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Il linguaggio – parte seconda
Il linguaggio – parte seconda A cura di Eleonora Bilotta Le immagini della mente (Continua) Mettendo in evidenza soprattutto l’aspetto visivo, Kosslyn (1975) definisce l’immagine come “ciò che è visto con l’occhio della mente”, in assenza dell’oggetto fisicamente inteso che costituisce un contenuto della stessa immagine. Questa possiede una sua struttura più o meno complessa, una forma, una nitidezza, una durata. In tal caso l’immagine è un oggetto che non sta nel mondo fenomenico esterno all’organismo, bensì internamente ad esso e come riproduzione dei fenomeni. Le immagini della mente Con il termine “imagery” Sheehan (1979) definisce la descrizione, fornita dal soggetto sperimentale, relativa alla lettura fotografica di qualcosa che non è presente e che non influenza direttamente dall’esterno i sensi, come invece accade durante la percezione. Singer (1981, 1982) ritiene che l’imagery sia una capacità umana che qualifica il flusso dei pensieri o quei processi ricostruttivi che trovano una giustificazione nell'utilizzo terapeutico dell'immagine mentale o con gli aspetti creativi del processo stesso. L’immaginazione (Continua) Il termine “imagination” è usato invece per caratterizzare i costrutti mentali creativi, per indicare una forma di immaginazione creativa nella quale le immagini e la loro produzione sono direttamente controllate e dirette dagli interessi e dalle motivazioni del soggetto stesso. La capacità di immaginazione richiede un uso efficiente e costruttivo dell’esperienza passata, la quale è condizionata, a sua volta, dalle situazioni motivazionali ed emozionali esperite dal soggetto. Come l’immagine mentale, anche l’immaginazione può essere diretta verso l’interno o l’esterno dell’individuo ed è caratterizzata da una capacità di produzione e di rappresentazione sintetica delle esperienze passate. L’immaginazione Come l’esperienza visiva è di primaria importanza per imparare a comprendere e a interagire correttamente nell’ambiente fisico, sociale ed emozionale, l’esperienza immaginativa, la ricreazione dei percetti in immagini mentali e la loro trasfigurazione, artistica e non, sotto forma di prodotti quali dipinti, sculture, architettura, manufatti, letteratura, poesie, racconti, ecc., o semplicemente prodotti che fanno parte della nostra vita mentale, è legata alla capacità dell'emisfero destro di ricordare con esattezza i particolari, le “Gestalten” strutturali degli oggetti che fanno parte del mondo che ci circonda. La visione dei cognitivisti (Continua) In un bellissimo articolo Marcel Danesi (1990) inserisce lo studio della metafora (figura retorica per la quale si trasporta una parola dal senso proprio al senso figurato) fra gli interessi di molti ricercatori cognitivisti perché anche loro hanno capito che comunicazione, cognizione, e specifiche strutture linguistiche sono saldamente interagenti. Questo fenomeno interessa soprattutto il tipo di metafora che implica la modalità visiva e le modalità sensoriali nella rappresentazione di pensieri astratti con l’idea chiave che il pensiero astratto sia legato al sistema visuale. La visione dei cognitivisti L’autore, di lingua inglese, sostiene infatti che la pervasività dei termini visuali nella lingua Anglo- Americana è in relazione con uno specifico set mentale. La lista di tali termini è sostanziosa e inoltre questi modelli di pensieri metaforici permeano quasi tutti gli aspetti della cultura Anglo-Americana per cui i parlanti: Verbi, azioni e parole correlati al vedere – “vedono” (view) fenomeni ed eventi attraverso “lenti” (lenses) o “filtri” (filter); hanno una personale e culturale "visione del mondo" (worldview); acquisiscono conoscenze e comprendono tramite l‘”intuizione” (insight); flirtano attraverso gli “occhi” (giving the eye); danno testimonianza privilegiando i “testimoni oculari” (eyewitness); hanno una “immagine” (images) pubblica e privata. Pensare è vedere Questa “particolare predisposizione per il senso della vista” trova espressione nella formula metaforica “pensare è vedere” (thinking is seeing) in quanto le metafore visive e più in generale le metafore sensoriali sono probabilmente indicative di una universale categoria di pensiero. L’autore infatti