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Cessione dei crediti: aspetti contabili e fiscali

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Cessione dei crediti: aspetti contabili e fiscali
Cessione dei crediti: aspetti contabili e fiscali
Data Articolo: 09 Gennaio 2014
Autore Articolo: Patrizia Tomietto
La cessione del credito è un’operazione con la quale il creditore trasferisce ad un terzo la
titolarità del suo diritto verso il debitore. La materia è disciplinata dall’art. 1260 C.C., secondo il
quale “il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il proprio credito, anche senza il
consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il
trasferimento non sia vietato dalla legge”. Esaminiamo gli aspetti civilistici, contabili e fiscali di
tale operazione.
I crediti generalmente vengono ceduti ad un prezzo inferiore rispetto al valore nominale, e questo
determina:
• una perdita in capo al cedente, il quale, tuttavia, evita di continuare a sostenere i costi operativi
e le lungaggini legati al recupero dei crediti;
• un potenziale utile in capo al cessionario, che spesso è una società specializzata nella
gestione dei crediti non performing (cioè crediti la cui riscossione è incerta sia nella scadenza che
nell’ammontare). La società, infatti, procede all’incasso del credito dal debitore ceduto ad un
valore di solito superiore a quello di acquisto, realizzando così un utile sui singoli crediti
acquistati. Ovviamente sosterrà una perdita nel caso in cui non riesca ad incassare totalmente o
parzialmente il credito di cui è diventata titolare.
La cessione del credito può essere effettuata:
• pro-soluto: il cedente non garantisce al cessionario la solvibilità del debitore, ma solo
l’esistenza e la validità del credito. Il rischio di insolvenza, quindi, viene trasferito insieme al
credito e il cessionario non può esercitare alcuna azione di regresso verso il cedente;
• pro-solvendo: il cedente risponde dell’eventuale insolvenza del debitore, quindi potrebbe
subire una azione di regresso da parte del cessionario.
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Esiste poi una terza forma di “cessione” del credito e cioè il mandato all’incasso: in questo caso
usare il termine “cessione” è improprio, in quanto il cessionario si limita a curare la riscossione
per conto del cedente, ma non diventa titolare del diritto di credito.
Come innanzi visto, il contratto di cessione di credito, ha lo scopo di trasferire il diritto di credito
dal cedente al cessionario: non sorge quindi alcun nuovo rapporto obbligatorio, ma si verifica
soltanto il mutamento del soggetto attivo del precedente negozio, nel senso che il cessionario
subentra nella medesima posizione del cedente. Il titolo ed il contenuto della posizione debitoria
rimangono inalterate, il debitore diviene semplicemente obbligato nei confronti del cessionario
invece che del cedente, suo creditore originale.
Ai fini IVA, le operazioni di cessione di crediti pro-soluto o pro-solvendo sono considerate esenti
IVA ex art.3 comma 2 n.3 (che va correlato all’art.10 n.1) del D.P.R.633/1972. Si tratta infatti di
prestazioni di servizi aventi ad oggetto prestito di denaro a titolo oneroso, che comprende, oltre lo
sconto di crediti e titoli di credito, tutte le operazioni aventi causa di finanziamento, incluse quelle
attuate con cessione di credito.
Le operazioni di cessione di credito pro-soluto non aventi causa di finanziamento ma effettuate in
conto pagamento di preesistenti obbligazioni, sono invece fuori campo IVA ex art.2 D.P.R.
633/1972.
Con riferimento al regime dell’IVA per cassa, disciplinata dall’art.32-bis del D.L. 83/2012, la
cessione del credito non realizza il presupposto dell’esigibilità dell’imposta, come chiarito dalla
circolare 1/E/2013. Questo significa che l’incasso del prezzo di cessione del credito non è in
alcun modo assimilabile al pagamento del corrispettivo delle operazioni originarie. Il cedente,
quindi, dovrà versare l’imposta relativa alle fatture che hanno generato crediti ceduti, solamente
nel momento in cui il debitore pagherà effettivamente il corrispettivo al cessionario e non quando
percepisce il corrispettivo della cessione del credito. Il cessionario, di conseguenza, dovrebbe
aggiornare puntualmente il cedente dell’avvenuto incasso del credito ceduto, poiché è solo in
questo momento che l’IVA relativa all’operazione diventa esigibile e deve essere versata. Nulla
vieta che però, prudenzialmente, il cedente possa versare l’IVA relativa all’operazione originaria,
direttamente nella liquidazione del periodo in cui è avvenuta la cessione medesima.
