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Catene Miofasciali- Ginocchio patologia legamentosa - Spine

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Catene Miofasciali- Ginocchio patologia legamentosa - Spine
132
S. COLONNA
3.4 Patologia legamentosa
La patologia legamentosa del ginocchio è strettamente collegata ai traumi, come accade del resto
nella maggior parte delle articolazioni del nostro
corpo. I traumi possono indurre delle sollecitazioni
nei diversi piani dello spazio andando a interessare
le strutture specifiche di contenzione (fig. 205). I
traumi possibili nel ginocchio sono stati da Hayes
et al. (2000) schematizzati in 10 modelli: 1) iperestensione pura; 2) iperestensione-valgo; 3) iperestensione-varo; 4) valgo puro; 5) varo puro; 6)
flessione-valgo extrarotazione; 7) flessione-valgo
intrarotazione; 8) flessione con traslazione tibiale
posteriore; 9) lussazione rotulea (flessione-valgo
intrarotazione femorale su tibia fissa); 10) trauma
diretto.
In tabella 5 è stata riportata la struttura legamentosa
primariamente e secondariamente sovraccaricata nei
traumi lesionali del ginocchio (Hayes et al. 2000).
Per i ricercatori la patologia legamentosa, soprattutto a
carico del legamento crociato anteriore (LCA), negli ultimi 30 anni ha visto fiorire un notevole interesse. Dimostrazione ne è l’immensa bibliografia a riguardo.
Per trattare in modo esaustivo l’argomento sarebbe necessario dedicare un testo intero, come abbiamo fatto alcuni anni or sono (Colonna 1997), ma non è questo l’obiettivo
di questo volume. Cercheremo, invece, di dare una base
informativa sulla dinamica con cui avvengono i traumi
lesionali del LCA e del LCM, e come è possibile, utilizzando le recentissime acquisizioni in materia, prevenire
il trauma distorsivo e conseguentemente la lesione.
Fare prevenzione dei traumi distorsivi porterà a ridurre
anche le lesioni dei legamenti collaterali e dei menischi.
Non tratteremo le lesioni del LCP perché riteniamo che
siano specifiche di traumi determinati da cause esterne,
quindi casuali, di conseguenza, in questi casi, non soggetti a prevenzione.
Tab. 5 • Strutture legamentose di contenzione del ginocchio soggette a lesione nei diversi movimenti che si possono realizzare
nei traumi distorsivi (da Hayes et al. 2000).
3.4.1 Legamento Collaterale Mediale
(LCM)
Il LCM è uno dei legamenti del ginocchio maggiormente interessati dalle lesioni traumatiche (Fetto e Marshall 1978;
Peterson et al. 2000). La popolarità di sport, che richiedono carichi in valgo del ginocchio, quali hockey su ghiaccio,
sci, calcio, ha contribuito alla notevole frequenza delle
lesioni del LCM (Lorentzon et al. 1988; Warme et al. 1995).
La maggior parte dei pazienti che subiscono la lesione
del LCM possono riprendere lo stesso livello di attività
sportiva precedente al trauma con la terapia conservativa (Indelicato et al. 1990; Pforringer et al. 1993; Petermann et al. 1993; Reider
et al. 1994). Solo i casi più gravi, specialmente quelli che
coinvolgono più legamenti, possono richiedere un trattamento chirurgico in fase acuta.
Fig. 205a • Suddivisione delle strutture capsulo-legamentose del
ginocchio suddivise in base alla collocazione spaziale.
Fig. 205b • Suddivisione dei movimenti patologici del ginocchio
in base alla direzione delle forze esterne causali.
primaria
secondaria
Traslazione tibiale anteriore
LCA
LCM, LCL
Traslazione tibiale posteriore
LCP
nessuna
Varo
LCL
LCA, LCP
Valgo
LCM
LCA, LCP
Rotazione tibiale interna
LCL
LCA, capsula
Rotazione tibiale laterale
LCM
LCP, capsula
Iperestensione
LCP
LCA, capsula
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
La ricostruzione chirurgica è indicata, inoltre, nei casi di
lassità cronica isolata e sintomatica del LCM.
L’anatomia della parte mediale del ginocchio è complessa. Come già esposto nella descrizione anatomica è
composta da tre strati ed entrano a fare parte componenti multipli che connettono la capsula articolare, le unità
muscolo-tendinee e il menisco mediale. Nell’insieme
queste strutture connettivali costituiscono una manicotto
fibroso che si espande dalla porzione mediale del meccanismo estensore del ginocchio alla porzione posteriore, adiacente al LCP.
Negli studi di dissezione sui cadaveri è stato evidenziato
che il LCM limita il movimento in valgo ed extrarotazione forzati del ginocchio.
Gli stabilizzatori dinamici della parte mediale del ginocchio sono il complesso del semimembranoso, il quadricipite e la zampa d’oca.
Il semimembranoso ha un ruolo importante nella stabilità in dinamica della porzione mediale del ginocchio.
La sua azione si evidenzia mediante un’azione diretta
sull’apertura della rima mediale, mettendo in tensione il legamento posteriore obliquo e trazionando posteriormente il corno posteriore del menisco mediale
per prevenire un conflitto durante la flessione (Sims e Jacobson 2004). Il quadricipite e i muscoli della zampa d’oca
hanno dimostrato un incremento potenziale della rigidità (stifness) del complesso legamentoso mediale del
ginocchio rispettivamente del 164% e del 108%. Comunque ricordiamo che è stato provato che il tempo di
reazione di questi muscoli è troppo lungo per proteggere efficacemente il legamento nei traumi distorsivi da
sport (Pope et al. 1979).
Nei reperti anatomici studiati, il LCM superficiale
provvede al 57% della resistenza del momento di forza
in valgo a 5° di flessione del ginocchio; tale valore si
innalza al 78% con la flessione a 25°, per la riduzione
del contributo apportato dalla capsula posteriore (Grood
et al. 1981).
È stato dimostrato che la resistenza finale del LCM ai
carichi di rottura è approssimativamente uguale a quella
del LCA (Kennedy et al. 1976).
Quando sono state testate le singole componenti del
LCM, il massimo carico raggiunto è stato di 534N per
la componente superficiale, 194N per la componente
profonda e 425N per il legamento posteriore obliquo.
Il cedimento delle tre strutture, avviene rispettivamente ad una elongazione media di 10.2 mm, 7.1 mm e 12
mm (Robinson et al. 2005).
La localizzazione della massima tensione del complesso del LCM, nei cadaveri studiati, è stata riscontrata a
livello dell’inserzione femorale quando l’articolazione
è vicina all’estensione. Questo è in linea con l’evidenza
clinica della più frequente localizzazione delle lesioni
del LCM a livello dell’inserzione femorale (Ellsasser et
133
al. 1974; Gardiner et al. 2001; Gardiner e Weiss 2003).
Per O’Donoghue
(1991) e Sims (2004) l’inserzione femorale è la localizzazione più frequente delle lesioni dello strato profondo
del LCM, mentre l’inserzione tibiale lo diventa per lo
strato più superficiale.
Il LCM, a differenza del LCA, ha dimostrato eccellenti capacità di cicatrizzazione (Anderson et al. 1992; Indelicato
1995; Woo et al. 2000), anche se le proprietà biomeccaniche
e biochimiche del legamento guarito non riprendono
completamente, lasciando, pur se limitati, dei deficit di
tenuta (Anderson et al. 1992).
È stato dimostrato che l’immobilizzazione, dopo una lesione, ha degli effetti deleteri sulla cicatrizzazione del
LCM lesionato, determinando: disorganizzazione delle
fibre collagene; riduzione delle proprietà meccanica del
complesso osso-legamento; riassorbimento dell’osso a
livello dell’inserzione legamentosa (Woo et al. 1990). È stato
dimostrato, inoltre, che il movimento controllato ha un
effetto positivo sulla cicatrizzazione del LCM (Tipton et al.
1970; Woo et al. 1990; Reider et al. 1994). Per tale motivo un precoce
movimento eseguito con attenzione è stato inserito nei
programmi di trattamento conservativo del LCM (Indelicato et al. 1990; Reider et al. 1994).
Il valgo stress è il principale meccanismo lesionale, anche se, per la posizione del ginocchio e i vettori di forza, il risultato finale del trauma è una combinazione di
flessione-valgo-extrarotazione (Hayes et al. 2000).
Il trauma lesionale più frequente del LCM è dovuto ad
una forza esterna che si scarica sulla parte laterale del
ginocchio, anche se distorsioni in valgo-extrarotazione
senza contatto sono frequenti in diversi sport (Pressman et
al. 2004).
3.4.1.1 Valutazione clinica
Per effettuare la diagnosi di lesione del LCM i dati
importanti sono, oltre al meccanismo lesionale, la
localizzazione del dolore, la capacità di deambulare
dopo il trauma, l’inizio del versamento, la presenza
di deformità e dolorabilità immediate alla palpazione
(Indelicato e Linton 2003).
Un versamento acuto che s’instaura nell’arco di un
paio di ore è indice di un emartro (fig. 206), mentre il
versamento che si manifesta dopo 12-24 ore dal trauma normalmente indica un versamento sinoviale.
Fig. 206 • Emartro
del ginocchio dopo
trauma distorsivo.
134
Il 76% dei pazienti con una lesione completa del LCM
riescono a deambulare senza supporto e il dolore sembra essere maggiore nelle lesioni incomplete rispetto
a quelle complete (Hughston 1976). Il dolore si percepisce,
quando il LCM è in tensione, cioè nei gradi estremi di
estensione e di flessione articolare.
Nella casistica riportata da Hughston, la posizione
dell’edema e il dolore alla digitopressione localizzano in modo accurato la lesione dello strato superficiale del LCM rispettivamente nel 64% e nel 76% dei
casi.
L’esatta localizzazione della lesione dello strato profondo del LCM e del POL è più difficile alla palpazione, anche se un dolore alla digitopressione è sempre indicativo di un interessamento di queste strutture, compreso il tendine del semimembranoso (Sims et al.
2004).
Il miglior momento per valutare la lesione è quello
immediatamente successivo al trauma, quando non è
ancora presente lo spasmo muscolare. Questa opportunità, purtroppo, è limitata solo ai team medici che
seguono sul campo gli atleti durante le partite e gli
allenamenti.
Nei pazienti con un accentuato spasmo muscolare di
difesa sono sufficienti 24 ore di immobilizzazione per
permettere una accettabile valutazione, senza dover
ricorrere all’anestesia (Hughston et al. 1976).
Con il paziente completamente rilassato, il test di stress
in valgo deve essere eseguito, comparativamente con
l’arto controlaterale (considerato sano), con il ginocchio prima flesso a 30° (fig. 207a) e dopo in completa
estensione (fig. 207b) per reclutare funzionalmente le
S. COLONNA
rimanenti strutture posteromediali. Qualsiasi lassità
presente a questo test con il ginocchio in estensione
deve indurre il sospetto della lesione delle strutture di
contenimento secondarie, quali i crociati o la capsula
posteriore (Grood et al. 1981). La lesione del LCA è la lesione legamentosa più frequentemente associata alla
lesione del LCM (Fetto e Marshall 1978).
Il grado di ampiezza dell’apertura della rima articolare mediale in millimetri e la sensazione dell’arresto
finale del movimento, contribuiscono alla valutazione
della severità della instabilità.
La valutazione del cassetto anteriore con il piede in
extrarotazione sembra essere indicativo di una lesione del LCA associata a quella del LCM (Kurimura et al.
2004). Anche la presenza di emartro spesso è indicativa
di una lesione del LCA associata.
Hughston et al. (1976; 1994) hanno standardizzato la
classificazione delle lesioni del LCM in due sistemi
correlati: il sistema di gravità (grado I, II, III) e il sistema di lassità (grado 1 +, 2 +, 3 +). In questo sistema di classificazione combinato, il I grado, comporta
la lesione di alcune fibre con conseguente dolore localizzato, ma non è presente una instabilità. Grado II,
è presente una rottura di più fibre, con una dolore più
diffuso ma nessuna instabilità. Il grado III è una rottura completa del legamento con conseguente instabilità. La lesione di grado III è suddivisa a seconda del
grado di lassità, determinato dalla quantità di apertura
della rima mediale durante il test di valgo stress, con
il ginocchio a 30 gradi di flessione, in tre livelli: 1 +
apertura della rima di circa 3-5 mm; 2 + apertura di
circa 6-10 mm; 3 + oltre i 10 mm.
Fig. 207 • Esecuzione del test in valgo
stress per la valutazione delle strutture
mediali del ginocchio: a) con ginocchio
flesso di 30°; b) con ginocchio esteso.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
La localizzazione della lesione e la presenza o assenza di un arresto finale e altre modifiche sono
state aggiunte nella classificazione AMA (Cox 1979).
Nella classificazione di Fetto e Marshall (1978) il
primo grado rappresenta quelle lesioni senza lassità nel valgo stress, con il ginocchio flesso sia a
0° che a 30°; il secondo grado rappresenta quelle
lesioni con lassità presente solo a 30° di flessione;
il terzo grado la lassità è presente ad entrambi gli
angoli valutati.
Nelle lesioni di terzo grado, di questa classificazioni, sono presenti spesso lesioni associate del LCA.
3.4.1.2 Valutazione strumentale
L’opportunità di radiografie al ginocchio dopo l’infortunio si determina in base alle regole riportate
dal documento Ottawa (Stiell et al. 1995). Se è presente
una indicazione sono consigliate delle proiezioni
antero-posteriore, laterale e la Merchant view. Le
radiografie sotto stress sono utili negli adolescenti
per escludere la possibilità di lesione del piatto epifisario (Zionts 2002).
Numerosi sforzi sono stati fatti per valutare la lassità usando le radiografie con attrezzature per lo
stress, ma questa tecnica non è riuscita a diventare
una pratica comune, probabilmente a causa delle
dimensioni e della complessità di queste apparecchiature (Jacobsen et al. 1976).
Il ruolo della RMN nella valutazione (fig. 208) e
nella valutazione del programma di trattamento
delle lesioni legamentose mediali è attualmente
largamente diffuso.
Fig. 208 • Taglio coronale RMN T2 pesate dove si evidenzia
la lesione del LCM
all’inserzione femorale (freccia rossa) e
l’edema sottocorticale da impatto del
piatto tibiale laterale
(freccia gialla) (da
Hayes et al. 2000 modificato).
Hayes et al. (2000) hanno classificato le lesioni
complesse del ginocchio in dieci tipi basati sul
meccanismo traumatico.
Il riconoscimento di questi modelli può aiutare a
valutare la portata delle lesioni del ginocchio, in
particolare quelle che coinvolgono gli angoli posterolaterale e posteromediale del ginocchio. Uno
studio ha dimostrato che la localizzazione della lesione nello strato superficiale su MRI potrebbe aiutare a prevedere l’esito dopo il trattamento conser-
135
vativo, di lesioni di grado III del MCL combinato
con la lesione del LCA (Nakamura et al. 2003).
3.4.1.3 Trattamento terapeutico
La maggior parte delle lesioni del LCM presentano una
indicazione al trattamento conservativo, eccetto quelle
che manifestano una lassità in valgo con il ginocchio
in estensione.
Il trattamento conservativo prevede un carico precoce
con le stampelle e con una ginocchiera articolata; inoltre, è consigliato iniziare precocemente con esercizi in
isometrica. Le stampelle vengono abbandonate quando il paziente riesce a deambulare senza zoppicare.
I FANS sembrano apportare un beneficio alla guarigione dei tessuti molli, ma i risultati sembrano essere di
scarso valore (Dahners et al. 2004).
Nella nostra pratica clinica consigliamo, per ridurre il
dolore e l’edema, l’utilizzo dei FANS insieme al miorilassante e vasodilatatore somministrati con mesoterapia.
Nella maggior parte dei casi dopo circa una settimana,
escluse le gravi lesioni caratterizzate da forte dolore,
che posticipiano di un’ulteriore settimana, proponiamo
dei trattamenti manuali con lo scopo di indurre la rotazione mediale della tibia, mentre il paziente esegue,
all’interno del ROM concesso dal dolore, la flessoestensione attiva (fig. 209a); è consigliato l’uso di tecniche manuali energetiche (MET) che allunghino gli
extrarotatori di tibia (fig. 210b, c) e tecniche strutturali
che inducano l’intrarotazione tibiale. Proponiamo, inoltre, il rinforzo attivo degli intrarotatori di tibia contro
resistenza manuale offerta dall’operatore (fig. 211).