sostiene che: – la visione e il pensiero visuale sono vie di percezione e cognizione; – il pensiero astratto si origina nel dominio sensoriale; – le metafore sensoriali/visuali sono trovate in linguaggi non legati filo-geneticamente; – le parti centrali del lessico che si riferiscono a pensieri astratti, si originano principalmente come metafore sensoriali e visuali. I segni iconici (Continua) Ci sono inoltre segni i cui significanti possiedono caratteristiche che fanno nascere nel ricevente l’idea dell’oggetto che rappresentano, perché queste caratteristiche sono presenti nell’oggetto. In questo caso c’è un accoppiamento realistico fra significante e significato. Questo è possibile perché esistono molte caratteristiche comuni sia alla proiezione del segno sulla retina sia alla proiezione sulla retina dell’oggetto la cui idea deve essere indotta nel ricevente (Gibson, 1954). I segni iconici (Continua) Così, per esempio, la silhouette di una locomotiva fa sorgere l’idea della stessa in ogni ricevente che ha familiarità con le locomotive, qualsiasi lingua egli parli. Questi segni sono detti “iconici”, secondo la terminologia Pierciana. Bisogna fare attenzione a non identificare sempre e comunque i segni convenzionali con i segni verbali e quelli iconici con i segni visivi. Esistono segni iconici verbali, così come segni iconici convenzionali. Una volta però che un sistema di segni è prevalentemente iconico, sono possibili altre alternative nel suo sviluppo. I segni iconici (Continua) Nel realizzare i lori significanti, i segni iconici possono cambiare e nonostante tutto ancora far nascere l’idea dello stesso significato. In alcuni casi, il significante e il significato di un segno iconico possono soltanto realizzare poche caratteristiche dell'oggetto per il quale il segno è stato creato. È il caso della pittura astratta. Realizzazioni di questo tipo sono appunto schematiche o astratte. I segni iconici (Continua) I segni iconici possono d’altro canto avere molte caratteristiche in comune con l’oggetto che rappresentano e anzi imitarlo in modo molto vicino alla sua natura, ovvero in modo realistico. Wallis (1970, 1975) ha usato il termine “pleromatic” per denotare questo ultimo tipo di segno iconico, le cui varianti del significante presentano molte caratteristiche dell’oggetto a cui si riferiscono. Il problema allora, è se un segno iconico si sviluppa nella direzione di icone schematiche o pleromatiche. I segni iconici (Continua) Le pitture di oggetti sono segni iconici i cui significanti realizzano una versione della rappresentazione di un oggetto o qualcosa di percettibile secondo la definizione di segno iconico pleromatico o schematico. L’espressione “pittografico” è in relazione con la classe di pitture di oggetti e denota una particolare realizzazione grafica della rappresentazione di un oggetto. Rispetto a un sistema di segni utili per la comunicazione visiva sorge la questione se i suoi segni iconici sono pitture di oggetti e se queste pitture di oggetti possono essere designati come pittografici. I segni iconici Normalmente si intendono tali. Per classificare i segni visivi, è necessario delimitare il campo di oggetti al quale la classificazione si applica. E naturalmente questa classificazione non può coprire tutto il mondo visibile. Questo dovrebbe includere un diverso tipo di ricerca, focalizzata attorno ai complessi problemi delle forme della percezione così come la percezione delle forme. I segni visivi (Continua) Un primo livello di analisi implica che l’utilizzo del termine segni visivi include l’uso della parola segni come un indicatore di delimitazione in se stesso, per cui sono da analizzare solo quei segni che possono essere organizzati in un sistema. Essi sono quei segni che intendono rappresentare qualcosa, o, al limite, segni che presentano essi stessi come segni. È ovvio che forme di rappresentazione presuppongono forme di percezione e non viceversa. Secondo Arnheim (1966) “percepire una cosa non è ancora rappresentarla”. I segni visivi L’autore continua dicendo che: – “se l'atto del percepire consiste nella creazione di modelli di categorie percettive, adeguate alla configurazione di stimoli, e se il compito dell’artista include la rappresentazione di tali modelli, allora egli ha attualmente inventato