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Il linguaggio – parte seconda

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Il linguaggio – parte seconda
Il linguaggio – parte seconda
A cura di Eleonora Bilotta
Le immagini della mente (Continua)
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Mettendo in evidenza soprattutto l’aspetto visivo,
Kosslyn (1975) definisce l’immagine come “ciò che
è visto con l’occhio della mente”, in assenza
dell’oggetto fisicamente inteso che costituisce un
contenuto della stessa immagine.
Questa possiede una sua struttura più o meno
complessa, una forma, una nitidezza, una durata. In
tal caso l’immagine è un oggetto che non sta nel
mondo fenomenico esterno all’organismo, bensì
internamente ad esso e come riproduzione dei
fenomeni.
Le immagini della mente
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Con il termine “imagery” Sheehan (1979) definisce
la descrizione, fornita dal soggetto sperimentale,
relativa alla lettura fotografica di qualcosa che non
è presente e che non influenza direttamente
dall’esterno i sensi, come invece accade durante la
percezione.
Singer (1981, 1982) ritiene che l’imagery sia una
capacità umana che qualifica il flusso dei pensieri o
quei processi ricostruttivi che trovano una
giustificazione nell'utilizzo terapeutico dell'immagine
mentale o con gli aspetti creativi del processo
stesso.
L’immaginazione (Continua)
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Il termine “imagination” è usato invece per caratterizzare
i costrutti mentali creativi, per indicare una forma di
immaginazione creativa nella quale le immagini e la loro
produzione sono direttamente controllate e dirette dagli
interessi e dalle motivazioni del soggetto stesso.
La capacità di immaginazione richiede un uso efficiente
e costruttivo dell’esperienza passata, la quale è
condizionata, a sua volta, dalle situazioni motivazionali
ed emozionali esperite dal soggetto.
Come l’immagine mentale, anche l’immaginazione può
essere diretta verso l’interno o l’esterno dell’individuo ed
è caratterizzata da una capacità di produzione e di
rappresentazione sintetica delle esperienze passate.
L’immaginazione

