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Giuseppe Felli - Studio Legale Associato Felli

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Giuseppe Felli - Studio Legale Associato Felli
Giuseppe Felli
MANUTENZIONE DELLE STRADE E RESPONSABILITA’ DELLA P.A. –
ORIENTAMENTO TRADIZIONALE IN MATERIA DI RESPONSABILITA’
RISARCITORIA PER INSIDIA E TRABOCCHETTO – REVIREMENT DELLA
GIURISPRUDENZA E APPLICABILITA’ DEL REGIME DI RESPONSABILITA’ EX
ART. 2051 COD. CIV. –
Nel caso di danni connessi ad omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche è
configurabile la responsabilità della pubblica amministrazione o del concessionario ai
sensi dell’art. 2051 Cod. Civ. ove si accerti in concreto la possibilità dell’esercizio di un
potere di controllo del bene. L’accertamento del potere di controllo della strada fa
sorgere gli obblighi di custodia in capo alla p.a. o al concessionario e la conseguente
soggezione al regime di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 Cod. Civ.. Le recenti
sentenze della Corte di Cassazione hanno reso prevalente il modello di responsabilità
fondato sull’art. 2051 Cod. Civ. assestando un duro colpo all’orientamento tradizionale
incentrato sull’art. 2043 Cod. Civ. che supplisce unicamente quale tutela residuale ove
non applicabile l’art. 2051 Cod. Civ..
Tribunale Civile di Frosinone –Giud. Unico Dr. Luca Venditto –
Sentenza n. 649/2007 del 17.10.2007
(Attore A.S. + 2 – Convenuti A S.p.a. e U. S.p.a.)
(Omissis)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 9.7.1999, AS, AA e SG convenivano in giudizio l’ANAS - Ente Nazionale per le
Strade s.p.a., la D s.r.l., PV e la U Assicurazioni s.p.a., per sentirli condannare, in solido tra loro o in via
esclusiva, al risarcimento dei danni biologico, morale e patrimoniale, nella misura di vecchie lire 3.006.171.653
o in quella dimostrata in corso di giudizio, oltre interessi e rivalutazione monetaria, subiti in occasione del
sinistro verificatosi nel territorio del comune di P (FR) il 21.10.1997 alle ore 10,45 circa. Esponevano gli attori
a sostegno della loro pretesa:
- che, nel giorno, ora e luogo indicati, mentre percorreva, alla guida dell’autovettura VP targata X la SS XX (in
direzione L-F), all’altezza della progressiva chilometrica X, l’attrice AS veniva coinvolta in un incidente nel
quale si verificava l’impatto frontale della predetta autovettura con l’autocarro I, targato X, di proprietà della
D s.r.l. e condotto da PV;
- che, secondo la ricostruzione compiuta dalla polizia stradale di F, intervenuta sul luogo del sinistro, l’attrice,
conducente dell’autovettura VP, nel percorrere una curva verso destra e ad ampio raggio, a causa del fondo
stradale reso viscido dalla pioggia e per la presenza di sostanza scivolosa sul piano viabile, perdeva il controllo
del veicolo e, sconfinando nell’opposta corsia di marcia, si schiantava frontalmente sull’autocarro I, condotto
da PV;
- che la polizia stradale, nell’effettuare i rilievi del caso, riscontrava l’esistenza, sulla carreggiata della SS di
competenza ANAS, di ‘sostanza oleosa solidificata e non visibile’ che rendeva viscido il piano stradale per un
tratto esteso circa 500 metri; che, d’altra parte, come poteva evincersi dai rilievi planimetrici compiuti dalla
polizia, l’autocarro I transitava, al momento del sinistro a cavallo della mezzeria, concorrendo anch’esso nella
causazione dell’incidente;
- che a seguito dell’incidente, la giovane AS, ricoverata presso il reparto di rianimazione dell’ospedale di F per
oltre un mese, subiva politrauma diffuso in diverse parti del corpo con conseguente danno all’integrità psicofisica nei suoi diversi aspetti della lesione della vita di relazione, dell’integrità estetica, della sfera sessuale e
psicologica;
- che l’attrice coinvolta nel sinistro subiva inoltre un autonomo ed incidente danno morale, nonché danni
patrimoniali emergenti e da lucro cessante; che i genitori della danneggiata subivano evidenti danni riflessi da
liquidarsi direttamente in loro favore.
Ritenuta la responsabilità dei soggetti evocati in giudizio, gli attori chiedevano il risarcimento dei danni nei
termini di cui alle conclusioni riportate in epigrafe.
La Compagnia Assicuratrice U s.p.a. si costituiva in giudizio depositando in cancelleria comparsa e
fascicolo in data 29.10.1999. Deduceva che nessuna responsabilità potesse essere ascritta al conducente
dell’autocarro I, sig. PV, come avrebbe potuto evincersi dalla stessa ricostruzione dell’incidente operata dalla
polizia stradale intervenuta sul luogo del sinistro. Chiedeva dunque il rigetto integrale della domanda nei suoi
confronti, quale compagnia di assicurazioni citata in giudizio in via diretta.
All’udienza del 22.11.1999, si costituiva l’Ente Nazionale per le Strade s.p.a., che deduceva come le cause
dell’incidente avrebbero dovuto essere ricercate nella imprudente ed imperita condotta di guida dell’attrice AS,
con specifico riferimento alla velocità tenuta nella fase immediatamente precedente all’impatto; nonché nella
condotta del veicolo antagonista, che, come rilevato dalla stessa parte attrice, viaggiava a cavallo della linea di
mezzeria. Rilevava che la presenza di liquido scivoloso sull’asfalto doveva ascriversi a mera fatalità, giacché,
qualche attimo prima dell’incidente, un veicolo rimasto sconosciuto, avrebbe versato carburante sulla
carreggiata nel tratto poi interessato dallo scontro per cui è causa, fatto di cui non avrebbe potuto essere
considerata responsabile l’ANAS convenuto, che contestava comunque l’ammontare, a suo giudizio
spropositato, della richiesta risarcitoria. Concludeva come in epigrafe.
Alla medesima udienza di prima comparizione del 22.11.1999, il g.i. dichiarava la contumacia del convenuto
PV, ritualmente citato e non costituitosi; disponeva invece la rinnovazione della notifica della citazione nei
confronti della D s.r.l., la cui contumacia veniva dichiarata alla successiva udienza del 16.10.2000.
Ammessi i mezzi di prova con ordinanza del 12.6.2002, veniva depositata CTU medico-legale il 16.6.2003 ed
assunte le prove orali nelle udienze del 16.12.2002, 4.7.2003, 20.2.2004, 14.10.2004, 3.12.2004, 21.1.2005,
11.4.2005 e 27.6.2005. All’udienza del 21.11.2005, la causa veniva posta in decisione allo scadere dei termini
di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche.
Motivi della decisione
1. Premessa - Gli attori propongono domanda di risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale
ipotizzando diversi criteri d’imputazione in via alternativa e cumulativa. La richiesta di risarcimento danni
rivolta all’ANAS - Ente Nazionale per le Strade s.p.a. si fonda sul presupposto, non controverso, che questa sia
custode del tratto di strada ove è accaduto l’incidente; ne discende una duplice possibile imputazione, non
ostacolata da una piana ed ambivalente rappresentazione dei fatti, ai sensi dell’art. 2051 c.c. o anche dell’art.
2043 c.c.. Diversamente, il conducente del veicolo antagonista, la società proprietaria del mezzo e la
compagnia d’assicurazioni sono stati evocati in giudizio sul presupposto che la condotta di guida tenuta dal
convenuto avesse concorso alla causazione dell’evento (implicitamente si evoca l’applicazione dell’art. 2054
c.c.).
Ragioni logiche ed espositive suggeriscono di affrontare, in primo luogo, la questione relativa alla possibile
imputazione della responsabilità extracontrattuale dedotta in capo all’ANAS ai sensi dell’art. 2051 c.c.
(disposizione peraltro espressamente evocata dagli attori in comparsa conclusionale).
2. Manutenzione delle strade e responsabilità della p.a. - Il percorso interpretativo finalizzato
all’individuazione della responsabilità della pubblica amministrazione (o, comunque, come nel caso di specie,
dell’ente concessionario) per l’insidia o il trabocchetto stradali prende le mosse dallo svolgimento di attività,
sia pure discrezionali, di manutenzione del patrimonio viario ed assume rilievo in caso di violazione degli
obblighi e delle cautele imposte dalle norme di legge o di regolamento o dalla violazione dei generali precetti
della prudenza, negligenza o imperizia e del neminem laedere.
