta friulano Leonardo Zanier dedica all’ emigrazione carnica; un titolo che ben si sposerebbe anche alla storia degli optanti valcanalesi, “liberi” di scegliere a quale cittadinanza appartenere. Ma, quando una libera scelta matura da condizioni di restrizione economica e psicologica, in contesti sociali in cui la propria identità non viene rispettata, di libero c’è ben poco. Di fatto, l’opzione, la libera scelta, si concretizzò in un fenomeno di migrazione politica che diede il via ad un radicale processo di trasformazione della valle. Dentro questo processo, come avviene in ogni processo di cambiamento, qualcosa si perse e qualcosa si guadagnò. Si perse la compattezza etnica della valle, si interruppe parzialmente la catena di trasmissione di tradizioni e saperi locali, si persero abilità imprenditoriali e artigianali, si tagliarono i fili che tenevano annodate le persone, le famiglie, gli amici, si disgregò il tessuto sociale dei borghi. E, sebbene sia stato difficile comprenderlo allora, e forse per molti lo sia ancora, qualche cosa anche si guadagnò. L’ibridazione culturale, il plurilinguismo dei quattro idiomi (tedesco, sloveno, friulano ed italiano), la pacifica e fruttuosa convivenza tra etnie diverse, la peculiarità delle tradizioni, che oggi rappresentano la forza di questa valle, in parte, affondano le loro radici anche nel 1939. 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