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La filosofia medievale La filosofia medievale
La filosofia medievale La filosofia medievale costituisce un imponente ripensamento dell'intera tradizione classica sotto la spinta delle domande poste dalle tre grandi religioni monoteiste In Europa la diffusione del Cristianesimo all'interno dell'impero romano segnò la fine della filosofia ellenistica e l'inizio della Patristica, dalla quale si svilupperà la filosofia medievale. La Patristica, cioè il pensiero degli antichi padri della Chiesa, rappresentò il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui costoro cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca, in particolare di quella stoica e neoplatonica logos significava la ragione e il fondamento universale del mondo, in virtù del quale la realtà terrena veniva ricondotta ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere. Soprattutto in Plotino, l'ultimo dei grandi filosofi greci, si avvertiva il tema della trascendenza dell'Idea platonica, da lui concepita come la forza spirituale che plasma gli organismi viventi secondo un progetto prestabilito. Se i primi cristiani accolsero con accenti diversi la filosofia pagana, senza identificare automaticamente i suoi sistemi di pensiero con il messaggio evangelico, e anzi con una certa coscienza critica che in Tertulliano si tramuta in aperta diffidenza,Giustino fu invece tra i primi a identificare il Cristo incarnato con il logos dei greci, termine che egli trovava adoperato nel prologo di Giovanni. A ogni modo, almeno fino al 200, la patristica si dedicò essenzialmente alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari. Tra costoro vi erano i cosiddetti "padri Apologisti". Solo in seguito cominciarono invece a sorgere i primi grandi sistemi di filosofia. Un importante contributo in tal senso venne da Clemente Alessandrino; come Giustino, anche Clemente arrivò a sostenere che Dio aveva dato la filosofia ai Greci «come un Testamento loro proprio». Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge mosaica per gli Ebrei, è ambito di "rivelazione": sono due rivoli che in definitiva vanno verso lo stesso Logos. Agostino Il maggiore esponente della Patristica fu quindi Agostino di Ippona: questi divenne un vescovo neoplatonico, e conciliò la filosofia greca con la fede cristiana riprendendo da Plotino il tema delle tre nature o ipostasi divine (Uno, Intelletto e Anima) e identificandole con le tre Persone della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo), ma concependo il loro rapporto di processione non più in senso degradante, ma in un'ottica di parità-consustanzialità. Secondo Agostino ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede riuscirà a placare la nostra sete di conoscenza. Agostino riprese da Plotino anche la concezione del male come semplice "assenza" di Dio: esso è dovuto perciò alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio. Con Agostino emerse tuttavia, su questo punto, una differenza peculiare della filosofia cristiana rispetto a quella greca, nella quale era certamente presente l'idea della contrapposizione tra bene e male, ma era assente la nozione del peccato, per cui non c'era una visione lineare della storia come percorso di riscatto verso la salvezza. Agostino invece ebbe presente come la lotta tra bene e male si svolge soprattutto nella storia. Ciò comportò anche una riabilitazione della dimensione terrena rispetto al giudizio negativo che ne aveva dato il platonismo. Ora anche il mondo e gli enti corporei hanno un loro valore e significato, in quanto frutti dell'amore di Dio. Si tratta di un Dio vivo e Personale che sceglie volontariamente di entrare nella storia umana. All'amore ascensivo tipico dell'eros greco, Agostino affiancò pertanto l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano. L'aristotelismo arabo ed ebraico Mentre in Europa si diffondeva il platonismo, durante tutto il Medioevo gli arabi avevano mantenuto viva la tradizione filosofica facente capo ad Aristotele, con commenti e traduzioni del filosofo greco, e sviluppando interessi per le scienze naturali. Si trattava di un aristotelismo penetrato in Medio Oriente attraverso l'interpretazione che ne aveva dato in epoca ellenistica Alessandro di Afrodisia, mescolato con motivi giudaici, cristiani, e soprattutto neoplatonici. In questo sincretismo di culture, favorito dall'espansione araba verso l'Occidente, fiorirono nuovi centri come Bagdad, Granada, Cordova, e Palermo. Tra le figure più importanti dell'ambito islamico, che cercarono di conciliare l'adesione al Corano con le esigenze della ragione, vi furono Al-Kindi, Al-Farabi, Ibn Bajjah, Avicenna, e Averroè. Avicenna in particolare fu anche medico, autore di un Canone della medicina e del Libro della Guarigione, nei quali si proponeva di far guarire l'anima dall'ignoranza. Influenzato da Plotino, sostenne che il mondo non è creato nel tempo, ma originato per emanazione dall'Uno, secondo un processo di concause che vede Dio generare indirettamente i livelli astrali inferiori, l'ultimo dei quali è l'aristotelico Intelletto Attivo, da lui associato alla Luna. Pur essendone partecipi, i singoli uomini possiedono soltanto un intelletto potenziale. Averroè invece presuppone che il mondo esista per l'azione diretta di Dio, ma sempre in un contesto fuori dal tempo. Sostenne in forma neoplatonica e con un certo panteismo una corrispondenza tra le Sfere Celesti e la Terra, ma a differenza di Avicenna separò anche l'Intelletto passivo dalle singole anime umane: per lui l'attività intellettiva, sia agente che potenziale, è unica e identica in tutti gli uomini, e non coincide con nessuno di essi. Sottoponendo a critica tutta la conoscenza, sottolineò come la percezione sensibile abbia bisogno dell'Intelletto Agente per elevarsi all'astrazione, senza il quale essa produce saperi variabili da uomo a uomo. In soccorso deve quindi giungere la religione, che si affianca alla ricerca filosofica riservata invece a pochi. La doppia verità, concetto attribuito erroneamente a lui, è in realtà una semplificazione della sua dottrina, che anzi ebbe presente come le verità di fede e di ragione debbano costituire un'unica sola verità, conoscibile dai più semplici tramite la rivelazione e i sentimenti, e dai filosofi cui spetta invece il compito di riflettere scientificamente sui dogmi religiosi presenti in forma allegorica nel Corano. Tra le numerose opere di Averroè, che spaziano nei campi più svariati, la più imponente fu il Commentario alle opere di Aristotele, che lo rese noto nell'Europa cristiana. In ambito ebraico, invece, si era avuto già con Filone di Alessandria (I secolo d.C.) un primo tentativo di conciliare la Legge mosaica con la filosofia platonica, tentativo tuttavia che aveva avuto maggior seguito presso i primi cristiani. Sarà con Avicebron, e poi con Mosè Maimonide, che si ha un effettivo confronto tra la fede ebraica e il retaggio culturale greco. Maimonide incentrò la sua riflessione su alcuni princìpi fermi riguardanti l'esistenza di Dio e la sua immortalità. Egli si servì dell'aristotelismo, influenzato anche nel suo caso da numerosi concetti neoplatonici, per conciliare la fede nella Torah e nel Talmud con forme razionali di speculazione filosofica, sostenendo la trascendenza di Dio, la libera volontà umana e divina, e l'origine creazionistica del mondo, ma negando come Averroè l'immortalità dell'anima individuale. La scolastica A partire dall'anno Mille è particolarmente significativa la nascita della filosofia scolastica, così chiamata dall'istituzione delle scholae, ossia di un sistema scolasticoeducativo diffuso in tutta Europa, e che garantiva una sostanziale uniformità di insegnamento. Le origini della scolastica si possono rintracciare già in Carlo Magno, il quale, dando avvio alla "rinascita carolingia" aveva fondato ad Aquisgrana intorno al 794 la Schola palatina, per favorire l'istruzione delle genti e la diffusione del sapere servendosi dei monaci benedettini. Gli insegnamenti erano divisi in due rami: • l'arte del trivio (il complesso delle materie letterarie); • l'arte del quadrivio (il complesso delle materie scientifiche). Con l'Admonitio Generalis Carlo Magno aveva quindi cercato di formare un metodo di studio che fosse praticato in tutto il Sacro Romano Impero. Gradatamente si sviluppò così un tipo di insegnamento detto scolastico, che prenderà sempre più a distinguersi dall'ambiente monastico in cui era nato, sviluppando una forma di sapere più autonoma. Anselmo d’Aosta Padre della Scolastica è comunque considerato l'abate benedettino Anselmo d'Aosta, poi divenuto arcivescovo di Canterbury, che cercò una convergenza tra fede e ragione nel solco della tradizione platonica e agostiniana. Le sue due opere principali vertono sull'argomento ontologico dell'esistenza di Dio, che nel Monologion viene da lui trattato a posteriori partendo dalla considerazione che, se qualcosa esiste, occorre ammettere un Essere supremo come principio della catena ontologica che lo rende possibile. Nel Proslogion, invece, Anselmo espone una prova a priori, in base alla quale Dio è l'Ente massimo di cui non si può pensare nulla di più grande; chi nega che a questo concetto dell'intelletto corrisponda una realtà, necessariamente si contraddice, perché allora si potrebbe pensare che l'Ente massimo sia minore di qualcosa ancora più grande che abbia anche l'esistenza. Anselmo fu un sostenitore della realtà degli universali come ante rem, cioè appunto a priori, precedenti l'esperienza. La sua posizione fu appoggiata da Guglielmo di Champeaux (esponente di un realismo oggi assimilabile più che altro all'idealismo), ma avversata da Roscellino, fautore invece di un nominalismo estremo con cui giungeva a sostenere che le tre Persone della Trinità fossero tre realtà fra loro distinte, per quanto identiche per il potere e la volontà: la loro comune essenza, la divinità, era dunque solo un nome, un flatus vocis. Roscellino fu per questo accusato di triteismo. Nella polemica si inserì anche Pietro Abelardo, più favorevole al concettualismo, dando luogo a una disputa che fu il tratto caratteristico della Scolastica, protraendosi per vari secoli. L'evoluzione dei centri urbani, intanto, favorita da una concezione del lavoro rivolta alla costruzione del benessere comune e incentrata sull'opera della collettività, aveva portato alla Rinascita dell'anno Mille e poi a quella del XII secolo, durante le quali i filosofi medievali andarono sempre più a stabilire le proprie sedi nelle scuole annesse alle cattedrali, o nelle Università come quelle di Bologna e Parigi. Tra gli istituti di nuova formazione acquistò notevole prestigio la scuola di Chartres, che si richiamava al pensiero neoplatonico di Agostino d'Ippona e di Boezio. Nell'ambito della disputa sugli universali gli scolastici di Chartres sostennero che le idee sono del tutto a priori, essendo creature del Padre, mentre sul piano cosmologico seguirono l'interpretazione data da Calcidio al Timeo di Platone, identificando lo Spirito Santo con la platonica Anima del mondo, secondo la tesi fatta propria già da Abelardo. Ammettendo però l'immanenza dello spirito nella Natura, questa fu concepita come una totalità organica e indipendente, oggetto di studi separati rispetto alla teologia. Tommaso d’Aquino Discepolo di Alberto fu Tommaso, il quale analogamente, di fronte all'avanzare dell'aristotelismo arabo che sembrava voler mettere in discussione i capisaldi della fede cristiana, mostrò che quest'ultima non aveva nulla da temere, perché le verità della ragione non possono essere in contrasto con quelle della Rivelazione, essendo entrambe emanazione dello stesso Dio. Secondo Tommaso dunque non c'è contraddizione tra fede e ragione, per cui spesso la filosofia può giungere alle stesse verità contenute nella Bibbia; per esempio, si può arrivare a conoscere l'esistenza di Dio sia attraverso la fede, sia attraverso la ragione e l'osservazione basata sui sensi. Come il suo maestro, anche Tommaso cercò di conciliare la rivelazione cristiana con la dottrina di Aristotele, il quale, partendo dallo studio della natura, dell'intelletto e della logica, aveva sviluppato delle conoscenze sempre valide e universali, facilmente assimilabili dalla teologia cristiana, dal momento che la verità oggettiva, come del resto insegnava lo stesso filosofo greco, è tale proprio in quanto rimane sempre uguale in ogni epoca e luogo. Così era ad esempio nelle scienze naturali, per le quali esisteva un perenne passaggio dalla potenza all'atto che strutturava gerarchicamente il mondo secondo una scala ascendente che va dalle piante agli animali, e da questi agli uomini, fino agli angeli e a Dio, che in quanto motore immobile dell'universo è responsabile di tutti i processi naturali. Le intelligenze angeliche hanno una conoscenza intuitiva e superiore, che permette loro di sapere immediatamente ciò a cui noi invece dobbiamo arrivare tramite l'esercizio della ragione. L'opera fondamentale di Tommaso d'Aquino, la Summa Theologiae, fu da lui concepita alla stegua del processo di edificazione delle grandi cattedrali europee: come la teologia ha lo scopo di rendere trasparenti alla ragione i fondamenti della fede, così l'architettura, in particolare quella delle chiese romaniche del Duecento, diventò lo strumento collettivo per l'educazione del popolo e della sua partecipazione alla Verità rivelata. La disputa sugli universali Grande dibattito suscitò all'interno della scolastica la cosiddetta disputa sugli universali, una questione, come già accennato, riguardante la natura dell'universale, ossia del predicato che viene assegnato a una molteplicità di enti. Quando ad esempio si afferma: «tutti gli esseri sono mortali», si attribuisce una caratteristica generale (un quid, cioè l'essere mortale) a delle realtà concrete e particolari. Qual è allora la natura di questo quid? Le risposte variarono nel tempo dando luogo a una disputa che attraversando i secoli, iniziando da Porfirio nel 300 circa fino a Guglielmo d'Ockham (1300) e oltre, fu all'origine per certi versi della filosofia moderna. Le possibili risposte alla questione sono sintetizzabili nel compromesso elaborato da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, sostenitori del realismo moderato, secondo cui gli universalia sono: • ante rem, cioè esistono prima della realtà, nella mente di Dio; • in re, nel senso che gli universali entrano anche all'interno della realtà stessa, come sua essenza reale; • post rem, quando gli universali diventano un prodotto reale della nostra mente, la quale svolge quindi una funzione autonoma nell'elaborazione dei concetti che non dipende dalla realtà. Ai realisti, che affermavano l'esistenza oggettiva e indipendente dell'universale, si contrapposero i nominalisti, i quali invece negavano qualsiasi realtà all'universale che per essi è dunque un semplice nome, flatus vocis, essendo solamente post rem. Gli ultimi sviluppi della scolastica Filosoficamente, il Medioevo si caratterizza per una grande fiducia nella ragione umana, ossia nella capacità di poter indagare i misteri della fede, in virtù del fatto che Dio nei Vangeli si presenta come Logos (cioè Principio Logico). Guglielmo di Ockham Al fideismo aderì soprattutto Guglielmo di Ockham, esponente della corrente nominalista, all'interno della quale egli giunse a negare alla Chiesa il ruolo di mediazione tra Dio e gli uomini. Basandosi su una concezione riduzionista del sapere (all'origine del suo famoso rasoio), Occam criticò i concetti di causa e di sostanza, da lui giudicati metafisici, in favore di un approccio empirico alla conoscenza. Radicalizzando la posizione filosofica di Scoto, Occam affermò che Dio non ha creato il mondo per «intelletto e volontà» come sosteneva Tommaso d'Aquino, ma per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, senza né regole né leggi. Come Dio, anche l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Giovanni Buridano riprese inizialmente le tesi di Occam, cercando poi di conciliarle con la fisica aristotelica. In Germania, intanto, Meister Eckhart poneva le basi della mistica speculativa tedesca, accentuando per parte sua il carattere misterioso e imperscrutabile di Dio, elaborando una teologia negativa radicalmente apofatica. Secondo Eckhart, Dio genera se stesso e il proprio Figlio negli uomini, in un atto creativo continuo e ininterrotto. Di qui il suo insegnamento rivolto alla cura dell'anima e della preghiera contemplativa. Affini al misticismo di Eckhart furono i toni utilizzati dall'anonimo autore inglese della Nube della non conoscenza, dove Dio è rappresentato «avvolto da nubi e tenebre» secondo un'immagine di derivazione biblica. La convinzione dell'inconoscibilità di Dio radicalizzò la separazione tra scienza e fede, mantenendo da un lato la valorizzazione dell'indagine naturale sul modello della scuola di Chartres, ma al contempo conducendo ad una fiducia cieca nel Creatore. L'accentuarsi della distanza tra la dimensione terrena e quella celestespirituale, che nel Trecento portò a un tale crescente fideismo, fu espressa dal Gotico nella sua forma estrema. La cattedrale di Chartres Il labirinto delle chiese medievali, simbolo del pellegrinaggio dell'uomo verso la "città di Dio". Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.