Quanto alle strade statali, le attività di controllo, vigilanza e manutenzione e, quindi, in ultima analisi, gli
obblighi di custodia, discendono in capo alla p.a. proprietaria, ovvero al concessionario (sul concorso di
responsabilità amministrazione proprietaria - ANAS, v. di recente Cass. 20.2.2006, n. 3651), in base a
specifiche disposizioni normative: art. 14 cod. str., art. 2 d.lgs. n. 143/1994 e d.m. ll.pp. n. 223/1992. Ne deriva
che, primariamente, occorre verificare l’operatività della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.
nei confronti dell’amministrazione, ovvero, come nel caso di specie, dell’ANAS (ente trasformato da azienda
pubblica ex l. n. 59/1961 in ente pubblico economico dal d.lgs. n. 143/1994 e che mantiene tale denominazione
in forza del d.p.c.m. 26.7.1995).
Infatti, se non esistono attualmente dubbi sull’esistenza di un obbligo risarcitorio in capo alla p.a.
(affermato a partire da Cass., sez. un., 30.4.1929, in Foro it. 1929, I, 998), problematica appare la
qualificazione giuridica di siffatta responsabilità. Risulta controverso se la p.a., ma la questione si estende
all’ente gestore, risponda in forza della regola generale dell’art. 2043 c.c. o in base alla speciale previsione di
responsabilità aggravata ex art. 2051 c.c..
2.1. … (segue) l’orientamento tradizionale - L’indirizzo interpretativo tradizionale, che ha seguito la
risalente pronuncia della Suprema Corte citata, individua il fondamento della responsabilità della p.a. nella
clausola generale disciplinata dall’art. 2043 c.c., che impone anche all’amministrazione pubblica il rispetto
della norma primaria e fondamentale del neminem laedere.
Rispetto all’attività anche discrezionale della pubblica amministrazione, per affermarne la responsabilità,
viene dato risalto a due limiti: (1) la violazione delle norme precauzionali contenute in leggi, regolamenti e
norme tecniche, quale limite interno (o normativo) alla discrezionalità della p.a.; (2) il principio generale del
neminem laedere, quale limite esterno alla stessa attività. Si afferma pertanto che il cittadino non ha azione nei
confronti dell’amministrazione per il modo in cui essa ha provveduto alla costruzione e manutenzione di una
strada aperta al pubblico, ma l’azione è proponibile se all’amministrazione stessa sia imputabile l’inosservanza
di una norma di legge o di regolamento oppure del generale divieto di neminem laedere. In particolare, quando
lo stato apparente e quello effettivo differiscono, si verifica la c.d. ‘sorpresa’ o ‘insidia’, la quale determina la
responsabilità della p.a. per la violazione del principio generale desumibile dall’art. 2043 c.c., che vieta a
chiunque di compiere atti o fatti che hanno potenzialità lesiva verso altri (cfr., oltre alla citata Sezioni Unite del
’29, Cass. 18.9.1986, n. 5677; Cass. 11.8.1995, n. 8863; Cass. 28.4.1997, n. 3630; Cass. 28.7.1997, n. 7062;
Cass. 20.8.1997, n. 7742; Cass. 12.11.1997, n. 11162; Cass. 16.6.1998, n. 5990; Cass. 4.12.1998, n. 12314;
Cass. 22.4.1999, n. 3991; Cass. 18.5.2000, n. 6463; Cass. 12.6.2001, n. 7938; Cass. 5.7.2001, n. 9092; Cass.
13.2.2002, n. 2067).
Il medesimo indirizzo interpretativo in commento limita l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. al soggetto
pubblico, poiché ritiene non operante tale disposizione nelle ipotesi in cui sul bene di proprietà pubblica venga
esercitato un uso generale e diretto da parte dei terzi e l’estensione dello stesso bene renda impossibile
l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i
terzi (cfr., di recente, Cass. 13.7.2005, n. 14749; Cass. 23.2.2005, n. 3745; Cass. 1°.12.2004, n. 22592; Cass.
31.7.2002, n. 11366; Cass. 21.12.2001, n. 16179; Cass. 26.1.1999, n. 699; Cass. 28.10.1998, n. 10759; Cass.
16.6.1998, n. 5990 cit.). Gli elementi fattuali della estensione territoriale del bene oggetto del controllo e la
conseguente pratica impossibilità di una vigilanza adeguata determinerebbero - secondo l’orientamento
richiamato - una vera e propria incompatibilità tra l’applicazione dell’art. 2051 c.c. e l’uso generale diretto
della strada pubblica da parte dei terzi, con possibile residua applicazione della sola disposizione generale
dell’art. 2043 c.c..
In proposito, e cioè in tema di c.d. insidie o trabocchetti stradali, viene precisato che la violazione del
principio del neminem laedere comporta la responsabilità della p.a., ma “a condizione che venga provata
l’esistenza di una situazione insidiosa caratterizzata dalla non visibilità e dalla non prevedibilità del pericolo”
(così Cass. n. 2067/2002 cit.). Devono dunque sussistere, congiuntamente, due elementi: (a) quello oggettivo
dato dalla non visibilità del pericolo (c.d. sorpresa); (b) quello soggettivo della imprevedibilità del pericolo,
cioè dell’impossibilità, nonostante il comportamento prudente e diligente, di accorgersi tempestivamente del
pericolo così da evitarlo. In assenza di uno di questi elementi, non può configurarsi un’insidia; dunque l’evento
dannoso va considerato evitabile e, qualora si verifichi, va imputato a negligenza, imprudenza o imperizia del
danneggiato.
2.2. … (segue) l’applicazione del criterio d’imputazione dell’art. 2051 c.c. alla p.a. - La più recente
riflessione dottrinaria e giurisprudenziale ha tuttavia individuato percorsi volti a mitigare l’eccessivo disfavore
nei confronti del danneggiato dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità dell’amministrazione per
insidia o trabocchetto stradali. L’applicazione alla fattispecie dell’art. 2043 c.c. pone infatti a carico della
vittima dell’incidente un onere probatorio particolarmente gravoso, dovendo egli dimostrare non solo la
sussistenza dei requisiti oggettivo e soggettivo dell’insidia, ma anche il nesso causale che lega la condotta
colposa della p.a. all’evento lesivo, oltre al danno conseguente. Appare in special modo vessatorio l’onere posto
a carico del danneggiato di provare l’inevitabilità dell’evento lesivo, pur in presenza di un comportamento
corretto e rispettoso della necessaria prudenza e diligenza nell’utilizzo del bene pubblico. Tale rigoroso
atteggiamento scaturisce, verosimilmente, da una tradizionale forma di rispetto delle prerogative della pubblica
amministrazione in materia di discrezionalità tecnica o amministrativa, che si pongono come argine al
sindacato del giudice ordinario, con il solo ineludibile limite del neminem laedere, che viene violato in
situazioni di pericolo occulto. Esso, inoltre, come detto, viene giustificato sulla scorta della opinione relativa
alla inapplicabilità del criterio dell’imputazione oggettiva della responsabilità alla p.a. ai sensi dell’art. 2051
c.c., fondata sulla pretesa inesistenza del presupposto della relazione di custodia con i beni in mano pubblica.
In tempi più recenti, la giurisprudenza ha adottato una soluzione di maggior favore nei confronti dell’utente,
configurando la responsabilità della p.a. per insidia stradale secondo il criterio dell’imputazione oggettiva
dell’art. 2051 c.c.. In applicazione di tale fattispecie, il custode risponde dei danni prodotti sulla cosa non
perché abbia assunto un comportamento poco diligente, ma per la particolare relazione in cui si trova con la
cosa, secondo una logica che è propria della responsabilità oggettiva, con il solo limite della prova liberatoria
del fortuito o, comunque, della dimostrazione di un danno collegato ad un bene di estensione tale da impedire il
sorgere di obbligazione di custodia. Solo in tal caso il danneggiato, in applicazione del criterio generale di cui
all’art. 2043 c.c., avrà l’onere di provare i requisiti dell’insidia.
Nel dibattito, com’è noto, è intervenuta la Corte costituzionale, che, con sentenza n. 156 del 1999, ha escluso
l’illegittimità del sistema della responsabilità relativo alla manutenzione stradale, ritenendo inoperante
l’automatismo della esclusione dell’astratta applicabilità dell’art. 2051 c.c. nei confronti della p.a. sulla scorta
dei rilievi che “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri
indici dell’impossibilità del concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo; la quale
potrebbe essere ritenuta, non già in virtù di un puro e semplice riferimento alla natura demaniale del bene, ma
solo a seguito di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di
normalità”. La ratio dell’esclusione della responsabilità a titolo di custodia è, dunque, fondata
sull’impossibilità di evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo in un bene: e non già perché demaniale, ma in
quanto soggetto all’uso diretto da parte di un rilevante numero d’utenti ed in quanto particolarmente esteso,
tanto da rendere impossibile l’esercizio di un controllo adeguato. La demanialità del bene è dunque solo un
indice sintomatico di quella impossibilità, ma non l’attesta in modo automatico, tanto che, quando è consentita
un’adeguata attività di vigilanza che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi, l’art. 2051
c.c. trova senz’altro applicazione pure nei confronti della p.a., quand’anche si tratti di demanio stradale.
Appare dunque superato e non condivisibile l’argomento tradizionale per cui l’amministrazione non ha alcun
obbligo verso i terzi per la costruzione e la manutenzione delle strade, ma solo un dovere di tipo pubblicistico di
mettere a disposizione della collettività un servizio pubblico a suo esclusivo vantaggio, con conseguente venir
meno di una situazione di ingiustificato privilegio per la p.a. e di un trattamento deteriore per gli utenti
danneggiati.
L’applicazione dell’art. 2051 c.c., secondo l’orientamento ad essa favorevole e che qui si condivide, non è
limitata alle sole ipotesi in cui l’ente pubblico svolga una determinata attività sulla strada, ma si estende a tutti i
casi in cui non sia ravvisabile l’oggettiva impossibilità di esercizio di un potere di controllo dell’ente sulla
strada in custodia, in dipendenza del suo uso generale da parte dei terzi e della notevole estensione del bene,
criteri che debbono necessariamente concorrere perché sia giustificata l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c.. Così
ha stabilito recentemente la Suprema Corte, affermando il principio per cui “nel caso di danni conseguenti ad
omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, non è configurabile la responsabilità della pubblica
amministrazione, ai sensi dell’art. 2051 c.c., solo ove l’esercizio di un continuo ed efficace controllo, idonei ad
impedire situazioni di pericolo per gli utenti, sia risultato oggettivamente impossibile a causa della notevole
estensione del bene e del suo uso generale da parte dei terzi” (Cass. 23.7.2003, n. 11446, che ha riconosciuto la
responsabilità di un comune per i danni occorsi in seguito ad una caduta su strada urbana destinata, in parte, al
transito pedonale ed in cattive condizioni di manutenzione; ma v. anche, prima di detta pronuncia, Cass.
13.1.2003, n. 298 e Cass. 15.1.2003, n. 488; nonché, più di recente, Cass. 1°.10.2004, n. 19653, Cass.
1°.12.2004, n. 22592; Cass. 11.5.2005, n. 9883 e Cass. 5.8.2005, n. 16576; sull’applicazione della disciplina
dell’art. 2051 c.c. sulla cattiva ed omessa manutenzione di strade e autostrade da parte dei concessionari, v. da
ultimo Cass. 2.2.2007, n. 2308).
Può dunque considerasi un dato acquisito in giurisprudenza (almeno dopo Cass. n. 11446/2003) che il
requisito della possibilità di controllo e custodia della res, quale presupposto necessario per l’applicabilità
dell’art. 2051 c.c., non può essere riconosciuto o escluso per categorie generali di beni e, tantomeno, con
riferimento alla natura pubblica o privata del custode, ma deve formare oggetto di un accertamento specifico da
parte del giudice.
2.3. … (segue) il carattere oggettivo della responsabilità - Quanto alla natura della responsabilità del
custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., il dibattito è stato arricchito dall’intervento della Suprema Corte che di
recente, con sentenza 20.2.2006, n. 3651, pur ribadendo il principio che, in quanto custode dei beni demaniali,
la p.a. risponde dei danni provocati da detti beni a norma dell’art. 2051 c.c., esclude tuttavia che la
responsabilità del custode costituisca una responsabilità oggettiva, cioè una responsabilità ‘senza colpa’,
poiché fondamento della responsabilità è la violazione del dovere di sorveglianza, gravante sul custode.
Secondo tale arresto, il caso fortuito, che esclude la responsabilità, non costituisce un elemento esterno che
incide sul nesso causale, ritenendo, invece, che la prova del fortuito (prova liberatoria) attiene alla prova che il
danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, per cui la prova del
fortuito attiene al profilo della mancanza di colpa da parte del custode, mentre l’estensione del bene demaniale
e l’uso diretto della cosa da parte della collettività sono elementi sintomatici per escludere tale presunzione di
colpa a carico del custode. Tale sentenza, pur inquadrando la responsabilità della p.a. per danni da beni
demaniali nell’ambito dell’art. 2051 c.c., riporta la responsabilità del custode nel novero della responsabilità
per colpa, nella specie presunta.
Con un ancor più recente arresto la cassazione, con motivazione dotta, completa e del tutto condivisibile, ha
affermato che “la responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia, anche in ipotesi di
beni demaniali in effettiva custodia della p.a., ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa
configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato,
senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale
tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del
responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad
un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito
anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante” (così Cass. 6.7.2006, n. 15383, già seguita da Cass.
12.7.2006, n. 15779 e, ancor più recentemente, da Cass. 6.2.2007, n. 2563).
L’arresto appena riportato pare costituire il momento di maggiore chiarezza che la (stessa) terza sezione
della Suprema Corte manifesta di esprimere sulla tematica in argomento. Questo tribunale reputa dunque di
dover impingere nei predetti principi onde regolare la presente concreta fattispecie.
3. La fattispecie in decisione - L’attrice AS, come rilevato nello svolgimento del processo, agisce per il
risarcimento dei danni subiti a seguito di grave incidente stradale occorsole nel territorio del comune di P il
21.10.1997 alle ore 10,45 circa mentre percorreva, alla guida della propria autovettura VP, la SS XX (in
direzione L-F), all’altezza della progressiva chilometrica XX. Ella impattava frontalmente con l’autocarro I, di
proprietà della D s.r.l. e condotto da PV, che proveniva dall’opposto senso di marcia.
La ricostruzione della dinamica dell’incidente può essere adeguatamente compiuta attingendo dalle
inequivoche risultanze emergenti dalla relazione della polizia stradale intervenuta sui luoghi e dalle
concordanti deposizioni testimoniali assunte nel corso del giudizio.
Secondo la ricostruzione compiuta dalla polizia stradale di F (v. prontuario con rilievi planimetrici allegato
come doc. 5 al fascicolo di parte attrice) AS, a bordo della sua VP, nel percorrere una curva verso destra e ad
ampio raggio sulla citata SS XX, a causa del fondo stradale reso viscido dalla pioggia e per la presenza di
sostanza scivolosa sul piano viabile, perdeva il controllo del veicolo e, sconfinando nell’opposta corsia di
marcia, si schiantava frontalmente sull’autocarro I, condotto da PV.
Dalla descrizione dell’evento infortunistico contenuta nel rapporto citato, si evince come l’incidente sia
stato (dinamicamente) generato dalla perdita di controllo del mezzo da parte dell’attrice AS, la cui autovettura
VP, percorrendo la corsia di sua pertinenza, in un tratto di strada con curva (destrorsa) ad ampio raggio e
visuale libera, perdeva aderenza sul manto stradale caratterizzato dalla presenza di sostanza viscida, che, “già
presente sul piano viabile”, si scioglieva con la pioggia che era cominciata a cadere qualche tempo prima
dell’accaduto. Con maggiore puntualità, nella parte del rapporto descrittivo degli elementi e tracce rilevate, si
legge come gli operanti della P.S. abbiano riscontrato che “per circa 500 metri prima del tratto culminante
della curva, punto ove si suppone che il veicolo abbia subito la repentina deviazione [a sinistra ndr.], è stata
rilevata la presenza di sostanza viscida che si estendeva sull’intera carreggiata … la stessa [sostanza], diluitasi
ulteriormente con la leggera pioggia che cominciava a cadere, rendeva difficoltoso anche il transito a piedi
degli operatori, dei soccorritori, nonché di tutti gli astanti”.
La puntuale descrizione delle condizioni insidiosissime del manto stradale viene pienamente confermata in
sede di prova orale dai testimoni DSP (udienza 4.7.2003 - “sceso dall’autovettura, scivolai e caddi a terra …
escludo che la sostanza viscida potesse essere stata perduta dai veicoli incidentati”), IC (udienza 4.7.2003), GT
(udienza del 20.2.2004), FA (udienza del 18.10.2004 - “la sostanza in questione rendeva precaria la stabilità di
qualunque mezzo e addirittura anche dei pedoni”), GG (udienza del 18.10.2004 - “quella mattina sull’asfalto vi
era una sostanza viscida che comprometteva la stabilità del mezzo; già da circa una settimana avevo notato la
presenza di sostanza oleosa sull’asfalto”), FR (udienza del 18.10.2004). Lo stesso capocantoniere della società
ANAS, escusso all’udienza del 16.12.2002, non può non riconoscere che, “su un centinaio di metri della strada,
si notava qualcosa di oleoso, che appena appena si notava”. Inconsapevolmente, il teste minimizza sulla
visibilità dell’insidia, pensando così di sminuire l’insidiosità del pericolo pur riconosciuto, ma, com’è evidente,
la sua deposizione aggrava la responsabilità dell’ente per cui lavora, proprio perché la sostanza generatrice
dell’insidia viene descritta come appena visibile, con accrescimento, per ciò solo, della sua pericolosità.
Sulla scorta di tali elementi probatori, tutti univoci e concordanti, può affermarsi come sia stato pienamente
dimostrato il nesso di causalità, sul piano della dinamica dell’incidente, tra la presenza di materiale oleoso sul
tratto di strada interessato, descritto come sostanza idonea a rendere estremamente scivoloso il manto stradale,
e la perdita di controllo, da parte dell’attrice, della direzione dell’autovettura VP da ella condotta, la quale, al
culmine del raggio di curva destrorso, deviava a sinistra, per effetto della forza centrifuga, non contrastata da
adeguata aderenza degli pneumatici sull’asfalto, le cui condizioni, per la presenza della predetta insidia, non
hanno garantito la sua naturale funzione.
In ragione di quanto sopra rappresentato, ritenuta astrattamente la possibilità di qualificare la fattispecie
nel quadro della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. secondo la giurisprudenza che qui si
condivide, andrà valutata la sussistenza dell’obbligo di custodia in capo al concessionario, in relazione
all’estensione del bene ed ad ogni altra circostanza concreta (caratteristiche della strada, posizione, dotazioni e
sistemi di assistenza, ecc.); solo ove venga esclusa l’applicabilità del predetto criterio d’imputazione oggettiva,
deve essere sindacata la sussistenza dei presupposti dell’insidia e del trabocchetto ex art. 2043 c.c.; in ogni
caso, dovrà essere valutata la concorrenza di un profilo colposo a carico dell’utente della strada, consistente in
un improprio utilizzo del bene pubblico.
Ora, dalle acquisizioni probatorie del giudizio, risulta chiaramente (i) che la strada in questione, la
maggiore arteria di collegamento tra la provincia di L e quella di F, è caratterizzata da un traffico molto
intenso (ciò che ne esclude la marginalità, con conseguente limitazione del vincolo di custodia); (ii) che il tratto
interessato dall’incidente ha presentato agli operatori di PS, accorsi sui luoghi, una grave anomalia di
aderenza al suolo, per l’estesa presenza di sostanza oleosa sul manto stradale (i circa 500 metri di diffusione
del liquido scivoloso non possono, per ciò solo, essere considerati un’insidia trascurabile, così da non imporre
un immediato intervento custodiale e manutentivo); (iii) che il pericolo rappresentato dalla presenza di sostanza
viscida sul piano viabile è stata rilevata come preesistente al momento dell’incidente ed è risultato
espressamente da escludersi che la sostanza generatrice della situazione di pericolo provenisse dai veicoli
coinvolti (nel rapporto della Polstrada si comprende con chiarezza, come gli operatori di polizia abbiano potuto
constatare che la sostanza viscida, causa dello sbandamento dell’autovettura condotta dall’attrice, era già
presente sul piano stradale ed essa si è sciolta per effetto della pioggia che cominciava a cadere, risolvendosi in
una soluzione liquido-oleosa di estrema pericolosità, tanto da rendere precaria la stabilità eretta degli stessi
pedoni; i testi sopra citati hanno sul punto riferito della pregressa presenza della sostanza in questione sul
manto stradale già da qualche tempo); (iv) che, non per ultimo, è stata pienamente riscontrata, nei pressi del
luogo dell’incidente, la presenza di un rilevante cantiere per lo svolgimento di lavori sulla linea ferroviaria; la
del tutto presumibile circolazione di mezzi pesanti da cantiere con conseguente rilascio di materiale di vario
tipo sul manto stradale, fa insorgere, a carico dell’ente concessionario qui convenuto, un sicuro e più
penetrante (rispetto all’ordinaria amministrazione) obbligo di manutenzione e di attenzione sulle variabili
condizioni della strada, interessate da traffico veicolare anomalo ed eccezionale.
In considerazione dei riportati elementi di fatto, raccolti da una esaustiva ed approfondita indagine
istruttoria, va dunque affermato - in concreto - l’obbligo di custodia del tratto di strada in questione da parte
dell’ANAS, che non risulta aver provveduto ad alcuna attività manutentiva idonea a rimuovere la situazione di
pericolo. Ma la questione involge, più nello specifico, il diverso profilo dell’invocato caso fortuito.
3.1. … (segue) il caso fortuito - Ritenuto pertanto applicabile al caso di specie il paradigma d’imputazione di
cui all’art. 2051 c.c., va premesso - a completamento di quanto sopra già richiamato sul punto - che, a partire
dagli anni ’90, la Suprema Corte ha aderito alle posizioni della dottrina più recente, affermando che quella
prevista dalla norma citata non è un’ipotesi di colpa presunta, ma una vera e propria fattispecie di
responsabilità oggettiva, con la conseguenza che al custode, per andare esente da responsabilità, non è più
sufficiente dimostrare la propria assenza di colpa, ma è necessario provare la concreta esistenza del caso
fortuito, che peraltro può consistere anche nel fatto del terzo o nel fatto della stessa vittima (la oggettivazione
della responsabilità ex art. 2051 c.c. venne per la prima volta affermata da Cass., sez. un., 11.11.1991, n.
12019, seguita dalla fondamentale Cass. 20.5.1998, n. 5031, nella quale si chiarisce che la responsabilità per i
danni da cosa in custodia non si fonda su un comportamento o attività del custode, ma su una relazione
intercorrente tra questi e la cosa dannosa, sicché il caso fortuito, quale limite alla responsabilità, assume
rilevanza nell’ambito del profilo causale; nonché, più di recente, v. sul punto Cass. 17.1.2001, n. 584; Cass.
20.8.2003, n. 12219; Cass. 4.2.2004, n. 2062; Cass. 9.2.2004, n. 2430; Cass. 15.10.2004, n. 20334; Cass.
11.5.2005, n. 9883; nonché le richiamate Cass. n. 15779/06 e 15383/06).
Sul concreto atteggiarsi dell’onere della prova, vanno ora ricordati i principi affermati di recente da Cass.
n. 19653/2004 citata, per cui: “Allorquando invochi la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. contro una p.a., in
relazione a danno originatosi da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale, il danneggiato non è
onerato della dimostrazione della verificazione del danno in conseguenza dell’esistenza di una situazione
qualificabile come insidia o trabocchetto, bensì esclusivamente - come di regola per l’invocazione della
suddetta norma - dell’evento dannoso e del nesso causale tra la cosa e la sua verificazione”, cosicché, continua
la Suprema Corte, “… in relazione a situazioni pericolose immanentemente connesse alla strutta o alle
pertinenza del bene, [la prova liberatoria del caso fortuito] dovrà spingersi alla dimostrazione
dell’espletamento da parte dell’ente di tutta la normale attività di vigilanza e manutenzione, esigibile in
relazione alla specificità della cosa, di modo che tale dimostrazione possa anche, in via indiretta, cioè per
presunzione, giustificare la conclusione che la situazione pericolosa si sia originata in modo assolutamente
imprevedibile ed inevitabile attraverso il corretto e compiuto assolvimento della custodia e, dunque, per un caso
fortuito, ancorché lo specifico evento ricollegabile a tale nozione risulti non identificato”.
Nel caso in decisione, assumono dunque rilievo le circostanze oggettive sopra descritte che attengono alle
condizioni del manto stradale di pertinenza ANAS, di per sé, al di là del loro carattere insidioso e pericoloso
(che pure è stato rilevato), generatrici dell’evento così come verificatosi. L’insidiosità e pericolosità della
superficie viaria non costruisce, invece, a rigore, condizione per l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. (come
espressamente, di recente, Cass. 4.8.2005, n. 16373, con riferimento a fattispecie concretamente diversa, ma
astrattamente assimilabile a quella in decisione).
D’altra parte, l’ente convenuto non ha fornito alcun elemento a sostegno della prova liberatoria posta a suo
carico, limitandosi a dedurre, genericamente ed ipoteticamente, sul fatto che le sostanze oleose rinvenute sul
tratto di strada in questione sarebbero state rilasciate, verosimilmente, da altro automezzo, rimasto non
identificato, qualche attimo prima dell’avvenuto incidente. La circostanza non solo non è supportata dal alcun
elemento diretto di prova, ma è decisamente e radicalmente smentita dagli accertamenti compiuti dalla polizia
stradale nell’immediatezza dell’accaduto. Si è già evidenziato come la sostanza viscida rinvenuta sull’asfalto
fosse già presente sulla superficie stradale prima dell’incidente (forse da giorni) e come si fosse poi resa
ulteriormente insidiosa per effetto della sua soluzione con la pioggia da poco caduta. D’altra parte, la perdita
occasionale di un veicolo di passaggio difficilmente avrebbe potuto interessare tutta la superficie della
carreggiata per una lunghezza di 500 metri.