una forma pittorica che molto spesso non può essere semplicemente 'letta al di là' del percepito... La rappresentazione consiste nel 'vedere dentro' il modello della configurazione di stimoli che forma la sua struttura spesso un laborioso e persino insolubile problema - e allora inventando una controparte pittorica per questo modello... Le linee sinuose (in Van Gogh) erano... gli equivalenti pittorici del suo concetto percettivo, la sua materializzazione come forma tangibile, una traduzione nel mezzo pittorico piuttosto che una riproduzione”. Il processo di rappresentazione (Continua) In questo processo la rappresentazione consiste nel creare l'equivalente di un percetto con gli strumenti di un particolare medium. Sempre Arnheim (1966) continua: “la rappresentazione pittorica presuppone di più della formazione di un concetto percettivo. Deve essere trovata una via per tradurre il percetto in una forma tangibile. Ovviamente questo compito non è eseguito dalla matita sulla carta, ma dalla mente che guida la matita e giudica il risultato. Il processo di rappresentazione Questo richiede ciò che io propongo di chiamare 'concetti rappresentazionali'... La traduzione di concetti percettivi in modelli che possono essere ottenuti dallo stock di forme disponibili nel medium particolare precederà l’attuale disegno, continuerà durante il disegno, e allora di nuovo sarà influenzato da cosa risulterà sulla carta. I concetti rappresentazionali sono dipendenti dal medium per il quale essi esplorano la realtà.…”. Le prime forme di rappresentazioni (Continua) Da alcune decine di migliaia di anni, epoche a cui risalgono i primi disegni rupestri, gli esseri umani hanno cercato di rappresentare il mondo e se stessi con incisioni e dipinti, una forma rudimentale di comunicazione, che attraverso le immagini, diventava una forma di scrittura pittorica. Ciò per lo meno dimostra la radicalità originaria della comunicazione visiva, accanto a quella uditiva, per l’Homo sapiens sapiens. Gregory sostiene ancora che questi nessi cognitivi sono alla base delle origini del linguaggio. Le prime forme di rappresentazioni Gli ominidi dell'era Cromagnon (circa ventimila anni fa) probabilmente furono i primi a rompere il modo tradizionale di vedere gli oggetti solo come oggetti, quando cominciarono a tracciare dei dipinti di questi oggetti per rappresentare qualcos’altro: – per cui i primi linguaggi furono, seguendo questo autore, “pitture arrangiate per raccontare una storia”. La formazione del linguaggio (Continua) Quando questi simboli visivi gradualmente si liberarono dalla somiglianza con gli oggetti, divennero più astratti, e comunque più potenti, permettendo agli uomini di deviare dalle costrizioni biologiche della percezione, e in effetti portare il mondo degli oggetti “nella loro testa”, attraverso le immagini che potevano essere richiamate a piacimento e ogni qualvolta occorresse, e permettendo loro di parlare. La formazione del linguaggio (Continua) Le immagini mentali, infatti, che già sono simboli visivi raffinati consentono, in un circuito virtuoso psicologico auto-fecondantesi, di creare nuovi simboli concettuali. Un altro studioso, Fincher (1976) osserva che “l’abilità del cervello (dell’uomo) di produrre immagini fosse originariamente più importante che la sua abilità di produrre linguaggio”, anche se ancora non è chiaro se le immagini mentali hanno un ruolo determinante nello sviluppo delle attività cognitive superiori. La formazione del linguaggio Si tratta di sapere se le immagini mentali giocano un ruolo funzionale significativo nella determinazione dei processi di pensiero, oppure se sono semplicemente componenti concomitanti puramente epi-fenomeniche di processi che presentano caratteristiche molto differenti con limitati attributi pittorici e figurali. D’altro canto è importante conoscere quali tipi di processi fisici sottostanno ad esse nel cervello e fino a che punto i processi di attivazione delle immagini mentali sono iso-morfiche agli oggetti esterni che esse rappresentano. I proposizionalisti e i sostenitori delle immagini mentali (Continua) I sostenitori di queste due posizioni hanno dato vita alla disputa che è conosciuta come contrapposizione fra modello analogico (l’immagine mentale è come una fotografia dalla quale noi