Il bendaggio funzionale con nastro anelastico (fig.
212) è utilizzato nei casi gravi (II e III grado) nel primo periodo, insieme all’uso del tutore e durante la ripresa dell’attività sportiva senza tutore. Spesso in fase
avanzata, anche se stabilizzata l’articolazione (valgo
test negativo), permane edema e dolore; in questo caso
preferiamo usare il bendaggio elastico tipo Kinesiotaping.
Per ripristinare e migliorare l’attività muscolare degli
intrarotatori, che supportano il LCM, utilizziamo degli elastici (fig. 213) o il dinamometro isocinetico (fig.
214).
Benché la maggior parte delle lesioni del LCM possano essere gestite, ottenendo un buon risultato, con
un trattamento conservativo, del chirurgica deve essere
vagliata in specifiche situazioni, quali: la rottura completa del legamento (parte superficiale e parte profonda); intrappolamento intrarticolare della porzione terminale; distacchi notevoli di componente ossea; frattura del piatto tibiale oppure in presenza di una instabilità
rotatoria nella direzione antero-mediale durante la valutazione clinica (Nakamura et al. 2003; Wilson et al. 2004).
136
a
Fig. 209a • Manipolazione funzionale
per la lesione del LCM: mentre il
paziente esegue una flesso-estensione
per il ROM concesso dal dolore, il
terapeuta induce una intrarotazione tibiale mentre si oppone all’estensione.
a
S. COLONNA
b
c
Fig. 209bc • Allungamento della componente extrarotatoria della BIT con tecniche di contrazione rilassamento (MET): b) con ginocchio esteso; c) con ginocchio flesso.
b
c
Fig. 210 • Tecnica osteopatica per la disfunzione della tibia in extrarotazione: con il paziente in posizione supina e ginocchio e anca
flessa (a), il terapeuta interponendo le dita (indice e medio) dietro il piatto tibiale esterno (b) induce una flessione massimale del ginocchio (c).
Fig. 211 • Rinforzo
dei muscoli intrarotatori utilizzando la resistenza manuale offerta dall’operatore.
Fig. 212 • Bendaggio
funzionale con nastro
anelastico per una lesione del LCM (da
Colonna e Cipolla
1999).
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
Fig. 213 • Potenziamento degli intrarotatori di tibia con resistenza elastica.
3.4.2 L egamento crociato anteriore
LCA
Una lesione legamentosa è sempre dovuta al superamento di una posizione di stabilità per un’eccessiva e
incontrollata energia cinetica che può essere:
- di origine endogena: la potenza del movimento è
tale da superare le capacità di controllo dell’apparato legamentoso e muscolare del ginocchio;
- di origine esogena: trauma diretto sul ginocchio che
contemporaneamente ostacola il sincronismo della
flesso-rotazione.
Il LCA, per la sua particolare disposizione nell’incisura intercondiloidea, per la sua struttura e per il suo
ruolo fisiologico è sottoposto repentinamente a tensioni capaci di romperlo, mentre il LCP è più protetto
in virtù di una resistenza intrinseca maggiore.
L’analisi accurata dei fattori vulneranti, il tipo di
trauma (trauma diretto o movimento forzato), la sua
direzione, la sede di applicazione dell’impatto e la
posizione del ginocchio in quel preciso momento,
danno luogo alla costituzione di svariati meccanismi
lesionali.
Tra questi i più frequenti sono:
- valgo-extrarotazione
- varo-intrarotazione
- iperestensione.
Quando il ginocchio è flesso, può sfuggire all’agente
lesivo assorbendo l’eccesso di energia cinetica modificando l’angolo di flessione o della rotazione o limitando i due movimenti. Se ciò non accade, l’articolazione va incontro alla distorsione.
Il meccanismo della lesione raramente si presenta su
un solo piano dello spazio: sagittale o trasverso. Nella
maggior parte dei casi, il meccanismo è combinato,
137
associando flessione e rotazione ad una forte sollecitazione frontale. In questi casi la lesione del LCA si
integra in un quadro lesionale pluri legamentoso.
Fig. 214 • Potenziamento degli intrarotatori di tibia con dinamometro isocinetico.
Il trauma in valgo-extrarotazione (fig. 215a) è
senz’altro il meccanismo più frequente all’origine di
gravi distorsioni del ginocchio con lesioni legamentose, soprattutto quelle presenti nello sci (Bousquet et al.
1992). La gravità delle lesioni e la loro successione cronologica variano a seconda della forza traumatizzante, del suo punto di applicazione sulla faccia esterna
del ginocchio, del grado di flessione e del grado di
componente di valgo e/o di extrarotazione.
Se il valgo è il movimento predominante, generalmente la lesione del LCA è successiva a quella del
punto d’angolo postero-interno ed alla rottura del fascio profondo e del fascio superficiale del collaterale
mediale. Se l’energia cinetica del trauma non ha esaurito il suo effetto, infine si romperà anche il LCP.
Se, invece, la rotazione esterna è predominante, la
lesione si estende al compartimento esterno e in particolare al popliteo ed alle sue inserzioni peroneali.
Il LCP resta intatto e serve da perno alla rotazione
(Bousquet et al. 1992).