Per quanto gli aspetti contabili, bisogna fare un distinguo:
1) se la cessione è pro-soluto (e quindi il rischio di insolvenza viene trasferito al cessionario
insieme al credito), i crediti andranno eliminati dal bilancio. La differenza tra il valore ricevuto e il
valore cui erano iscritti in bilancio rappresenterà l’utile o la perdita conseguita dalla cessione.
Quindi, a seconda dei casi, le scritture contabili potranno essere le seguenti:
a) conseguimento di una perdita (prezzo di cessione inferiore al valore di iscrizione in bilancio)
Esempio: ho un credito di 100 e lo cedo contro un corrispettivo di 80; la perdita, pertanto,
ammonta a 20.
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Naturalmente, in presenza di un precostituito fondo svalutazione crediti, si dovrà in primo luogo
utilizzare detto fondo per la copertura delle perdite.
b) conseguimento di un utile (prezzo di cessione superiore al valore netto contabile del credito,
cioè alla differenza tra il valore nominale del credito e il relativo fondo svalutazione).
Esempio: ho un credito di 100 e lo cedo ad 80; per il credito è acceso un fondo svalutazione
crediti di 50; il valore netto contabile del credito ammonta quindi a 50 (100-50); realizzo una
sopravvenienza attiva di 30 (80-50).
2) se la cessione è pro-solvendo (e quindi il rischio di insolvenza rimane in capo al cedente) i
crediti non andranno eliminati dal bilancio, ma andranno sostituiti con l’ammontare
dell’anticipazione ricevuta e col credito nei confronti del cessionario per la differenza tra il valore
nominale del credito ceduto e l’anticipazione ricevuta (che sarà restituita dal cessionario al
momento dell’incasso dal debitore ceduto). Sarebbe opportuno anche iscrivere un eventuale
fondo rischi nel passivo dello stato patrimoniale. Nei conti d’ordine, infine, dovrà essere
evidenziato il rischio di pregresso da parte del cessionario, fornendo, ove necessario, ulteriori
informazioni in nota integrativa.
Anche sotto il profilo fiscale il trattamento è diverso a seconda del tipo di cessione di credito.
Abbiamo visto che generalmente la cessione avviene ad un prezzo inferiore al valore contabile
del credito, e che questo determina una perdita in capo al cedente, data dalla differenza tra
prezzo e valore contabile del credito.
In caso di cessione pro-solvendo, tale perdita non è deducibile, in quanto mancano i presupposti
di certezza e definitività previsti dall’art.101 comma 5 del TUIR. Il cedente potrà dedurre la perdita
su crediti solo nel momento in cui si verificano gli elementi certi e precisi derivanti dall’insolvenza
del debitore.
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Per le cessioni pro-soluto, ricordiamo, il rischio di insolvenza passa in capo al cessionario, per cui
si può ritenere che la perdita in capo al cedente sia certa e definitiva: ciò nonostante l’Agenzia
delle Entrate, con circolare 26/E/2013, condiziona la deducibilità della perdita alla circostanza che
la cessione sia effettuata ad una banca o altro intermediario finanziario abilitato, residente in Italia
o in paesi white list (che consentono cioè lo scambio di informazioni) e che siano “terzi” rispetto a
creditore e debitore. In queste ipotesi, infatti, la valutazione del credito eseguita dall’istituto
finanziario acquirente riflette con attendibilità l’ammontare effettivamente esigibile. La perdita da
cessione di crediti, inoltre, rileva se di importo inferiore alle spese che si sarebbero sostenute per
il recupero.
Rimane aperta però la questione relativa all’ipotesi di cessione a soggetti non finanziari, per la
quale sembra confermata l’interpretazione restrittiva.
Patrizia Tomietto – Centro Studi CGN
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