Si osservi da ultimo sul punto che il sopraggiungere della pioggia, a rendere ancor più insidioso il pericolo,
non può atteggiarsi, incontestabilmente, come evento imprevedibile e perciò ascrivibile al fortuito.
(Omissis)
***
Premessa
La sentenza del Tribunale di Frosinone che si commenta costituisce una sorta di sentenza - trattato sulla materia
della responsabilità civile della P.A. proprietaria e custode della strada per i danni prodotti da particolari
conformazioni, specifiche contingenze o carenze di sicurezza imputabili all’omessa manutenzione del demanio
stradale1 (oppure ad una difettosa realizzazione tecnica o altre simili condotte) 2.
La decisione in esame ha soprattutto il pregio di passare in rassegna – con lodevole nitore – il dibattito che, a
partire dagli inizi del secolo scorso, si trascina sino ai nostri giorni su quale sia il regime di responsabilità
applicabile alla Pubblica Amministrazione e, conseguentemente, al custode e alle società concessionarie 3 per i
danni occorsi ai cittadini nell’uso della rete viaria pubblica 4.
Più specificatamente – preme sottolineare – la sentenza si è occupata di un gravissimo danno alla persona
cagionato da un’anomalia insistente sul fondo stradale statale gestito dall’Anas S.p.a. e nella decisione del caso il
Tribunale ciociaro ha avuto estrema cura di scandagliare la struttura e gli elementi dell’illecito nell’evoluzione
dottrinaria e forense formatasi in materia.
La premessa fatta dal Tribunale e da cui val bene partire nella disamina della sentenza è la seguente: se allo stato
attuale delle cose non esiste dubbio alcuno sull’esistenza di un obbligo risarcitorio in capo alla P.A. per i danni
che sul piano causale trovano la loro origine nelle condizioni difettose della strada pubblica, problematica appare
la qualificazione giuridica di siffatta responsabilità.
Vale a dire è controverso – secondo l’assunto in sentenza - se l’Ente territoriale o l’ente gestore possono e/o
debbono essere chiamati a rispondere in forza della regola generale di cui all’art. 2043 Cod. Civ. o in base alla
speciale previsione di responsabilità aggravata ex art. 2051 Cod. Civ..
Per giungere ad una soluzione il più possibile appagante e condivisibile fruttuoso si è rivelato il lavoro di critica
dell’orientamento progressivamente maturato in subiecta materia a partire dai primi anni del 1900 e che è stato
efficacemente titolato nella sentenza in commento come “ orientamento tradizionale “.
Orientamento tradizionale
Come premesso la vexata quaestio di quale sia il paradigma da adottarsi nel giudizio di accertamento della
responsabilità civile delle amministrazioni locali, dell’Anas. S.p.a. e delle società concessionarie delle reti
autostradali per i pregiudizi sofferti dagli utenti della strada ha iniziato ad agitare le acque del diritto sin dagli
inizi del secolo scorso 5.
Una prima notazione è d’obbligo.
Almeno sino al 1915 la dottrina e la giurisprudenza erano fermamente concordi nel ritenere che i cittadini non
potevano vantare alcun diritto soggettivo nei confronti della P.A. per i danni dipesi da omessa manutenzione
delle strade poichè dogma incontestabile era che “ dell’integrità personale del viandante, custode e tutore non è
il Comune, ma lo stesso privato “ 6.
1
La sentenza in oggetto ha affrontato con profondità di analisi anche le problematiche connesse all’accertamento e liquidazione dei danni
patrimoniali e non patrimoniali sofferti dalla vittima a seguito dell’evento infortunistico e che – senza peccare di piaggeria – meriterebbero
un commento a parte in considerazione delle argomentazioni sostenute al vaglio dei recenti approdi giurisprudenziali e dottrinari.
2
La casistica, inutile a dirlo, sulle numerose controversie giudiziali in materia, oltre al classico caso delle buche, registra un numero
variegato di fonti di rischio per gli utenti della strada (l’avallamento, il dislivello, il dosso, il tombino rialzato o rotto, la griglia mal
posizionata, il gradino sconnesso, la discesa non protetta con sistemi antiscivoli, la scala precaria priva di corrimano, la pavimentazione
sconnessa o irregolare, lavori in corso non adeguatamente segnalati, il semaforo mal funzionante, la segnaletica stradale contraddittoria o
carente, varchi nelle recinzioni delle autostrade, etc.)
3
La sentenza in commento ha giudicato su un’azione risarcitoria avanzata contro l’Anas S.p.a. , società che ad oggi rimane il concessionario
più importante del demanio stradale nazionale, non fosse altro perché gestisce una rete stradale di 20.182 Km e direttamente un tratto
autostradale di 1.261Km (v. www.stradeanas.it), nonostante che – per effetto del d.lgs. 31.3.1998 n. 112 e del d.lgs 29.10.1999 n. 461 – larga
parte del demanio stradale nazionale è stato trasferito alle Regioni e successivamente agli altri enti locali, privando l’Anas della relativa
gestione.
4
In Italia, come negli altri Paesi di civil law (ad. es. Francia e Germania), manca una normativa specifica che individui il modello di
responsabilità da applicarsi al caso in esame. Contrariamente in Inghilterra da tempo il diritto positivo si è occupato di legiferare in materia
stabilendo con la Section 58 (1) dell’Highways Act 1980: “ In un’azione esperita contro un’Amministrazione stradale per il danno derivante
da una sua omissione nella manutenzione di una strada soggetta a custodia a carico della spesa pubblica costituisce difesa…..la prova che
l’Amministrazione ha avuto cura, secondo quanto ragionevolmente richiesto da tutte le circostanze del caso di assicurare che il tratto di
strada, cui si riferisce l’azione, non fosse pericoloso per la circolazione stradale “ (cfr. C. van Dam, European Tort Law, Oxford, 2006, 429431).
5
Ha analizzato l’evoluzione della materia risarcitoria in esame M. Comporti in Presunzioni di responsabilità e pubblica amministrazione:
verso l’eliminazione dei privilegi, in Foro it., 1985, I, 1497 e ss, la cui lettura è utile fonte di riferimenti giurisprudenziali e di
argomentazioni dottrinarie.
6
Così Cass. Roma, 20 febbraio 1905, in Giur. it., 1905, I, 1, 467.
Il fondamento dell’esclusione della tutela giudiziaria nei confronti della P.A. lo si rinveniva tradizionalmente nel
principio secondo cui la Pubblica Amministrazione non poteva rispondere, in relazione alle sue attività
discrezionali (tra cui la manutenzione delle strade), verso i cittadini e che gli eventi dannosi cagionati dalle
condizioni imperfette delle strade andavano imputati all’autoresponsabilità delle vittime 7.
Fortunatamente il dogma dell’irresponsabilità della P.A. nei confronti degli utenti della strada fu posto in
discussione dalle corti agli inizi del secolo scorso, allorquando si venne ad affermare un nuovo principio secondo
cui la discrezionalità della P.A. “ permane fino a che si svolge nei limiti della legge, oltre i quali sorge l’offesa
del diritto, la cui reintegrazione spetta alla competenza giudiziaria per il principio generale compendiato
dall’art. 2 L. 20 marzo 1864 “ 8.
Fu una svolta cruciale per l’epoca poiché segnò il passo dall’assunto della totale irresponsabilità della P.A. nei
confronti dei cittadini all’affermazione della responsabilità della P.A. – con riferimento alle attività discrezionali
(tra cui la manutenzione delle strade) – per la violazione degli obblighi e delle misure imposte da norme di legge
o di regolamento a tutela dell’integrità delle persone.
E’ evidente che la nuova giurisprudenza che si stava affermando circoscriveva notevolmente la responsabilità
della P.A., poiché di fatto la limitava alla sola “ inosservanza di una norma fissa e determinata di legge “ 9.
Pur tuttavia costituì una prima “ picconata “ al privilegio di cui godeva la P.A. in subiecta materia e sino ad
allora “ giustificato ideologicamente dall’esigenza di garantire l’autorità dell’amministrazione “ 10 .
Una seconda importante svolta si registrò nel momento in cui la giurisprudenza ritenne che la responsabilità
della P.A. potesse fondarsi, oltrechè sull’inosservanza di una norma fissa di legge o di regolamento, anche “ su
un fatto od una omissione costituente delitto o quasi delitto “, stabilendo che “ l’amministrazione deve fare
affidamento che la strada non nasconda insidie che non si possono evitare con l’ordinaria diligenza dei passanti
“ 11 .
Fu con queste decisioni che la Suprema Corte iniziò a dare vita e linfa alla figura dell’insidia occulta e che
all’inizio ebbe ad affermarsi quale fattispecie esemplificativa sostanziante la responsabilità della P.A., ma che
nel tempo si è trasformata in un vero e proprio totem la cui rigida osservanza da parte dei magistrati ha sovente
condotto a risultati non certamente condivisibili (per non dire iniqui) 12.
Ad ogni buon conto l’approdo costituito dall’elaborazione della nozione dell’insidia rappresentava per l’epoca
un importante ampliamento della tutela a favore dei cittadini nei confronti dell’ente proprietario della strada, non
più limitata al sindacato della violazione di precise disposizioni di legge, ma estesa alla nozione di colpa secondo
i canoni generali dell’imprudenza, dell’imperizia e della negligenza.
Così ebbero pertanto ad affermare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a suggello del nuovo orientamento
delineatosi: “ la P.A. non può mantenere le strade in maniera tale che nascondano pericoli che il viandante non
può scorgere con la sua normale prudenza ed avvedutezza “ 13 .
In tal modo – per dirla con le parole usate dal Tribunale di Frosinone nella sentenza in commento 14 – il
fondamento della responsabilità della P.A. veniva individuato nella clausola generale disciplinata dall’art. 2043
Cod. Civ. che impone - anche all’amministrazione pubblica – il rispetto della norma primaria e fondamentale
del neminen laedere.
Si ribadisce ancora una volta come l’orientamento in questione – se pur rivoluzionario rispetto al passato garantiva pur sempre una situazione di particolare privilegio in capo alla P.A. per il notevole margine di
discrezionalità che godeva quanto alla manutenzione delle strade.
Tanto è vero che si affermò e consolidò il principio secondo cui “ il cittadino non ha un diritto soggettivo alla
manutenzione delle opere pubbliche e non può chiedere il risarcimento del danno che soffre dall’uso dell’opera
pubblica che si trovi in cattivo stato, salvo che la condizione apparente della strada nasconda un pericolo che il
viandante non può prevedere “ 15 .
Per finire questa breve digressione giova sottolineare che l’impostazione che precede venne definitivamente a
consolidarsi nel decennio successivo 1930 – 1940 e la figura dell’insidia occulta, da fattispecie indicata a titolo
7
Il principio dell’irresponsabilità della P.A. nei confronti dei cittadini e dell’esclusione della tutela giudiziaria era rimasto immutato sino agli
inizi del secolo scorso, nonostante fosse entrata in vigore la Legge 20 marzo 1865 n. 2248 (Per l’unificazione amministrativa del Regno
d’Italia) che all’art. 2 stabiliva: “ Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali
si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano
emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’Autorità amministrativa “).
8
Così Cass. Roma, Sez. Un., 28 giugno1915, in Giur. it., 1915, I, 1248. V. nota n. 7.
9
Così Cass. Roma, 11 maggio 1923, in Rep. Foro. it., 1923, Voce Strade, n. 20.
10
M. Comporti, Presunzioni di responsabilità e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione dei privilegi, cit.., 1503.
11
Così Cass., Sez. Un., 12 novembre 1924, in Rep. Foro it., 1924, Voce Strade, n. 18 - Cass., Sez. Un., 23 marzo 1925, in Foro it., 1925, I,
878.
12
Su cui amplius infra nel § successivo. Per una critica serrata della nozione dell’insidia quale regula judicii v. M. Comporti, Presunzioni di
responsabilità e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione dei privilegi, cit.., 1507 e ss.
13
Cass., Sez. Un., 30 aprile 1929, in Foro it. , 1929, I, 958, citata pure nella sentenza in commento del Tribunale di Frosinone.
14
Pag. 7 nel testo originale della sentenza in commento.
15
Così Cass., 14 dicembre 1933, in Rep. Foro. it., 1933, Voce Strade, n. 38.
esemplificativo della responsabilità per colpa della P.A., venne a trasformarsi in un autentico criterio tassativo
per l’individuazione della responsabilità per i danni occorsi agli utenti della strada.
All’entrata in vigore del Codice Civile (1942) il trend in parola fu mantenuto e rafforzato e solo all’inizio degli
anni 60 iniziò ad essere preso di mira e criticato per le conseguenze giudiziali, sovente ingiuste e non
condivisibili, la cui rigida applicazione dava luogo.
Responsabilità della P.A. ex art. 2043 Cod. Civ. o ex art. 2051 Cod. Civ.
Come sopra illustrato l’indirizzo interpretativo e il modello di responsabilità che venne ad affermarsi era tutto
imperniato sull’art. 2043 Cod. Civ..
Tale modello di responsabilità extra-contrattuale interamente fondato sulla colpa e ritagliato sul requisito
dell’insidia o del trabocchetto non visibili e occulti divenne assolutamente dominante e granitico.
Nella prassi, tuttavia, l’applicazione rigida di tale impostazione sovente conduceva a soluzioni giudiziali
decisamente sbilanciate a favore della P.A. o del concessionario della strada.
Questo perché l’utente che subisce danni nell’uso della rete viaria pubblica, in osservanza della clausola generale
del neminem laedere, ha l’onere di provare la pretesa insidiosità dei luoghi per veder affermare la responsabilità
della P.A..
A norma del sistema incentrato sull’art. 2043 Cod. Civ. si sosteneva pertanto, anche in maniera tralaticia e senza
tentennamenti, che: “ …la P.A. incontra nell’esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e
controllo dei beni di natura demaniale, limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, nonché dalle
norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza ed in particolare dalla norma primaria e
fondamentale del neminem laedere, in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non
presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile o prevedibile che dia luogo al cd.
trabocchetto o insidia stradale “ 16 .
In tal guisa la figura dell’insidia e del trabocchetto – di pura invenzione pretoriale – finì per costituire il
parametro selettivo delle ipotesi di responsabilità della P.A. con totale accollo alla vittima del carico probatorio,
vale a dire l’onere di dover dimostrare l’evento, il nesso di causalità tra il danno e la cosa, la sussistenza
dell’elemento soggettivo della non prevedibilità e dell’elemento oggettivo della non visibilità e pure la condotta
colposa dell’amministrazione nella manutenzione e gestione della res.
Per questi motivi, a poco a poco – sia in dottrina che giurisprudenza – a partire dagli anni 60 cominciarono a
levarsi le prime critiche – poi sempre più serrate - contro questo orientamento, bollato come un ingiustificato
privilegio concesso alla P.A..
Al fine di venire maggiormente incontro alle istanze dei danneggiati – specie in presenza di casi manifesti di
pessima e negligente manutenzione delle strade – v’era chi iniziava a propendere per l’applicazione dell’art.
2051 Cod. Civ. in capo alla P.A. e che, è noto, costituisce una ipotesi di responsabilità cd. aggravata in quanto
introduce una presunzione di responsabilità a carico del soggetto tenuto alla custodia del bene.
In applicazione di tale fattispecie – secondo il profilo specifico dell’imputazione oggettiva - è noto che il custode
risponde dei danni cagionati dalla strada, non perché abbia assunto una condotta negligente, ma per la particolare
relazione in cui si trova con la cosa, fatta salva la prova liberatoria costituta dal caso fortuito 17.
Diversamente - secondo il diverso profilo della presunzione di colpa - il custode può essere chiamato a
rispondere dei pregiudizi causati all’utente dalla strada, fatta salva la prova liberatoria di aver diligentemente
vigilato e custodito la res causa di danno 18.
Se assolutamente minoritaria risultava essere inizialmente la tesi di coloro che si mostravano favorevoli
all’applicazione dell’art. 2051 Cod. Civ. il dibattito iniziò ad accendersi dagli anni ottanta in avanti, grazie
all’apporto di taluna dottrina sempre più estremamente critica nei confronti del modello tradizionale incentrato
sull’art. 2043 Cod. Civ. 19 e alcune decisioni di legittimità e di merito che cominciarono a ritenere configurabile
la responsabilità per danni da cose in custodia ex art. 2051 Cod. Civ. nei confronti della P.A. seppur “
limitatamente ai beni demaniali o patrimoniali di non notevole estensione e non suscettibili di generalizzata e
diretta utilizzazione da parte della collettività “ 20.
In altre parole, a fondamento delle pronunce rese sull’applicazione (assai) ristretta dell’art. 2051 Cod. Civ., v’era
la convinzione che l’estensione della rete viaria e l’uso generale e diretto consentito a chiunque rendevano
praticamente impossibile alla P.A. o al soggetto concessionario l’esercizio di un efficace e continuo controllo
idoneo ad impedire l’insorgenza di fonti di pericolo per gli utenti.
16
Cass. Sez. III, 6 luglio 2006. n. 15383, in Corr. Giur., 2007, n. 9, 1285 e ss., Così la Suprema Corte ha sinteticamente ed esaustivamente
descritto il modello di responsabilità fondato sull’art. 2043 Cod. Civ. nella rivisitazione degli orientamenti sorti in materia in una delle
storiche pronunce del 2006 e da cui ha preso le mosse il revirement che sta rendendo maggioritaria l’impostazione che vuole fondare la tutela
dell’utente danneggiato nell’uso della strada sull’art. 2051 Cod. Civ..
17
Su cui infra.
18
Su cui infra.
19
M. Comporti, in Presunzioni di responsabilità e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione dei privilegi, cit., 1503.
20
Così Cass., 3 giugno 1982, n. 3392; Cass., 30 ottobre 1984, n. 5567; Cass., 27 gennaio 1988, n. 723.
Ragion per cui l’applicabilità di un regime di responsabilità incentrato sull’art. 2051 Cod. Civ. iniziò ad essere
ammessa unicamente per le strade ed altre aree di proprietà del Comune sull’assunto che “….dalla proprietà
pubblica del Comune sulle strade poste all’interno dell’abitato (art. 16, lettera b – Legge 20 marzo 1865 n.
2248 all. f) discende non solo l’obbligo dell’ente alla manutenzione come stabilito dall’art. 5, R.D. 15 novembre
1923, n. 2506, ma anche quello della custodia con conseguente operatività, nei confronti dell’ente stesso, della
presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 Cod. Civ. …” 21 .
Stiamo ovviamente ancora parlando di un numero esiguo di decisioni, poiché, come è noto, la vera svolta in
materia si avrà con le pronunce della Suprema Corte del 2006 22.
Proseguendo nella disamina del formante giurisprudenziale che si andava evolvendo da segnalare Cass., Sez. III,
27 dicembre 1995 n. 13114 23 contenente il seguente principio – meno restrittivo all’applicazione dell’art. 2051
Cod. Civ.- : “ La presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose si hanno in custodia, fissata
dall’art. 2051 Cod. Civ., è applicabile nei confronti della P.A. anche con riguardo ai beni demaniali, ivi
compresi quelli del demanio stradale pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei
cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che
valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per terzi “ .
Sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 10 maggio 1999
Mentre infervorava il dibattito accesosi tra i più numerosi sostenitori del modello interpretativo tradizionale
costruito sull’art. 2043 Cod. Civ. e coloro che propugnavano una più ampia applicazione del modello di
responsabilità aggravata ex art. 2051 Cod. Civ. nel 1999 ci fu l’intervento della Corte Costituzionale che venne a
fare chiarezza in materia (seppur temporaneamente).
Con la sentenza n. 156 del 10 maggio 1999 24 il Giudice delle Leggi nel respingere la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2043, 2051 e 1227 Cod. Civ. 25 affermò, per quanto d’interesse, i seguenti principi: a) la
Pubblica Amministrazione era da considerarsi responsabile nei confronti dei privati per difetto di manutenzione
delle strade nell’ipotesi in cui non avesse osservato le specifiche norme e le comune regole di prudenza e
diligenza poste a tutela dell’integrità personale e patrimoniale di terzi in violazione del principio fondamentale
del neminem laedere di cui alla clausola generale ex art. 2043 Cod. Civ.; – b) l’applicabilità del regime di
responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 Cod. Civ. in capo alla P.A. era da negarsi nei casi in cui il bene
fosse di notevole estensione e sul medesimo vi fosse un uso diretto e generale dei consociati, tale da rendere
impossibile l’esercizio di un efficace e continuo controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo
per i cittadini; – c) l’impossibilità di esercitare un controllo sul bene da parte della P.A. non poteva farsi
discendere in modo automatico dalla mera natura demaniale del bene, ma andava accertato in concreto sulla
scorta di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo e secondo criterio di normalità.
La vera portata innovativa contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale - intervenuta anche nel tentativo
di condurre ad uniformità il futuro formante giurisprudenziale - è stata efficacemente indicata nella sentenza del
Tribunale di Frosinone che si commenta ove è dato leggere: “ La ratio dell’esclusione della responsabilità a
titolo di custodia è, dunque, fondata sull’impossibilità di evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo in un
bene; e non già perché demaniale, ma in quanto soggetto all’uso diretto da parte di un rilevante numero
d’utenti ed in quanto particolarmente esteso, tanto da rendere impossibile l’esercizio di un controllo adeguato.
La demanialità del bene è dunque solo un indice sintomatico di quella impossibilità, ma non l’attesta in modo
automatico, tanto che, quando è consentita un’adeguata attività di vigilanza che valga ad impedire l’insorgenza
di cause di pericolo per i terzi, l’art. 2051 Cod. Civ. trova senz’altro applicazione pure nei confronti della p.a.,
quand’anche si tratti di demanio stradale “ 26 .
Revirement della Corte di Cassazione: applicazione dell’art. 2051 Cod. Civ. - natura della responsabilità del
custode
La “ quiete “ portata dalla sentenza della Corte Costituzionale è stata, tuttavia, di breve durata 27.
La stessa sentenza del Giudice delle Leggi conteneva i semi della futura svolta compiutasi definitivamente nel
2006, laddove i giudici di Palazzo della Consulta affermavano apertis verbis che la demanialità del bene è solo
un indice sintomatico dell’impossibilità di esercizio di un controllo efficace e continuo, ma che non l’attesta in
modo automatico, per cui ove è consentita un’adeguata attività di vigilanza che valga ad impedire l’insorgenza di
21
Cass., Sez, III, 27 gennaio 1923, n. 723, in Finanza loc., 1989, 191.
V. infra.
23
In Resp., civ., prev., 1996, 723.
24
In Giust. Civ., 1999, I, 1927. Citata nella sentenza del Tribunale di Frosinone in commento (a pag. 9 del testo originale).
25
Sollevata in riferimento agli art. 3, 24 e 97 della Costituzione.
26
Pag. 10 del testo originale della sentenza in commento.
27
Successivamente sono anche intervenute le Sezioni Unite della Cassazione ( Cass. SS.UU, 7 agosto 2001, n. 10893, in Giur. it., 2002,
1065) che hanno sostanzialmente aderito all’impianto disegnato dalla Corte Costituzionale.
22
cause di pericolo per i terzi, in ipotesi di danno agli utenti dovrà farsi luogo all’applicazione dell’art. 2051 Cod.
Civ. nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Su questa scia, va detto, si è posta dapprima Cass. Sez. III 23 luglio 2003 n. 11446 – indicata nella sentenza in
commento - che ha stabilito il principio per cui “ nel caso di danni conseguenti ad omessa o insufficiente
manutenzione di strade pubbliche, non è configurabile la responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi
dell’art. 2051 Cod. Civ. solo ove l’esercizio di un continuo ed efficace controllo, idonei ad impedire situazioni di
pericolo per gli utenti, sia risultato oggettivamente impossibile a causa della notevole estensione del bene e del
suo uso generali da parte dei terzi “ 28
Traducendo per i sostenitori dell’art. 2051 Cod. Civ. l’assunto sta a significare che ove è possibile esercitare un
controllo continuo ed efficace del tratto stradale non vi sono ostacoli di sorta all’applicazione dell’ipotesi di
responsabilità aggravata e/o presunta a carico del proprietario e/o gestore della strada.
Ciò viene condiviso dallo stesso Tribunale di Frosinone nella sentenza in rassegna ove si afferma: “ Può dunque
considerarsi un dato acquisito in giurisprudenza (almeno dopo Cass. N. 11446/2003) che il requisito della
possibilità di controllo e custodia della res, quale presupposto per l’applicabilità dell’art. 2051 Cod. Civ. non
può essere riconosciuto o escluso per categorie generali di beni e, tantomeno, con riferimento alla natura
pubblica o privata del custode, ma deve formare oggetto di accertamento specifico da parte del giudice “.
Se a questo punto il cammino verso il definitivo riconoscimento dell’applicabilità dell’art. 2051 Cod. Civ. nei
confronti della P.A. per i danni dipesi dalle difettose condizioni della strada – eccezion fatta ove non è
configurabile una custodia - appare quindi segnato, controverso risulta ancora il discorso sulla natura della
responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 Cod. Civ. 29.
Sul punto vi sono da registrare pronunce come quella contenuta in Cass. Sez. III del 20 febbraio 2006 n. 3651 30
che “ pur ribadendo il principio che, in quanto custode dei beni demaniali, la p.a. risponde dei danni a norma
dell’art. 2051 Cod. Civ., è da escludersi che la responsabilità del custode costituisca una responsabilità
oggettiva, cioè una responsabilità ‘ senza colpa ’, poiché fondamento della responsabilità è la violazione del
dovere di sorveglianza gravante sul custode “.
Secondo tale decisione la p.a., quale ente proprietario gestore di una strada pubblica, risponde ex art. 2051 Cod.
Civ. dei danni subiti dagli utenti per difetto di manutenzione della sede stradale salvo che dimostri di essersi
comportata diligentemente adottando – in relazione alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto –
tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi.
La prova liberatoria gravante sul custode della strada per andare esente da responsabilità consiste pertanto nella
prova positiva di essersi diligentemente attivato per impedire l’insorgenza di fonti di pericolo
Con la sentenze gemelle del luglio 2006 31 la Suprema Corte cambia opinione a sostegno della natura oggettiva
della responsabilità del custode, deviando verso un modello di imputazione di responsabilità no fault che impone
quale prova liberatoria l’esistenza del fortuito, inteso quale fattore esterno che attiene al profilo causale
dell’evento e che ben potrebbe essere costituito anche dal fatto del terzo o della stessa vittima.
Ciò rappresenta un ulteriore e più marcato ampliamento di tutela per i danneggiati della strada e il venir meno di
qualsivoglia posizione di privilegio per la pubblica amministrazione chiamata a rispondere ex art. 2051 Cod.
Civ. – sotto il profilo dell’imputazione oggettiva della responsabilità – a meno che nel caso concreto non sia da
escludere un rapporto custodiale, per cui la vittima potrebbe invocare solo la tutela residuale di cui all’art. 2043
Cod. Civ..
Le sentenze in parola sono Cass. Sez. III., 6 luglio 2006. n. 15383 32 e Cass. Sez. III, 6 luglio 2006, n. 15384 33
(entrambe con relatore Dr. A. Segreto) e che a detta di molti hanno segnato il passaggio “ ad una nuova
giurisprudenza sempre più incline – come confermato anche nel corso del 2007 – all’accoglimento di soluzioni
indirizzate all’applicazione generalizzata dell’art. 2051 Cod. Civ. “ 34.
Nell’impostazione disegnata dai giudici di legittimità la materia risulta - allo stato attuale - così definita: a) la
mera relazione giuridica tra il soggetto e la cosa non da ancora luogo al rapporto di custodia ma la fa solo
presumere; b) occorre che il soggetto eserciti in concreto la potestà sulla cosa e siffatto potere di governo si
compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi,
il potere di escludere i terzi dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno; c) il rapporto
custodiale e la soggezione al regime di responsabilità ex art. 2051 Cod. Civ. è da escludersi solo ove vi sia
28
In Danno e resp., 2004, 1085 e ss con commento di P. Laghezza.
Interessante sul punto il contributo di M. Rossetti, Insidia stradale, il danno rischia l’ingorgo, in D&G, 2005, 35 e ss, che così scrive: “
Non è esagerato affermare che l’articolo 2051 Cod. Civ. è la disposizione, tra tutte quelle prevedono ipotesi di responsabilità cosiddetta “
aggravata”, che più dà e ha dato filo da torcere agli interpreti……Di questa norma è controverso praticamente tutto: quale sia la natura
della responsabilità (se presunta o oggettiva), chi sia il custode cui fa riferimento la disposizione……….
30
In Riv. giur. circol. trasp., 2006, 4.
31
V. note 32 e 33.
32
In Corr. giur. , 2007, 1285 e ss con nota di P. Marozzo della Rocca.
33
In Danno e resp., 2006, 1220 e ss. Con nota di P. Laghezza.
34
M. Bona in La responsabilità civile dei custodi delle strade pubbliche, Ipsoa, 2007, 65.
29
l’oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene e che costituisce il presupposto necessario per la
modifica della situazione di pericolo.
In tutti i casi in cui è possibile ravvisare il potere di controllo del bene da parte del proprietario e/o gestore deve
farsi luogo all’applicazione dell’art. 2051 Cod. Civ. in ipotesi di danno occorso agli utenti nell’uso della strada.
Secondo le sentenze del luglio 2006 in presenza di evento dannoso il custode risponde del pregiudizio prodotto
dalla cosa non perché ha assunto un comportamento poco diligente, ma per la particolare situazione in cui si
trova rispetto alla cosa causa di danno.
Quindi è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva.
Per cui – solo se il potere di controllo è oggettivamente impossibile – non v’è custodia e conseguentemente non
si può invocare l’ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 2051 Cod. Civ. (ma solo agire ex art. 2043 Cod. Civ.
ove ve ne sono i presupposti).
La Suprema Corte ha altresì avuto cura di indicare nelle decisioni del 2006 – senza pretesa di esaustività – alcuni
indicatori utili da tener presente nella decisione del caso concreto ai fini dell’accertamento della possibilità o
meno dell’esercizio del potere di controllo del bene e, segnatamente, l’estensione delle strade, l’uso, le
caratteristiche, la posizione, le dotazioni, i sistemi di assistenza che li connotano, nonché gli strumenti che il
progresso tecnologico di volta in volta appresta e che condizionano le aspettative degli utenti.
E’ evidente che ove si riscontri in concreto la possibilità dell’esercizio del potere di controllo del bene, ne
consegue l’affermazione della sussistenza di un rapporto di custodia e la piana applicazione dell’art. 2051 Cod.
Civ..
Il caso concreto deciso dal Tribunale di Frosinone
Ai principi e alle massime enucleate dalle sentenze della Cassazione del 2006 ha ritenuto di dover “ impingere “
anche il Tribunale di Frosinone nella sentenza in commento al fine di regolare la fattispecie concreta oggetto di
giudizio.
Nel doloroso e grave evento infortunistico deciso dal Tribunale ciociaro la vettura condotta dall’attrice, nel
percorrere la strada statale, a causa del fondo stradale reso viscido dalla pioggia e per la presenza di sostanza
scivolosa sul piano viabile, sconfinava nell’opposta corsia schiantandosi frontalmente contro altro veicolo che
proveniva da senso inverso.
Le emergenze processuali hanno appurato che, nella fattispecie, la vettura condotta dall’attrice perdeva
improvvisamente aderenza sul manto stradale a causa della presenza di sostanza viscida e che, presente sul piano
viabile, si era sciolta con la pioggia.
La stessa sostanza viscida ricopriva una larga parte del piano stradale tanto che aveva reso difficoltoso anche il
transito a piedi dei soccorritori.
Il Tribunale di Frosinone – dato per dimostrato il nesso di causalità tra la presenza di materiale oleoso sulla
strada e l’incidente - ha quindi proceduto a verificare l’esistenza nel caso specifico di un obbligo di custodia in
capo all’Anas S.p.a. e la conseguente soggezione della società concessionaria al regime di responsabilità
oggettiva di cui all’art. 2051 Cod. Civ., così come delineato nelle sentenze della Suprema Corte del 2006 che il
Giudice estensore ha dichiarato di condividere appieno.
Gli elementi raccolti e accuratamente scrutinati in sentenza sono stati i seguenti: i) la strada teatro del sinistro
costituiva la principale arteria di collegamento tra la provincia di L. e la provincia di F.; ii) sul tratto di strada
veniva rilevata una grave anomalia di aderenza al suolo per l’estesa presenza di sostanza oleosa sul manto
stradale; iii) il pericolo rappresentato dalla presenza di sostanza viscida sul manto stradale era stato rilevato come
preesistente all’incidente; iiii) nei pressi del luogo dell’incidente veniva rilevata la presenza di un cantiere per lo
svolgimento di lavori sulla linea ferroviaria che faceva indurre la circolazione di mezzi pesanti sulla strada con
l’aggravamento degli obblighi di manutenzione e di vigilanza sulle condizioni di viabilità della strada a carico
del gestore concessionario.
Sulla scorta dei descritti elementi il Tribunale di Frosinone ha ritenuto sussistere in capo al concessionario del
demanio stradale l’obbligo di custodia del tratto di strada in cui si è verificato l’incidente, con l’applicazione
dell’art. 2051 Cod. Civ. nell’impostazione oggettiva propria del modello cd. no fault 35 .
Essendo mancata da parte dell’Anas S.p.a. la necessaria prova positiva del caso fortuito, inteso come fattore
esterno e autonomo che attiene al profilo causale dell’evento, ne è conseguito l’accertamento di responsabilità
della stessa società concessionaria e custode nella produzione del danno patito dall’attrice.
35
La tesi della natura oggettiva della responsabilità del custode è sostenuta in dottrina, tra gli altri, da M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in
Comm. Scialoia- Branca, Bologna- Roma 1993, 545 e da P.G. Monateri, in La responsabilità civile, Torino, 1998, 1033.
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