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le dinamiche della comunicazione in pronto soccorso
LE DINAMICHE DELLA COMUNICAZIONE IN PRONTO SOCCORSO Il Pronto Soccorso rappresenta il punto cruciale ove quotidianamente si intersecano pulsioni e sentimenti diversi che, se pur in contrapposizione tra di loro, interpretano comunque i vari stati d’animo che caratterizzano i comportamenti di tutti gli attori del processo assistenziale (personale ospedaliero-paziente/famiglia). Persone e operatori diversi, pur generando situazioni di conflitto dettate da motivazioni ed atteggiamenti difformi, finalizzano comunque i propri comportamenti ad un obiettivo comune rappresentato dalla cura dell’utente paziente. Il verificarsi improvviso, imprevisto, di un evento acuto o presunto tale che minaccia la salute genera una serie di imponenti reazioni emotive nel paziente, nei suoi familiari e nel personale che ne assume il carico assistenziale. Il cittadino che diventa improvvisamente utente di un Pronto Soccorso giunge in ospedale in preda ad una miscela esplosiva di sentimenti che vanno dalla paura per sé e per la propria famiglia, all’ansia di non ottenere adeguate risposte ai propri bisogni, alla preoccupazione di trovare un medico o un infermiere dei quali non si è certi di potersi fidare. Gli ambienti spesso poco accoglienti o il sovraffollamento possono amplificare sensibilmente lo stress vissuto dagli utenti che possono percepire il Pronto Soccorso come un luogo insicuro, inaffidabile dove un atteggiamento di aggressività può forse servire a farsi spazio e a “far valere i propri diritti”. La scarsa conoscenza del sistema del triage infermieristico o il rifiuto di un modello organizzativo che privilegia solo il paziente più grave piuttosto che la nostra egoistica necessità di essere “curati per primi” rappresentano ulteriori motivi di insoddisfazione e pongono il paziente in contrapposizione “a priori”a chi lo dovrà invece curare. Pertanto le reazioni di ansia e di paura vissute dal paziente ed i comportamenti da esse derivanti possono essere legate alla presunta gravità della causa che ha scatenato il malessere, ai dubbi sulla competenza e la professionalità di coloro che si occuperanno di lui e alla solitudine che egli vive fino alla comparsa del primo volto amico (qui possiamo intervenire noi volontari del Gaps). Il Pronto Soccorso rappresenta un luogo estraneo, insicuro, dove la possibilità di guarigione del paziente è affidata a persone completamente sconosciute. Comprendere queste reazioni e saperle interpretare rappresenta un punto di partenza per evitare situazioni di conflitto e stabilire una comunicazione ottimale. Anche gli operatori del Pronto Soccorso vivono una condizione del tutto particolare: il medico svolge un’attività che lo obbliga in pochi minuti a prendere decisioni di estrema importanza in un contesto operativo ove manca il presupposto fondamentale che governa l’azione clinica e cioè il rapporto di fiducia poiché è conscio di non essere stato scelto dal paziente, che quest’ultimo attende da lui risposte rapide ed efficaci. In altre parole vive in un costante stato di ansia da prestazione che lo porta a dilatare il ventaglio diagnostico a sua disposizione, pur di non sbagliare, con l’esecuzione di esami diagnostici sofisticati o di particolare impegno; ma l’esecuzione di tali esami costa tempo e risorse e non sempre il paziente le percepisce come eccesso di zelo. In definitiva essi dilatano il tempo di attesa e quindi generano ulteriori motivo di conflitto (“Siamo in Pronto Soccorso da cinque ore!!Dobbiamo ancora aspettare?”). Inoltre un aspetto considerato, ma di notevole impatto, è il rapporto conflittuale che il medico di Pronto soccorso stabilisce con colleghi di altri reparti (nessuno di essi si occupa di lodare una diagnosi brillante o un trattamento salvavita, mentre tutti all’indomani di un evento negativo o di un insuccesso, con il senno di poi, sono pronti a condannare il suo operato). Anche l’infermiere del Pronto Soccorso svolge un’attività di particolare responsabilità e ha un margine di autonomia molto elevato rispetto ai colleghi in altri reparti. In particolare il triage è un forte momento decisionale e di responsabilità clinica durante il quale l’infermiere determina il livello di priorità assistenziale che per il paziente si identifica con il tempo di attesa. È chiaro quindi che ogni protesta va rivolta a colui che ha ritenuto il nostro problema meno grave degli altri perché la sua scelta ha determinato il presunto ritardo assistenziale. Studi dimostrano che l’infermiere sia la figura professionale più frequentemente colpita da aggressioni verbali e fisiche. Spesso si crea un clima di nervosismo tra gli operatori e che trova le sue radici in un’attività professionale che non è prevedibile, non è pianificabile e non conosce soste nell’arco della giornata. In conclusione gli attori principali del processo assistenziale in PS vivono tutti, per motivazioni diverse, una condizione di sottile disagio e di stress subliminale che pongono ciascuno di essi al momento del loro incontro in una situazione di guardia, di difesa. L’interazione è legata alla capacità di ciascuno di essi di trovare un linguaggio comune con cui comunicare. Per il paziente il passaggio repentino da uno stato di apparente benessere a una condizione patologica