traiamo informazioni di tipo figurale) e modello proposizionale dell’immagine mentale (lo sfondo informativo dell'immagine mentale è di tipo linguistico): – il problema della rappresentazione dell’immagine riguarda la specificità o non specificità di tale rappresentazione. In altre parole bisogna rispondere al quesito se l’immagine mentale è una forma distinta di rappresentazione interna, elaborata in modo differente rispetto ad altre forme di rappresentazione, oppure non lo è. I proposizionalisti e i sostenitori delle immagini mentali Secondo Neisser (1976): – Le immagini non sono fotografie mentali, ma piani per ottenere informazioni da ambienti potenziali... Esse sono un momento particolare di un ciclo percettivo che comprende delle fasi di anticipazione, di esplorazione, di correzione degli schemi... L’immagine è solo attivazione dello schema anticipatore senza che ne segua una esplorazione sul mondo fisico... quando si attiva solo lo schema anticipatore si ottengono quelle esperienze che chiamiamo immagini mentali. Tali schemi sono particolarmente resistenti e possono essere utilizzati a scopo mnemonico. La posizione di Vygotskij (Continua) Tornando allo sviluppo ontogenetico, relativo all’acquisizione del linguaggio da parte del bambino, è interessante notare come dalla letteratura si può estrapolare il fenomeno secondo il quale i bambini sembrano andare attraverso uno stadio iniziale di metaforizzazione durante il quale le parole suggeriscono immagini figurali. Sulle basi della sua intensa ricerca sui bambini, Vygotskij (1972) sostiene che: – “la parola primariamente non è un simbolo diretto per un concetto, ma piuttosto una immagine, un dipinto, uno sketch mentale di un concetto, un piccolo racconto di esso - in verità un piccolo lavoro artistico”. La posizione di Vygotskij Questo autore ritiene inoltre che il linguaggio sia in realtà uno dei mezzi più decisivi attraverso il quale il bambino è capace di sistematizzare gli inputs percettivi che provengono dal mondo esterno: – uno strumento di produzione del pensiero. Queste prime sequenze di parlato iconico sono, comunque, i primi strumenti concettuali del bambino nella transizione da una riflessione sensoria al pensiero razionale. Le metafore come meccanismi iconici (Continua) Anche Gluksberg e Danks (1975) vedono le metafore utilizzate dai bambini come meccanismi iconici che risultano da una mancanza di conoscenza organizzata delle rilevanti limitazioni linguistiche e sociali. Comprendendo molto di più di quanto siano capaci di dire, i bambini confidano sulla loro capacità iconica per inventare metafore nelle loro interazioni linguistiche. Le metafore come meccanismi iconici La presenza di metafore visive nella conversazione ordinaria può essere vista come riconoscimento al fenomeno psicobiologico che l’iconicità, come sostiene Sebeok (1979): – “gioca un ruolo decisivo nel formare la vita di ogni giorno in tutte le culture”. Ancora Gregory (1974) dice, infatti, che: – “l’attività del vedere e del pensare e il linguaggio sono inestricabilmente legate nel cervello”. Il ruolo dell’emisfero sinistro nella rappresentazione delle parole (Continua) A conferma di questa tesi, un giovane ricercatore italiano, Roberto Cubelli (1991), dell’ospedale Maggiore di Bologna ha fatto una importante scoperta, lavorando con due pazienti colpiti da infarto ischemico, che aveva provocato danni all’emisfero sinistro del cervello. I risultati del suo lavoro, pubblicati sulla rivista inglese “Nature” implicano un importante passo avanti nello studio del funzionamento cerebrale: – Nell’emisfero sinistro del cervello è archiviata l’immagine ortografica delle lettere dell’alfabeto. Il ruolo dell’emisfero sinistro nella rappresentazione delle parole E questa memoria è selettiva, riconosce cioè le consonanti dalle vocali. Il ricercatore è arrivato a questa importante scoperta studiando il fenomeno presente come effetto del danno cerebrale, dovuto all’ischemia: – dei due pazienti uno non riesce più a scrivere le vocali, la parola “castagna” diventa “cstgn”; – L’altro non le padroneggia più: parlando non ha problemi, ma se deve usare carta e penna le mette nel posto sbagliato, le sopprime, le aggiunge. Cubelli, spiega che si sapeva che l’emisfero sinistro ha un ruolo importante nel linguaggio. Due