Come l’esperienza visiva è di primaria importanza
per imparare a comprendere e a interagire
correttamente nell’ambiente fisico, sociale ed
emozionale,
l’esperienza
immaginativa,
la
ricreazione dei percetti in immagini mentali e la loro
trasfigurazione, artistica e non, sotto forma di
prodotti quali dipinti, sculture, architettura,
manufatti, letteratura, poesie, racconti, ecc., o
semplicemente prodotti che fanno parte della
nostra vita mentale, è legata alla capacità
dell'emisfero destro di ricordare con esattezza i
particolari, le “Gestalten” strutturali degli oggetti che
fanno parte del mondo che ci circonda.
La visione dei cognitivisti (Continua)
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In un bellissimo articolo Marcel Danesi (1990)
inserisce lo studio della metafora (figura retorica
per la quale si trasporta una parola dal senso
proprio al senso figurato) fra gli interessi di molti
ricercatori cognitivisti perché anche loro hanno
capito che comunicazione, cognizione, e specifiche
strutture linguistiche sono saldamente interagenti.
Questo fenomeno interessa soprattutto il tipo di
metafora che implica la modalità visiva e le
modalità sensoriali nella rappresentazione di
pensieri astratti con l’idea chiave che il pensiero
astratto sia legato al sistema visuale.
La visione dei cognitivisti
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L’autore, di lingua inglese, sostiene infatti
che la pervasività dei termini visuali nella
lingua Anglo- Americana è in relazione con
uno specifico set mentale.
La lista di tali termini è sostanziosa e inoltre
questi modelli di pensieri metaforici
permeano quasi tutti gli aspetti della cultura
Anglo-Americana per cui i parlanti:
Verbi, azioni e parole
correlati al vedere
– “vedono” (view) fenomeni ed eventi attraverso
“lenti” (lenses) o “filtri” (filter); hanno una
personale e culturale "visione del mondo" (worldview); acquisiscono conoscenze e comprendono
tramite l‘”intuizione” (insight); flirtano attraverso
gli “occhi” (giving the eye); danno testimonianza
privilegiando i “testimoni oculari” (eyewitness);
hanno una “immagine” (images) pubblica e
privata.
Pensare è vedere
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Questa “particolare predisposizione per il senso della
vista” trova espressione nella formula metaforica
“pensare è vedere” (thinking is seeing) in quanto le
metafore visive e più in generale le metafore sensoriali
sono probabilmente indicative di una universale
categoria di pensiero. L’autore infatti sostiene che:
– la visione e il pensiero visuale sono vie di percezione e
cognizione;
– il pensiero astratto si origina nel dominio sensoriale;
– le metafore sensoriali/visuali sono trovate in linguaggi non
legati filo-geneticamente;
– le parti centrali del lessico che si riferiscono a pensieri
astratti, si originano principalmente come metafore
sensoriali e visuali.
I segni iconici (Continua)
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Ci sono inoltre segni i cui significanti possiedono
caratteristiche che fanno nascere nel ricevente
l’idea dell’oggetto che rappresentano, perché
queste caratteristiche sono presenti nell’oggetto. In
questo caso c’è un accoppiamento realistico fra
significante e significato.
Questo è possibile perché esistono molte
caratteristiche comuni sia alla proiezione del segno
sulla retina sia alla proiezione sulla retina
dell’oggetto la cui idea deve essere indotta nel
ricevente (Gibson, 1954).
I segni iconici (Continua)
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Così, per esempio, la silhouette di una locomotiva
fa sorgere l’idea della stessa in ogni ricevente che
ha familiarità con le locomotive, qualsiasi lingua egli
parli. Questi segni sono detti “iconici”, secondo la
terminologia Pierciana.
Bisogna fare attenzione a non identificare sempre e
comunque i segni convenzionali con i segni verbali
e quelli iconici con i segni visivi.
Esistono segni iconici verbali, così come segni
iconici convenzionali. Una volta però che un
sistema di segni è prevalentemente iconico, sono
possibili altre alternative nel suo sviluppo.
I segni iconici (Continua)
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Nel realizzare i lori significanti, i segni iconici
possono cambiare e nonostante tutto ancora far
nascere l’idea dello stesso significato.
In alcuni casi, il significante e il significato di un
segno iconico possono soltanto realizzare poche
caratteristiche dell'oggetto per il quale il segno è
stato creato.
È il caso della pittura astratta. Realizzazioni di
questo tipo sono appunto schematiche o astratte.
I segni iconici (Continua)
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I segni iconici possono d’altro canto avere molte
caratteristiche in comune con l’oggetto che
rappresentano e anzi imitarlo in modo molto vicino
alla sua natura, ovvero in modo realistico.
Wallis (1970, 1975) ha usato il termine “pleromatic”
per denotare questo ultimo tipo di segno iconico, le
cui varianti del significante presentano molte
caratteristiche dell’oggetto a cui si riferiscono.
Il problema allora, è se un segno iconico si sviluppa
nella
direzione
di icone
schematiche o
pleromatiche.
I segni iconici (Continua)
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Le pitture di oggetti sono segni iconici i cui
significanti
realizzano
una
versione
della
rappresentazione di un oggetto o qualcosa di
percettibile secondo la definizione di segno iconico
pleromatico
o
schematico.
L’espressione
“pittografico” è in relazione con la classe di pitture
di oggetti e denota una particolare realizzazione
grafica della rappresentazione di un oggetto.
Rispetto a un sistema di segni utili per la
comunicazione visiva sorge la questione se i suoi
segni iconici sono pitture di oggetti e se queste
pitture di oggetti possono essere designati come
pittografici.
I segni iconici
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Normalmente si intendono tali.
Per classificare i segni visivi, è necessario
delimitare il campo di oggetti al quale la
classificazione si applica.
E naturalmente questa classificazione non può
coprire tutto il mondo visibile.
Questo dovrebbe includere un diverso tipo di
ricerca, focalizzata attorno ai complessi problemi
delle forme della percezione così come la
percezione delle forme.
I segni visivi (Continua)
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Un primo livello di analisi implica che l’utilizzo del
termine segni visivi include l’uso della parola segni
come un indicatore di delimitazione in se stesso,
per cui sono da analizzare solo quei segni che
possono essere organizzati in un sistema.
Essi sono quei segni che intendono rappresentare
qualcosa, o, al limite, segni che presentano essi
stessi come segni.
È ovvio che forme di rappresentazione
presuppongono forme di percezione e non
viceversa.
Secondo Arnheim (1966) “percepire una cosa non è
ancora rappresentarla”.
I segni visivi
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L’autore continua dicendo che:
– “se l'atto del percepire consiste nella creazione di modelli
di categorie percettive, adeguate alla configurazione di
stimoli, e se il compito dell’artista include la
rappresentazione di tali modelli, allora egli ha attualmente
inventato una forma pittorica che molto spesso non può
essere semplicemente 'letta al di là' del percepito... La
rappresentazione consiste nel 'vedere dentro' il modello
della configurazione di stimoli che forma la sua struttura spesso un laborioso e persino insolubile problema - e
allora inventando una controparte pittorica per questo
modello... Le linee sinuose (in Van Gogh) erano... gli
equivalenti pittorici del suo concetto percettivo, la sua
materializzazione come forma tangibile, una traduzione
nel mezzo pittorico piuttosto che una riproduzione”.
Il processo di rappresentazione
(Continua)
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In questo processo la rappresentazione consiste
nel creare l'equivalente di un percetto con gli
strumenti di un particolare medium.
Sempre
Arnheim
(1966)
continua:
“la
rappresentazione pittorica presuppone di più della
formazione di un concetto percettivo. Deve essere
trovata una via per tradurre il percetto in una forma
tangibile. Ovviamente questo compito non è
eseguito dalla matita sulla carta, ma dalla mente
che guida la matita e giudica il risultato.
Il processo di rappresentazione
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Questo richiede ciò che io propongo di chiamare
'concetti rappresentazionali'... La traduzione di
concetti percettivi in modelli che possono essere
ottenuti dallo stock di forme disponibili nel medium
particolare precederà l’attuale disegno, continuerà
durante il disegno, e allora di nuovo sarà
influenzato da cosa risulterà sulla carta. I concetti
rappresentazionali sono dipendenti dal medium per
il quale essi esplorano la realtà.…”.
Le prime forme di rappresentazioni
(Continua)
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Da alcune decine di migliaia di anni, epoche a cui
risalgono i primi disegni rupestri, gli esseri umani
hanno cercato di rappresentare il mondo e se stessi
con incisioni e dipinti, una forma rudimentale di
comunicazione, che attraverso le immagini,
diventava una forma di scrittura pittorica.
Ciò per lo meno dimostra la radicalità originaria
della comunicazione visiva, accanto a quella
uditiva, per l’Homo sapiens sapiens.
Gregory sostiene ancora che questi nessi cognitivi
sono alla base delle origini del linguaggio.
Le prime forme di rappresentazioni
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Gli ominidi dell'era Cromagnon (circa ventimila anni
fa) probabilmente furono i primi a rompere il modo
tradizionale di vedere gli oggetti solo come oggetti,
quando cominciarono a tracciare dei dipinti di
questi oggetti per rappresentare qualcos’altro:
– per cui i primi linguaggi furono, seguendo questo autore,
“pitture arrangiate per raccontare una storia”.
La formazione del linguaggio (Continua)

Quando questi simboli visivi gradualmente si
liberarono dalla somiglianza con gli oggetti,
divennero più astratti, e comunque più potenti,
permettendo agli uomini di deviare
dalle
costrizioni biologiche della percezione, e in effetti
portare il mondo degli oggetti “nella loro testa”,
attraverso le immagini che potevano essere
richiamate a piacimento e ogni qualvolta
occorresse, e permettendo loro di parlare.
La formazione del linguaggio (Continua)
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Le immagini mentali, infatti, che già sono simboli
visivi raffinati consentono, in un circuito virtuoso
psicologico auto-fecondantesi, di creare nuovi
simboli concettuali.
Un altro studioso, Fincher (1976) osserva che
“l’abilità del cervello (dell’uomo) di produrre
immagini fosse originariamente più importante che
la sua abilità di produrre linguaggio”,
anche se
ancora non è chiaro se le immagini mentali hanno
un ruolo determinante nello sviluppo delle attività
cognitive superiori.
La formazione del linguaggio
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Si tratta di sapere se le immagini mentali giocano
un
ruolo
funzionale
significativo
nella
determinazione dei processi di pensiero, oppure se
sono semplicemente componenti concomitanti
puramente epi-fenomeniche di processi che
presentano caratteristiche molto differenti con
limitati attributi pittorici e figurali.
D’altro canto è importante conoscere quali tipi di
processi fisici sottostanno ad esse nel cervello e
fino a che punto i processi di attivazione delle
immagini mentali sono iso-morfiche agli oggetti
esterni che esse rappresentano.
I proposizionalisti e i sostenitori
delle immagini mentali (Continua)

I sostenitori di queste due posizioni hanno dato vita
alla
disputa
che
è
conosciuta
come
contrapposizione fra modello analogico (l’immagine
mentale è come una fotografia dalla quale noi
traiamo informazioni di tipo figurale) e modello
proposizionale dell’immagine mentale (lo sfondo
informativo dell'immagine mentale è di tipo
linguistico):
– il problema della rappresentazione dell’immagine riguarda
la specificità o non specificità di tale rappresentazione. In
altre parole bisogna rispondere al quesito se l’immagine
mentale è una forma distinta di rappresentazione interna,
elaborata in modo differente rispetto ad altre forme di
rappresentazione, oppure non lo è.
I proposizionalisti e i sostenitori
delle immagini mentali
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Secondo Neisser (1976):
– Le immagini non sono fotografie mentali, ma piani per
ottenere informazioni da ambienti potenziali... Esse sono
un momento particolare di un ciclo percettivo che
comprende delle fasi di anticipazione, di esplorazione, di
correzione degli schemi... L’immagine è solo attivazione
dello schema anticipatore senza che ne segua una
esplorazione sul mondo fisico... quando si attiva solo lo
schema anticipatore si ottengono quelle esperienze che
chiamiamo immagini mentali. Tali schemi sono
particolarmente resistenti e possono essere utilizzati a
scopo mnemonico.
La posizione di Vygotskij (Continua)
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Tornando allo sviluppo ontogenetico, relativo
all’acquisizione del linguaggio da parte del
bambino, è interessante notare come dalla
letteratura si può estrapolare il fenomeno secondo il
quale i bambini sembrano andare attraverso uno
stadio iniziale di metaforizzazione durante il quale
le parole suggeriscono immagini figurali.
Sulle basi della sua intensa ricerca sui bambini,
Vygotskij (1972) sostiene che:
– “la parola primariamente non è un simbolo diretto per un
concetto, ma piuttosto una immagine, un dipinto, uno
sketch mentale di un concetto, un piccolo racconto di esso
- in verità un piccolo lavoro artistico”.
La posizione di Vygotskij
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Questo autore ritiene inoltre che il linguaggio sia in
realtà uno dei mezzi più decisivi attraverso il quale
il bambino è capace di sistematizzare gli inputs
percettivi che provengono dal mondo esterno:
– uno strumento di produzione del pensiero.

Queste prime sequenze di parlato iconico sono,
comunque, i primi strumenti concettuali del
bambino nella transizione da una riflessione
sensoria al pensiero razionale.
Le metafore come meccanismi
iconici (Continua)
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Anche Gluksberg e Danks (1975) vedono le
metafore utilizzate dai bambini come meccanismi
iconici che risultano da una mancanza di
conoscenza organizzata delle rilevanti limitazioni
linguistiche e sociali.
Comprendendo molto di più di quanto siano
capaci di dire, i bambini confidano sulla loro
capacità iconica per inventare metafore nelle loro
interazioni linguistiche.
Le metafore come meccanismi
iconici
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La presenza di metafore visive nella conversazione
ordinaria può essere vista come riconoscimento al
fenomeno psicobiologico che l’iconicità, come
sostiene Sebeok (1979):
– “gioca un ruolo decisivo nel formare la vita di ogni giorno
in tutte le culture”.
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Ancora Gregory (1974) dice, infatti, che:
– “l’attività del vedere e del pensare e il linguaggio sono
inestricabilmente legate nel cervello”.
Il ruolo dell’emisfero sinistro
nella rappresentazione delle parole
(Continua)
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A conferma di questa tesi, un giovane ricercatore
italiano, Roberto Cubelli (1991), dell’ospedale
Maggiore di Bologna ha fatto una importante
scoperta, lavorando con due pazienti colpiti da
infarto ischemico, che aveva provocato danni
all’emisfero sinistro del cervello.
I risultati del suo lavoro, pubblicati sulla rivista
inglese “Nature” implicano un importante passo
avanti nello studio del funzionamento cerebrale:
– Nell’emisfero sinistro del cervello è archiviata l’immagine
ortografica delle lettere dell’alfabeto.
Il ruolo dell’emisfero sinistro
nella rappresentazione delle parole