acuta determina una serie di reazioni emotive che indeboliscono sensibilmente le sua capacità di relazione e liberano l’animo a comportamenti incontrollati. Sono diversi i modi di esternare il disagio e le paure, in base alla personalità di ognuno, alle caratteristiche sociali e culturali o alle esperienze maturate in casi analoghi. Si possono così avere reazioni a prevalente sviluppo interiore quali silenzio, disorientamento, timore, prostrazione, angoscia o reazioni più esterne come pianto, stati di ansia reattiva, fino a manifestazione aggressive. Al momento dell’accoglienza, pertanto, la comunicazione deve essere indirizzata a creare un clima di fiducia, affidabilità e serenità. In tal senso, prima delle parole contano gli atteggiamenti e la comunicazione non verbale come il nostro tono di voce, l’espressione del viso o la nostra postura nell’accogliere l’utente; attraverso i quali trasmettiamo messaggi importanti che in PS assumono ancor più una valenza straordinaria poiché già al primo impatto trasferiscono al paziente importanti informazioni. L’ascolto attento e dedicato è importantissimo e consente al paziente di esprimere non solo la sintomatologia, ma anche le sue paure e la sua angoscia. Noi volontari Gaps abbiamo la possibilità di ascoltare con attenzione e disponibilità la storia del paziente. Bisogna sempre ricordare che le reazioni dei pazienti vanno inquadrate nel contesto storico e sentimentale nei quali sono generate e non giudicate in assoluto o a priori come espressione di uno stato di irritabilità o aggressività. In un contesto come il PS, molto colorato non solo di etnie, ma anche di connotazioni emotive molto forti, la comunicazione verbale e non verbale diventa di fondamentale importanza. Sostanzialmente possiamo ricondurre i comportamenti dell’utenza a tre tipologie: comportamento passivo (persona trascinata al PS dai familiari, spesso scarsa aderenza al trattamento prescritto) comportamento aggressivo (persona che cerca di far prevalere i propri diritti e esigenze, mettendo a dura prova gli operatori, rischio di scontri verbali) comportamento assertivo (persona che riconosce e rispetta esigenze anche altrui). Per evitare lo scontro verbale con utenti aggressivi possiamo utilizzare il “protocollo delle tre A”: Attend: ascoltare la persona senza rispondere all’aggressività, cercando di capire il perché di tale comportamento. Assess: mostrare comprensione in modo da ridurre il livello di frustrazione e di aggressività Adress: orientare la persona verso una soluzione soddisfacente mostrando che gli operatori non sono avversari ma persone disponibili. Spesso la comunicazione medico-paziente è fugace o standardizzata, focalizzata sulla sintomatologia, mentre è importante ricostruire una rete relazionale all’interno del circuito paziente-medico-familiare. Inoltre la percezione del tempo di attesa nell’utente risulta molto più dilatata che nell’operatore e tale discrepanza crea insoddisfazione e sfocia in lamentele (è proprio qui che interveniamo noi!!). Tecniche di comunicazione assertiva in PS Le tecniche di comunicazione assertiva servono per non lasciarsi coinvolgere dalle critiche e non reagire alle provocazioni. Si intende per assertività quella modalità di vita caratterizzata da un atteggiamento positivo verso se stessi e gli altri. Trasmettere un’immagine autentica di sé e trasparente. Disco Rotto: Ripetere in modo calmo e sistematico il proprio punto di vista, senza dover ricorrere a giustificazioni o segnali di irritazione e nervosismo, ignorando trappole manipolative o tentativi di litigio. Utente: Senta mi scusi mi sa dire quanto ancora c’è da aspettare…? Tre ore che sono qui.. Noi: Mi spiace, non le so dire, abbiamo un’urgenza e oggi c’è solo un medico.. Utente: Io non posso aspettare, ho un impegno importante.. Noi: Mi spiace, le ripeto che putroppo abbiamo un’urgenza.. Utente: Ho un piede che mi duole da morire, un dolore insopportabile, devo arrivare in punto di morte per essere visitato??? Noi: Mi spiace, ma debbo ribadire che il medico è impegnato in un’urgenza.. Ignorare selettivamente: rispondere solo a quelle parti di critica che si possono accettare ignorando quelle che sembrano sgradevoli o manipolative. Si ottiene l’effetto di ridurre l’importanza degli aspetti negativi della comunicazione e di rinforzare quelli che non risultano distruttivi. Utente: Ma come fa a non capire che devo essere visto subito!!! Noi: Purtroppo l’unico medico disponibile è impegnato in un’urgenza: Disarmare la collera: tecnica utile per evitare che la collera trascenda e si trasformi; si applica lasciando da parte, inizialmente, l’oggetto del contendere, per risolvere prima l’irritazione in se stessa, cercando di capire l’altro e che cosa può aver contribuito a produrre un effetto così dirompente. “Capisco che Lei sia molto preoccupato per sua moglie…; comprendo la sua paura per…” Nei casi più gravi si dice all’altro che si è disposti a discutere, ma solo se assumerà un atteggiamento più calmo e controllato. “Parlerò con lei dopo che si sarà calmato..” con tono calmo e pacato e con l’intenzione di rendere possibile la comunicazione, migliorando la condizione per attuarla. Riferimenti Bibliografici: “Perché non mi capisce?” Teorie e Tecniche del colloquio psicologico. e“Non solo comunicare” di Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy.