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La cura di rinforzo
Cap. 5 – Cura di rinforzo Dopo i primi anni di vita in cui ero considerato campione di bellezza, con l’inizio degli anni scolastici, sia per un fattore di crescita che alimentare, era un problema farmi mangiare, ero diventato magro ed allampanato. Le espressioni che venivano usate per me erano. -E’ tutt’ossa – Tiene solo gli occhi – E’ “nu spila pippe” – “E’ sicche, sicche”. Anche il nostro medico, quando veniva a casa per una qualche ragione, diceva a mio padre. - Giacchì, a chistu piccirillo gli dobbiamo fare una cura di rinforzo. Questa cura di rinforzo veniva sempre annunciata ma non veniva attuata. Quando chiedevo a mia madre - Perché non mi fate fare la cura di rinforzo? - Lei mi diceva. - Geppì, che cura di rinforzo, tu devi mangiare. - Si mammà, io mangio ma voglio farmi anche la cura di rinforzo che ha detto il dottore. - Ma tu lo sai che per la cura di rinforzo ti devi fare “e’ serenghe?” (le punture). - Si, si, mammà, me le faccio. E così fu comprata questa scatola con dieci fiale di ricostituente da assumere per via intramuscolare. Una nostra vicina, zia Filomena, era capace di fare le punture ed il giorno seguente con il mio pacchetto in mano, da solo andai a farmi fare la prima iniezione. Fui molto complimentato da zia Filomena per essere andato da solo e cominciò a preparare tutto l’occorrente. Non esistevano allora le siringhe mono uso, le Pic indolore, ma erano di vetro, si mettevano a bollire insieme all’ago, era il modo di sterilizzarle, e venivano usate tante e tante volte. Mi fece distendere sul suo letto con le gambe giù e mi disse di non stringere le chiappe ma di stare rilassato. Quando, dopo aver frizionato la parte con l’ovatta imbevuta di alcool, prese ad infilare l’ago, feci un tale salto che per poco non si ruppe dentro la mia carne, ma la donna era preparata e scaricò in un colpo tutto il liquido che invece andava iniettato piano per un più facile assorbimento. Il medicinale mi bruciava dentro e stetti a frizionarmi per tanto tempo. Le iniezioni dovevano essere fatte ogni giorno, ma il mattino seguente non volli andarci, fino a che mia madre si decise a venire con me. Con lei che mi accompagnava non potetti dire di no e ci presentammo a casa di zia Filomena, che mi rifece le stesse raccomandazioni del giorno prima. - Geppì non muoverti, se no e peggio e dopo la medicina ti brucia. Con tutta la buona volontà che potessi metterci, non mi riusciva di sottopormi alla perforazione della mia pelle con la tranquillità necessaria. Ma non potevo neanche sottrarmi a questa operazione, per la tanta insistenza con cui avevo assillato mia madre perché mi facesse fare questa benedetta cura di rinforzo. Mi rassegnai pertanto a farmi fare l’iniezione e tutto andò come il giorno prima, solo che mia madre contribuì a tenermi bloccato e questo consentì a zia Filomena di iniettare il farmaco più lentamente, con la conclusione che venne assorbito più facilmente e mi bruciò di meno. Ma tornando a casa, dissi a mia madre: - Mammà, è inutile che fai, io non me ne faccio più. In risposta mia madre mi diede uno scappellotto e, prendendomi per mano, una strattonata. Dovete sapere che “siringa” è per me un termine che mi ha segnato profondamente, e non in senso figurato, ma reale. Quando avevo pochi mesi di vita, devo essere stato molto male, da necessitare una cura fatta da medicinali da iniettare per via intramuscolare. Le chiappe di un neonato, sono molto piccole, si fa presto a confondere i quadranti dove deve essere iniettato il prodotto, anche perché il neonato strilla, si agita e poi, peggio di tutto, secondo me, ti fa pena. - Così piccolo poverino, si deve fare le siringhe. Comunque la mano sbagliò la zona giusta, il prodotto non venne assorbito e in conclusione dovettero incidermi le chiappe, sia quella di destra che quella di sinistra perché erano andate in suppurazione. Le suture non furono fatte da un abile chirurgo plastico, le cicatrici non sono invisibili, anzi da ragazzino, quando non avevo pudore a mostrarmi nudo, le mie sorelle, se avevano un motivo per avercela con me, mi dicevano. - Geppino o’ curiuso, tene u’culo a tre pertusi. Che non vi venisse la voglia di verificare. Restando nel campo dei malanni che ho avuto, ricordo che un’estate, quando avevo otto o nove anni, cominciai con lo star male di pancia, mi fecero di tutto, iniezioni e lavaggi, che sono ancora peggio, durano tanto e vengono fatti in vena. Io però non miglioravo, non riuscivo a mangiare niente. La mia magrezza era da Biafra, se scendevo dal letto per fargli dare una sistemata o per cambiare le lenzuola o quando dovevo andare in bagno, mi dovevano reggere per camminare. Un giorno stavo particolarmente male e mio padre andò a chiamare il medico di famiglia che mi stava curando da quasi un mese, senza nessun miglioramento. Per mia fortuna non lo trovò e di mala voglia ne chiamò un altro che nel paese chiamavano “Scirocco” come il vento, perché così era mutevole ed azzardoso, si diceva avesse mandato al creatore parecchia gente per errore di diagnosi. Quando il medico Scirocco, in realta si chiamava Bozzaotre ed aveva una diecina di anni più di mio padre, mi vide disteso nel letto, sono convinto che capì subito cosa avessi, ma per fare il medico, mi fece aprire la bocca e cacciare la lingua, soffocandomi con quella specie di cucchiaio, poi mi tastò la pancia e sentenziò. - Giacchì, prendi una boccetta (nu carrafiello- sapessi scriverlo) di olio di ricino e dallo a tuo figlio. Tiene i vermi. Poi, porgendo la ricetta a mio padre aggiunse. - Cinque mila lire per la visita. – Era particolarmente attaccato ai soldi. A questo medico si attribuisce anche un certo spirito pungente e sarcastico, si dice abbia detto. - Quando uno è sfortunato, gli piovono cazzi in culo pure quando sta assettato (seduto). Questo detto, fa il pari con un altro che ho sentito qui in Abruzzo. - Qullu’ (quello) vuole fare il frocio con il culo mio. Questo che ho detto non c’entra niente con quanto vi stavo raccontanto,. Comunque, tornando a noi, il giorno dopo mi alzai dal letto, ovviamente avevo bevuto un intero carrafiello di olio di ricino. Non riuscivo a camminare, mi dettero un bastone per aiutarmi, ma facevo da solo. I vermi c’erano e come, si vedevano nel pitale insieme ai miei escrementi. Il cesso era da basso, staccato dall’abitazione. Scrivendo ancora dei miei malanni, erano croniche le influenze, quelle di stagione e di fuori stagione. Me ne beccavo sempre più di una all’anno, ancora adesso il mio stare male è prendermi l’influenza. E poi mi durano tanto, le scatole di medicinali mi finiscono ed il malanno è ancora lì. Ora faccio anche prevenzione, con il vaccino anti influenzale ed una scatole di pastiglie prima dell’inverno e va meglio, ma ci sono altri malanni, quelli legati all’età, che non si possono evitare e non consentono spiritosate. Giusto quella di un dottore che, facendomi una visita alla prostata, tanti maschi sanno come viene fatta, mi disse. - Lei i suoi anni non li mostra, la sua prostata si.