E questa memoria è selettiva, riconosce cioè le
consonanti dalle vocali. Il ricercatore è arrivato a
questa importante scoperta studiando il fenomeno
presente come effetto del danno cerebrale, dovuto
all’ischemia:
– dei due pazienti uno non riesce più a scrivere le vocali, la
parola “castagna” diventa “cstgn”;
– L’altro non le padroneggia più: parlando non ha problemi,
ma se deve usare carta e penna le mette nel posto
sbagliato, le sopprime, le aggiunge.
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Cubelli,
spiega che si sapeva che l’emisfero
sinistro ha un ruolo importante nel linguaggio.
Due meccanismi distinti per le
consonanti e le vocali (Continua)
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Ora si sa anche che nel cervello esistono due
meccanismi distinti, uno responsabile della
specificazione delle vocali e l’altro delle consonanti.
Per cui, quando si deve scrivere, nel cervello scatta
la rappresentazione della parola assieme a una
serie di informazioni che riguardano il suo ordine
sillabico, il numero delle lettere che la compongono
e la loro identità.
È proprio in questa fase che intervengono i due
meccanismi differenziati, uno per le consonanti e
uno per le vocali.
Due meccanismi distinti per le
consonanti e le vocali
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“La distinzione fra vocale e consonante non è una
classificazione formale, ma ha una sua precisa
realtà neuro-psicologica. Ed è per questo che
talvolta i bambini, quando imparano a scrivere,
usano solo vocali oppure solo consonanti”.
Si potrebbe anche ipotizzare che prima dell’ottavo
secolo A. C., quando i Greci aggiunsero le vocali
all'alfabeto grafico, gli inventori della scrittura non
avessero ancora evoluto i tratti neurologici
funzionali all’uso vocalico. Inoltre la caratteristica
dei meccanismi neuro-anatomici distinti è comune
anche alla visione (cfr. Zeki, 1992).
Metafore astratte
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E' possibile anche rappresentare oggetti che sono in
realtà delle metafore quali “forza”, “coraggio”, “giustizia”
sotto forma di significante iconico:
– la versione iconica della falce e martello incrociati è una
metafora per l’unità della classe operaia, che è un
concetto astratto.
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Un raggruppamento di singole metafore è chiamato
allegoria.
Una figura di donna con una faccia triste, circondata da
forme geometriche e strumenti di lavoro quali compassi,
righelli, ecc, sulla cui testa un cherubino scrive su una
tavoletta di pietra, è una allegoria della Malinconia,
come la rappresenta Duerer, in cui ogni oggetto ha un
suo particolare metaforico e astratto significato.
Creazione di sistemi di segni come un
processo che va dal reale all’astratto (Continua)
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È anche pensabile che alcune volte, nel corso del
tempo, alcuni pittogrammi in un sistema di segni di
comunicazione visiva evolvano da semplici pitture
di oggetti a metafore che rappresentano concetti
astratti.
Tale evoluzione è rappresentata, nelle storia della
pittura, dal passaggio fra le espressioni realistiche e
quelle astratte.
Per quanto le realizzazioni pittografiche possano
essere indipendenti da testi verbali, per esempio,
nel caso della pittura che si capisce senza
l’interpolazione di filtri informativi.
Creazione di sistemi di segni come un
processo che va dal reale all’astratto (Continua)
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Vi sono rappresentazioni pittoriche che non si
possono capire senza conoscere il background
aneddotico delle immagini che rappresentano.
Infine ci sono pitture che sono dipendenti da altre
pitture, come nel caso delle parodie e nel caso in
cui vengano fatte citazioni.
In alcuni sistemi di segni iconici, una combinazione
di due o più segni può portare a forme di significato
indipendente.
L’esempio che fa Krampen (1983) a questo
proposito è quello che si riferisce a un segno
iconico che appare ripetutamente con svariati altri
segni iconici (la silhouette di una macchina nei
segnali stradali):
Creazione di sistemi di segni come un
processo che va dal reale all’astratto
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Tale immagine iconica dell’automobile opera come
un “radicale” essenziale che viene qualificato da
una aggiunta di altri segni iconici, che possono
indicare divieto di sorpasso, per esempio, o strada
sdrucciolevole, o altro.
Segni o sequenze di segni iconici possono essere
significativi per se stessi.
In questo caso, il significato dipende dalla
dislocazione del segno iconico, posto in evidenza,
in una zona centrale o in ultimo posto nel rapporto
con gli altri segni iconici in sequenza.
Il linguaggio (Continua)
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Si usa il termine linguaggio per indicare qualsiasi
sistema di segni che viene adoperato per
comunicare.
Si parla, per esempio di linguaggi formalizzati e/o
simbolici della matematica, di linguaggi delle arti, di
linguaggio del corpo o di linguaggi del computer.
Solo gli esseri umani parlano vere e proprie lingue.
Alcune specie di animali (le api, per esempio e
alcuni linguaggi gestuali e/o artificiali insegnati ad
alcune scimmie)
condividono semplicemente
poche caratteristiche che si possono attribuire alle
lingue naturali.
Il linguaggio

Il linguaggio è il fondamento comune delle
moltissime lingue naturali parlate dagli uomini,
attualmente in uso (dette lingue vive) e delle
lingue conosciute, ma non più parlate (dette
lingue morte).
Il linguaggio ci serve per
comunicare (Continua)
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Non c’è dubbio che la comunicazione costituisca
uno dei temi privilegiati su cui convergono varie
discipline, probabilmente in virtù dell’”apertura”
attuata dalla linguistica grazie all’opera di studiosi
quali Sapir, Hjemslev e Chomsky, verso la
psicologia e la sociologia.
Per opera di Chomsky, infatti è sorta una nuova
disciplina, la psicolinguistica, che stabilisce un
collegamento diretto fra stati psichici e
comportamento verbale.
Anche se non si devono dimenticare i contributi di
Piaget e Vygotskij.
Il linguaggio ci serve per
comunicare
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
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Essi avevano messo chiaramente in evidenza il
ruolo del linguaggio nel processo di apprendimento
e di socializzazione, fornendo in ambito psicologico
indicazioni di grande rilievo.
La sociologia, che da troppo tempo aveva
trascurato
lo
studio
della
comunicazione,
limitandosi a studiare le funzioni e gli effetti della
comunicazione di massa, solo da breve si è rivolta
ad analizzare i comportamenti sociali attraverso lo
studio del linguaggio.
È sorta in questo modo una branca disciplinare
completamente autonoma, la sociolinguistica.
I linguaggi ci servono per identificare e
associare significato al mondo (Continua)


Quasi nello steso periodo si sviluppa la semiotica,
che è la scienza secondo la quale, per dirla con U.
Eco, tutti i fenomeni culturali sono dei sistemi di
segni, cioé fenomeni di comunicazione.
Anche in questo settore si sviluppano studi di vario
genere, dall’analisi delle opere d’arte all’approccio
che esalta una estrema formalizzazione in chiave
cibernetica del fenomeno comunicativo, alla zoosemiotica proposta da Sebeok che è lo studio dei
segni del comportamento comunicativo animale.
I linguaggi ci servono per identificare e
associare significato al mondo
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Attualmente infatti, la comunicazione in generale
è mediata da una estrema semplificazione dei
simboli, nel senso che l’atto comunicativo non
solo è attuato mediante codici validi entro schemi
di riferimento specifici (di natura psichica, sociale
o culturale), ma tende ad esprimersi in forme
sempre più elementari e sempre più ricche di
valenze connotative.
Modelli di comunicazione secondo
differenti discipline (Continua)

Tutti questi indirizzi interdisciplinari hanno dato vita
a dei modelli analitici della comunicazione.
Vediamo di analizzarli brevemente uno per uno.
– Modello Semiologico: vede nella comunicazione un
processo di significazione.
– Modello Cibernetico: considera la trasmissione di
informazione entro un sistema dotato di auto-regolazione.
– Modello Statistico della Teoria Matematica della
Comunicazione o della informazione di Shannon vede
nella comunicazione la trasmissione di segnali
caratterizzati da probabilità di dipendenza seriale e da
entropia.
Modelli di comunicazione secondo
differenti discipline
– Modello Psicologico: colloca la comunicazione
nell’ambito dei comportamenti aperti o pubblici o
manifestativi.
– Modello Sociologico: vede la comunicazione come
scambio di influssi informazionali e/o decisionali in contesti
di sistemi sociali intra-gruppo e/o intergruppo.
– Modello Psico-linguistico, oggi diventato Psico-sociolinguistico: considera la comunicazione verbale come
una forma di interazione consistente nella emissione e
ricezione di messaggi costruiti sulla base di un codice
elaborato linguisticamente e culturalmente.
Modello integrato di Titone
R. Titone (1977) presenta un modello “integrato” della
comunicazione, in cui confluiscono i vari elementi
provenienti dai modelli sopra citati, che riportiamo qui di
seguito:
Come avviene la comunicazione
(Continua)

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Attraverso questo modello integrato, cerchiamo di
definire che cosa è un processo di
comunicazione.
Molto semplicemente possiamo dire che un
processo di comunicazione è un flusso di
informazione proveniente da una sorgente (S),
una mente umana (tralasciamo per il momento
tutta la comunicazione animale e altri sistemi
informativi di tipo non umano per semplificare il
fenomeno), che codifica (cd).
Fine della seconda parte

La prossima lezione riguarderà la terza
parte del linguaggio.
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