Nel trauma del ginocchio in varo-intrarotazione
(fig. 215b) l’impatto del trauma avviene sulla faccia
interna del ginocchio. Questo meccanismo è sempre
più frequente durante partite di calcio, di basket e di
pallavolo. In questa posizione, gli elementi predisponenti sono multipli ed associati: decelerazione brusca
(per effetto della brusca contrazione quadricipitale),
cambiamento di direzione della corsa sul piede interno, trauma sulla faccia interna del ginocchio. Le
138
lesioni iniziano nel punto d’angolo-postero-esterno
(popliteo) con perdita del controllo del varo e della
rotazione interna. In questo modo si produce un eccesso di avvitamento dei crociati che in presenza di
estensione articolare è causa di una rottura completa del LCA (Markolf et al. 1995; Senter e Hame 2006). Se l’agente
traumatico prosegue la sua azione, possono sopraggiungersi la rottura del bicipite, del LCP ed a volte
anche la lesione dello SPE (Bousquet et al. 1992).
Durante un trauma di questo genere, si ha una progressiva distensione della fascia lata con rottura delle
fibre di Kaplan o distacco dal tubercolo di Gerdy (Bousquet et al. 1992).
In estensione, il ginocchio non ha alcuna possibilità
di sfuggire ai traumi perché è bloccato ed i legamenti
sono molto vulnerabili.
L’iperestensione (fig. 215c) brusca e violenta può
provocare una rottura del LCA. Gli esempi più classici sono il calcio a vuoto dei calciatori ed un’errato
atterraggio dopo un salto nei giocatori di pallavolo
e basket. Il trauma diretto sulla faccia anteriore del
ginocchio in estensione, appare meno frequente.
Durante l’iperestensione, il LCA si rompe essendo
troppo teso sul “cavalletto” rappresentato dall’incisura intercondiloidea (Jagodzinski et al. 2000). In casi di questo
genere, ha un ruolo predisponente il morfotipo del ginocchio in recurvato che aumenta il rischio di rottura
del LCA.
È invalsa l’opinione che questo meccanismo lesionale possa provocare una lesione isolata del LCA. Per
Bousquet et al. (1992), quest’asserzione deve essere rivisitata; infatti, il frequente riscontro, all’esame obiettivo, di un cassetto anteriore in estensione è la prova
di una lesione associata del LCA e delle formazioni
capsulari angolari.
Con ginocchio flesso oltre i 90° e sotto carico, la
S. COLONNA
contrazione brusca del quadricipite può spingere il
femore indietro con conseguente sublussazione anteriore relativa della tibia e lacerazione del LCA. Questo meccanismo, che sembra essere frequente nello
sci, spiega quella che viene definita rottura spontanea
del LCA, che può essere totale o parziale.
L’iperestensione-intrarotazione non è raro, come
meccanismo lesionale del LCA nella pratica sportiva, quale ad esempio il rugby. Il piede è bloccato al
suolo, mentre la caduta in avanti del corpo provoca
un’iperestensione e rotazione interna del ginocchio.
Tale posizione associa entrambi i meccanismi che
rendono vulnerabile il LCA: iperestensione e avvitamento.
Nel bambino l’iperestensione può ledere LCA; a volte il legamento resta intatto ma si ha un distacco osseo della zona dell’inserzione prespinale.
L’eccessiva rotazione interna, mediante l’avvolgimento dei crociati, è capace di indurre una lesione del
LCA che si tende sul “cavalletto” costituito dal LCP.
Questo meccanismo lesionale, che può essere associato a lesioni periferiche esterne, può avvenire per
uno scatto o per un cattivo atterraggio dopo un salto.
L’eccessiva rotazione esterna isolata, solitamente
non è in grado di rompere il LCA. Di frequente riscontro nello sci, è causa di lesioni angolari mediali
e laterali che possono facilmente nascondere una lesione del LCA.
I traumi sagittali puri, sono eccezionali; sono quelli
applicati alla faccia posteriore della tibia e sono causa di una lesione isolata del LCA.
Per valutare come il LCA è stressato dalle forze
esterne, è stata valutata la tensione determinata da
una trazione anteriore sul piano sagittale di 100 Nm,
partendo da una flessione di 90° e arrivando a 5° di
iperestensione. Dopo questa prova isolata sul piano
Fig. 215 • Asse dell’arto inferiore e del ginocchio durante i traumi: a) in valgo extrarotazione; b) varo intrarotazione; c) iper estensione.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
sagittale, è stata sommata una forza di 10Nm in varo
e valgo, in intra ed extrarotazione. La trazione diretta anteriore è la forza che determina il massimo
carico sul legamento; quando il ginocchio è flesso
a 30° è presente una forza uguale a quella applicata sul LCA; con il ginocchio in completa estensione
la tensione sul LCA è del 150% di quella applicata.
Quando il ginocchio è in estensione, inserendo una
forza di 10Nm in intrarotazione, oltre a quella sagittale anteriore, la risultante sul LCA incrementa drasticamente; invece, diminuisce drasticamente quando viene sommata una extrarotazione. Aggiungendo
una forza in varo, aumenta la tensione sul LCA solo
quando il ginocchio è in estensione; aggiungendo
una forza in valgo incrementa la tensione solo quando il ginocchio è in flessione.
La conclusione a cui arrivano gli Autori è: la rotazione interna di tibia, durante i traumi del ginocchio, è
un importante meccanismo di sovraccarico lesionale per le LCA; l’extrarotazione, invece, è meno importante biomeccanicamente anche se più frequente
(Markolf et al. 1995). Alla stessa conclusione arriva un altro
lavoro più recente (Hame et al. 2002) in cui, studiando la
biomeccanica della lesione del LCA durante lo sci,
riporta una maggiore possibilità di lesione quando
alla massima estensione o flessione si somma una
forza in intrarotazione più che in extrarotazione.