meccanismi distinti per le consonanti e le vocali (Continua) Ora si sa anche che nel cervello esistono due meccanismi distinti, uno responsabile della specificazione delle vocali e l’altro delle consonanti. Per cui, quando si deve scrivere, nel cervello scatta la rappresentazione della parola assieme a una serie di informazioni che riguardano il suo ordine sillabico, il numero delle lettere che la compongono e la loro identità. È proprio in questa fase che intervengono i due meccanismi differenziati, uno per le consonanti e uno per le vocali. Due meccanismi distinti per le consonanti e le vocali “La distinzione fra vocale e consonante non è una classificazione formale, ma ha una sua precisa realtà neuro-psicologica. Ed è per questo che talvolta i bambini, quando imparano a scrivere, usano solo vocali oppure solo consonanti”. Si potrebbe anche ipotizzare che prima dell’ottavo secolo A. C., quando i Greci aggiunsero le vocali all'alfabeto grafico, gli inventori della scrittura non avessero ancora evoluto i tratti neurologici funzionali all’uso vocalico. Inoltre la caratteristica dei meccanismi neuro-anatomici distinti è comune anche alla visione (cfr. Zeki, 1992). Metafore astratte E' possibile anche rappresentare oggetti che sono in realtà delle metafore quali “forza”, “coraggio”, “giustizia” sotto forma di significante iconico: – la versione iconica della falce e martello incrociati è una metafora per l’unità della classe operaia, che è un concetto astratto. Un raggruppamento di singole metafore è chiamato allegoria. Una figura di donna con una faccia triste, circondata da forme geometriche e strumenti di lavoro quali compassi, righelli, ecc, sulla cui testa un cherubino scrive su una tavoletta di pietra, è una allegoria della Malinconia, come la rappresenta Duerer, in cui ogni oggetto ha un suo particolare metaforico e astratto significato. Creazione di sistemi di segni come un processo che va dal reale all’astratto (Continua) È anche pensabile che alcune volte, nel corso del tempo, alcuni pittogrammi in un sistema di segni di comunicazione visiva evolvano da semplici pitture di oggetti a metafore che rappresentano concetti astratti. Tale evoluzione è rappresentata, nelle storia della pittura, dal passaggio fra le espressioni realistiche e quelle astratte. Per quanto le realizzazioni pittografiche possano essere indipendenti da testi verbali, per esempio, nel caso della pittura che si capisce senza l’interpolazione di filtri informativi. Creazione di sistemi di segni come un processo che va dal reale all’astratto (Continua) Vi sono rappresentazioni pittoriche che non si possono capire senza conoscere il background aneddotico delle immagini che rappresentano. Infine ci sono pitture che sono dipendenti da altre pitture, come nel caso delle parodie e nel caso in cui vengano fatte citazioni. In alcuni sistemi di segni iconici, una combinazione di due o più segni può portare a forme di significato indipendente. L’esempio che fa Krampen (1983) a questo proposito è quello che si riferisce a un segno iconico che appare ripetutamente con svariati altri segni iconici (la silhouette di una macchina nei segnali stradali): Creazione di sistemi di segni come un processo che va dal reale all’astratto Tale immagine iconica dell’automobile opera come un “radicale” essenziale che viene qualificato da una aggiunta di altri segni iconici, che possono indicare divieto di sorpasso, per esempio, o strada sdrucciolevole, o altro. Segni o sequenze di segni iconici possono essere significativi per se stessi. In questo caso, il significato dipende dalla dislocazione del segno iconico, posto in evidenza, in una zona centrale o in ultimo posto nel rapporto con gli altri segni iconici in sequenza. Il linguaggio (Continua) Si usa il termine linguaggio per indicare qualsiasi sistema di segni che viene adoperato per comunicare. Si parla, per esempio di linguaggi formalizzati e/o simbolici della matematica, di linguaggi delle arti, di linguaggio del corpo o di linguaggi del computer. Solo gli esseri umani parlano vere e proprie lingue. Alcune specie di animali (le api, per esempio e alcuni linguaggi gestuali e/o artificiali insegnati ad alcune scimmie) condividono semplicemente poche caratteristiche che si possono attribuire alle lingue naturali. Il linguaggio Il linguaggio è il fondamento comune delle moltissime lingue naturali parlate dagli uomini, attualmente in uso (dette lingue vive) e delle lingue conosciute, ma non più parlate (dette lingue morte). Il linguaggio ci serve per comunicare (Continua) Non c’è dubbio che la comunicazione costituisca uno dei temi privilegiati su cui convergono varie discipline, probabilmente in virtù dell’”apertura” attuata dalla linguistica grazie all’opera di studiosi quali Sapir, Hjemslev e Chomsky, verso la psicologia e la sociologia. Per opera di Chomsky, infatti è sorta una nuova disciplina, la psicolinguistica, che stabilisce un collegamento diretto fra stati psichici e comportamento verbale. Anche se non si devono dimenticare i contributi di Piaget e Vygotskij. Il linguaggio ci serve per comunicare Essi avevano messo chiaramente in evidenza il ruolo del linguaggio nel processo di apprendimento e di socializzazione, fornendo in ambito psicologico indicazioni di grande rilievo. La sociologia, che da troppo tempo aveva trascurato lo studio della comunicazione, limitandosi a studiare le funzioni e gli effetti della comunicazione di massa, solo da breve si è rivolta ad analizzare i comportamenti sociali attraverso lo studio del linguaggio. È sorta in questo modo una branca disciplinare completamente autonoma, la sociolinguistica. I linguaggi ci servono per identificare e associare significato al mondo (Continua) Quasi nello steso periodo si sviluppa la semiotica, che è la scienza secondo la quale, per dirla con U. Eco, tutti i fenomeni culturali sono dei sistemi di segni, cioé fenomeni di comunicazione. Anche in questo settore si sviluppano studi di vario genere, dall’analisi delle opere d’arte all’approccio che esalta una estrema formalizzazione in chiave cibernetica del fenomeno comunicativo, alla zoosemiotica proposta da Sebeok che è lo studio dei segni del comportamento comunicativo animale. I linguaggi ci servono per identificare e associare significato al mondo Attualmente infatti, la comunicazione in generale è mediata da una estrema semplificazione dei simboli, nel senso che l’atto comunicativo non solo è attuato mediante codici validi entro schemi di riferimento specifici (di natura psichica, sociale o culturale), ma tende ad esprimersi in forme sempre più elementari e sempre più ricche di valenze connotative. Modelli di comunicazione secondo differenti discipline (Continua) Tutti questi indirizzi interdisciplinari hanno dato vita a dei modelli analitici della comunicazione. Vediamo di analizzarli brevemente uno per uno. – Modello Semiologico: vede nella comunicazione un processo di significazione. – Modello Cibernetico: considera la trasmissione di informazione entro un sistema dotato di auto-regolazione. – Modello Statistico della Teoria Matematica della Comunicazione o della informazione di Shannon vede nella comunicazione la trasmissione di segnali caratterizzati da probabilità di dipendenza seriale e da entropia. Modelli di comunicazione secondo differenti discipline – Modello Psicologico: colloca la comunicazione nell’ambito dei comportamenti aperti o pubblici o manifestativi. – Modello Sociologico: vede la comunicazione come scambio di influssi informazionali e/o decisionali in contesti di sistemi sociali intra-gruppo e/o intergruppo. – Modello Psico-linguistico, oggi diventato Psico-sociolinguistico: considera la comunicazione verbale come una forma di interazione consistente nella emissione e ricezione di messaggi costruiti sulla base di un codice elaborato linguisticamente e culturalmente. Modello integrato di Titone R. Titone (1977) presenta un modello “integrato” della comunicazione, in cui confluiscono i vari elementi provenienti dai modelli sopra citati, che riportiamo qui di seguito: Come avviene la comunicazione (Continua) Attraverso questo modello integrato, cerchiamo di definire che cosa è un processo di comunicazione. Molto semplicemente possiamo dire che un processo di comunicazione è un flusso di informazione proveniente da una sorgente (S), una mente umana (tralasciamo per il momento tutta la comunicazione animale e altri sistemi informativi di tipo non umano per semplificare il fenomeno), che codifica (cd). Fine della seconda parte La prossima lezione riguarderà la terza parte del linguaggio.