Per quanto riguarda la sede della lesione, l’insieme
osso-LCA si comporta come un sistema visco-elastico in cui distensione e rottura dipendono dalla velocità di allungamento a cui il sistema è sottoposto.
La rottura del LCA può avvenire a tre livelli:
- l ’inserzione tibiale è frequente nei soggetti giovani
e comporta un distacco osseo per avulsione. Ciò in
osservanza alla legge di Hulten: nel giovane, il legamento è più resistente dell’osso (Bousquet et al. 1992).
Questa lesione è rara nell’adulto e può sopraggiungere per un trauma in iperflessione;
- l’inserzione femorale con avulsione periostea che si
presenta raramente;
- le rotture intralegamentose sono le più frequenti. Il
legamento si lacera coinvolgendo le sue fibre, con
necrosi secondarie dei monconi a causa dell’interruzione del sistema vascolare. Il segmento prossimale del LCA, vicino all’inserzione femorale, è più
frequentemente soggetto a cedimenti intraparenchimali.
Quando è presente una rottura intraparenchimale
del LCA, essa è intrasinoviale e può dar luogo ad
errori diagnostici: il LCA, accollandosi al LCP, vi
si reinserisce “in nutri­ce”. In questo modo, la buona
vascolarizzazione dà al crociato un aspetto este­riore
quasi normale, ma le sue caratteristiche funzionali
sono ridotte.
139
In qualche caso, infine, la lesione del LCA può essere
limitata ad un solo fascio, mentre la rottura totale è
rimandata ad un trauma successivo. In questo tipo di
lesioni, dette in due tempi, sono riscontrabili emartri
a ripetizione.
Le lesioni del LCA degenerano velocemente: dopo
15 giorni, il legamento viene invaso da un processo di
fibrosi; dopo 20 giorni, il legamento si retrae e viene
sostituito da un moncone che assume l’aspetto a “battocchio di campana” (vedi fig. 26 pag. 10); dopo 45
giorni, inizia un processo di sclerosi e dopo tre mesi il
legamento può essere completamente scomparso. La
velocità di riassorbimento è proporzionale allo stato
della rete vascolare della tenda sinoviale. Se essa è
intatta, come nelle rotture intrasinoviali, il crociato
resta disinserito ma vitale e, pur non essendo suturabile, potrebbe servire come materiale di sostegno ad
una plastica chirurgica.
La lesione del LCA è evolutiva perché il ginocchio
perde il suo centro articolare. Ciò provoca la comparsa di movimenti anomali legati, da un lato allo
spostamento in avanti dei centri di flesso-estensione e
dall’altro allo spostamento indietro dei centri di rotazione (Bousquet et al. 1992).
3.4.2.1 Epidemiologia
Negli Stati Uniti è stato calcolato che per ogni anno
da 80.000 (Griffin et al. 2000) a 100.000 (Miyasaka et al. 1991)
soggetti si rompono il LCA.
Uno studio (Hewett et al. 1999) effettuato sulle partecipanti
ai college americani riporta che circa 10.000 atlete
per anno vanno incontro ad un trauma del ginocchio e
di queste più di 2.200 presenta la lesione del LCA.
I 4/5 dei traumi che comportano tali lesioni non sono
da contatto e la maggior parte avvengono durante la
fase di atterraggio successivo ad un salto (Noyes et al.
1983).
Gli sport più a rischio di lesione del LCA sono lo sci,
il football americano, la pallavolo e il basket. In tabella 6 sono riportati i dati riguardanti l’incidenza di
lesioni del LCA nei soggetti non sportivi e in quelli
praticanti attività sportiva.
Nello sciatore, dal 1970 1e fratture tibiali e le distorsioni di caviglia si sono ridotte del 90%; mentre le
distorsioni di ginocchio con interessamento dei legamenti sono triplicate (Johnson et al. 1993; Johnson 1995). Le distorsioni gravi del ginocchio sono passate dal 3% del
1972 al 29% del 1994 (Warme et al. 1995).
Le caratteristiche del meccanismo traumatico dello
sci riscontrate, analizzando un campione di 51 soggetti con lesione del LCA, sono state: il 47% (24 casi)
in valgo­extrarotazione (fig. 216), il 41% (21 casi) in
flessione-intrarotazione (fig. 217), in 2 casi in iperestensione-intrarotazione e in 4 non era chiaro il mec-
140
S. COLONNA
Attività
anno
Frequenza
Popolazione comune
Miyasaka et al. (1991)
Nielsen e Yde (1991)
1991
1991
40 per 100.000 persone per anno
30 per 100.000 persone per anno
Football Americano
Hewson et al. (1986)
1986
60 per 100.000 giocatori per giorno
Sci
Feagin et al. (1987)
Johnson et al. (1993)
Warme et al. (1994)
1987
1991
1993
70 per 100.000 sciatori per giorno
50 per 100.000 sciatori per giorno
85 per 100.000 sciatori per giorno
Calcio
Arendt et al. (1995)
1995
13 per 100.000 atleti esposti
31 per 100.000 atlete esposte
Calcetto (indoor soccer)
Lindenfeld et al. (1994)
1994
0,87 per 100 ore di gioco (femmine)
0,29 per 100 ore di gioco (maschi)
Pallacanestro
Arendt et al. (1995)
1995
  7 per 100.000 atleti esposti
29 per 100.000 atlete esposte
Tab. 6 • Incidenza delle lesioni del LCA in differenti popolazioni di sportivi riportate in letteratura.
canismo traumatico (Ettlinger et al. 1995). I traumi da sci
rispetto ai traumi degli sport di contatto producono,
associata alla lesione del LCA, una maggiore lesione del LCM e minore rottura delle strutture meniscali
(Jàrvinen et al. 1994). A quest’ultima conclusione arrivano
anche altri lavori (Barber 1994; Paletta et al. 1992) che hanno
analizzato il tipo di lesione in base al meccanismo
traumatico dello sport specifico.
Nello snowbord la percentuale di distorsioni al ginocchio si riducono intorno al 14-19% (Abu-Laban 1991; Ganong
et al. 1992; Warme et al. 1995).
La pallavolo è inserita tra gli sport più a rischio di
trauma distorsivo a livello del ginocchio. Nel decennio 1979-1989 Ferretti et al. (1995) riportano su 1041
casi di lesione del LCA trattati, 52 pallavolisti; di
questi 52 in 32 casi il trauma si è verificato in partita,
i restanti 20 in allenamento. La fase di gioco più a
rischio è la schiacciata (38 casi) seguito dal muro (10
casi) e dalla difesa (4 casi).
La maggior parte dei lavori pubblicati in letteratura
concordano sul fatto che le donne sono più a rischio,
alcuni riportano fino a 6 (Lindenfeld et al. 1994) o 10 volte
(Whiteside 1980), rispetto ai maschi, di lesioni legamentose a carico del ginocchio e questo dato riguarda la
maggior parte degli sport.
Fig. 216 • Schema dei traumi da sci in valgo-extrarotazione.
Fig. 217 • Schema dei traumi da sci in flessione-intrarotazione.
3.4.2.2 Valutazione clinica
I parametri che vengono presi in considerazione per
la valutazione della lesione del LCA sono indici di
una condizione specifica dell’articolazione del gi-
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
nocchio, quindi sono utilizzabili sia per appurare
la gravità di una distorsione del ginocchio sia per
verificare gli esiti di un trattamento conservativo o
chirurgico.
I parametri sono classificabili in due gruppi: 1) valutazione strutturale; 2) valutazione funzionale.
Nella valutazione strutturale si ricercano quei segni
diretti o indiretti della lesione della struttura legamentosa. Nella valutazione funzionale si ricercano
quei segni diretti o indiretti dell’alterata funzione
legamentosa. La conseguenza di una lesione della
struttura è la lassità legamentosa. Di solito la conseguenza di una alterata funzione legamentosa è l’instabilità. Pur trovandosi spesso accoppiate, una non
è sinonimo dell’altra. Si può riscontrare una lassità
congenita o acquisita in modo traumatico senza instabilità.
La lassità è espressione della lesione anatomica
capsulo-legamentosa a prescindere dal controllo
muscolare.
L’instabilità è espressione della lesione legamentosa
accoppiata ad una insufficienza dell’intervento stabilizzatore muscolare.
La valutazione strutturale si basa sui dati soggettivi
dell’operatore (esame obiet­tivo) o sugli esami strumentali.
I dati rilevabili dall’operatore sono indirizzati a valutare la lassità del ginocchio, quindi il Lachman test
e il segno del cassetto anteriore in condizione neutra
sono indici di una lassità antero-posteriore; il jerk
test o segno del ressaut e il pivot shift sono indici di
una lassità rotatoria.
3.4.2.2.1 Cassetto anteriore (anterior
drawer test)
Il paziente è in posizione supina confortevole, ginocchio flesso di circa 90° e piede appoggiato al piano del lettino. L’esaminatore, posizionato di fronte
al ginocchio, dopo aver afferrato posteriormente e il
più prossimalmente possibile la tibia con entrambe
le mani e aver opportunamente ridotto i tessuti molli, traziona dolcemente in avanti l’epifisi tibiale (fig.
218a).
Il test risulta positivo se l’esaminatore vede o percepisce con le mani una traslazione anteriore maggiore
nel ginocchio traumatizzato rispetto a quello sano
(Hoppenfeld 1976). È sconsigliato sedersi sul piede del ginocchio da valutare (Larson 1983) perché il blocco del
piede può limitare 1’intrarotazione della tibia che a
sua volta limita la traslazione anteriore del piatto tibiale (Fukubayashi et al. 1982).
È buona norma testare prima il ginocchio sano e
dopo quello malato, ciò favorirà il rilassamento del
soggetto.
141
Il cassetto anteriore può essere graduato in base alla
valutazione soggettiva dell’esaminatore della quantità di traslazione anteriore in millimetri: primo grado da 1 a 5 mm; secondo grado da 5 a 10 mm; terzo
grado superiore a 10 mm (Larson 1983). Il cassetto anteriore può essere eseguito con la tibia in condizione neutra, in extra ed intrarotazione, ciò permette di
valutare contemporaneamente le strutture capsulari
periferiche (Hughston et al. 1976) e ridurre gli errori di valutazione dovuti ad un blocco dell’intrarotazione.
Per Bousquet (1992) più il test del cassetto in posizione neutra è positivo e più esprime una lesione
combinata del LCA e delle formazioni angolari periferiche; se, invece, la rottura del LCA è poco evoluta o isolata, è di modesta ampiezza e scarsamente
significativo. Talvolta può essere anche assente nel
“ginocchio serrato”.
La sollecitazione in extrarotazione durante il cassetto anteriore è applicata sul compartimento interno.
Una eccessiva traslazione anteriore-rotatoria esterna
del compartimento mediale testimonia una lesione
associata LCA, LCM e PAPI.
Il cassetto anteriore in intrarotazione positivo, testimonia una lesione grave del compartimento esterno
(LCA, LCL e PAPE).
Il test del cassetto anteriore, usato per molti anni
come elemento diagnostico base per la valutazione
della lesione del LCA (Hoppenfeld 1976), ha perso di importanza dopo il lavoro di Torg et al. del 1976. In
questo lavoro è stata sottolineata la scarsa affidabilità del test sia per i falsi negativi dovuti: 1) alla tensione provocata dall’emartro, frequentemente presente nelle lesioni acute, che inibisce la flessione del
ginocchio a 90°; 2) dalla contrattura di difesa degli
ischiocrurali che con il ginocchio a 90° risultano influenzare maggiormente la traslazione anteriore della tibia (Iversen et al. 1989) (fig. 218b); 3) dall’incunearsi
del corno posteriore del menisco laterale tra piatto e
condilo (fig. 218c).
Ci possono essere anche dei falsi positivi (Frank 1986)
dovuti alla lesione del crociato posteriore, ciò è possibile se si prende come punto di riferimento la posizione posteriorizzata della tibia e non la reale posizione neutra; l’esaminatore in questo caso ricaverà
una falsa impressione di abnorme escursione anteriore dovuta alla riduzione della sub-lussazione posteriore. L’affidabilità del test, bassa nelle lesione acute,
aumenta nelle lesioni croniche (Galway et al. 1972; Katz et al.
1986). È consigliabile, comunque, nel diagnosticare
una lesione legamentosa del ginocchio, utilizzare il
test del cassetto insieme ad altri test. Una maggiore
positività con il piede in extrarotazione, rispetto alla
posizione neutra, sembra essere indice di una lesione
del LCA e del LCM (Kurimura et al. 2004).
142
S. COLONNA
Fig. 218 • a) esecuzione del cassetto anteriore; b) schema dei falsi negativi per trazione degli ischiocrurali; c) schema dei falsi negativi
per l’incunearsi del corno posteriore del menisco laterale tra la glena tibiale e il condilo femorale.
3.4.2.2.2 Lachman test
Con il paziente disteso in posizione supina con le gambe il più possibile rilassate, l’esaminatore si posiziona
dal lato del ginocchio leso e con una mano stabilizza
la porzione distale del femore e con l’altra traziona
in avanti la porzione prossimale della tibia (fig. 219).
La trazione deve essere realizzata con il ginocchio
flesso di circa 15°-20°. A volte, nella nostra esperienza, alcuni casi manifestano una maggiore traslazione
anteriore ad angoli leggermente superiori (25°-30°),
per tale motivo consigliamo di effettuare la manovra
a diversi angoli.
Fig. 219 • Esecuzione del Lachman test.
Il test è positivo se si vede o si percepisce con le mani
una maggiore traslazione del ginocchio traumatizzato
rispetto al controlaterale. Un ulteriore dato, indicativo
della lesione del LCA, è il fine corsa della traslazione:
normalmente un fine corsa rigido (firm), con la sensazione sonora dell’arresto talvolta presente, è indice
di un crociato funzionalmente sano. La presenza di un
arresto soffice (soft), invece, è indice di una lesione; in
questo caso l’arresto è dovuto agli stabilizzatori secondari. Questa differenziazione del Lachman test entra
per la prima volta in una scheda valutativa nel lavoro
di Marshall del 1977.
A volte nelle ricostruzioni del LCA permane un abnorme displacement anteriore rispetto ad un arto sano, dovuto a posizionamento o tensionamento del trapianto
non completamente corretto. In questi casi è importante
ricercare il fine corsa (endpoint) per valutare correttamente la lassità articolare (scheda IKCD) suddividendo un arresto brusco (firm endpoint) oppure morbido
(soft endpoint). Un Lachman test può essere graduato
con la stessa scala del cassetto anteriore, oppure come
ha proposto Yasuda et al. (1989) in tre gradi: negativo
(-), dubbio (-/+), positivo (+).
Il Lachman test è considerato il più sensibile e specifico test per la valutazione del LCA (Torg 1976; Jonsson
et al. 1982; Larson 1983; Kim e Kim 1995). Il Lachman rispetto al
cassetto anteriore è più attendibile e presenta meno
falsi negativi, ciò è dovuto alla minore trazione degli
ischiocrurali e al minor impegno dei menischi. I falsi
negativi, in questo test, possono essere determinati da
un manico di secchio del menisco mediale (Kong et al. 1995)
che arresta la traslazione del condilo, oppure dall’attecchimento dell’estremo femorale del LCA al crociato
posteriore (crociato in nutrice) (Kim e Kim 1995). Anche nel
caso del crociato in nutrice la sensibilità del Lachman
test (89,5%) risulta esser superiore sia al cassetto anteriore (68,4%) sia al pivot-shift (63,2%) (Kim e Kim 1995).
La maggiore attendibilità del Lachman, rispetto al
cassetto, è stata valutata in vivo con utilizzo di particolari rilevatori di tensione introdotti sul LCA previa artroscopia (Rosemberg e Rasmusssen 1984). Con una forza
anteriore di 150N la tensione che si scarica sul LCA
è maggiore con il ginocchio flesso di 30° (Lachman
test) rispetto a quella con ginocchio flesso di 90° (cassetto anteriore).
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
Uno dei principali errori, che gli operatori poco esperti
commettono, nell’eseguire queste manovre (cassetto
e Lachman) è la forza utilizzata. Bisogna sempre tenere in mente che: 1) il soggetto ha subito un trauma,
“fisiologicamente” tende a sviluppare delle contrazioni di difesa, tali contrazioni possono essere notevolmente esasperate se si sente aggredito; 2) le mani se
sono impegnate a sviluppare forza perdono in termini
di sensibilità e quindi capacità di percezione.
Bisogna usare le mani allo stesso tempo in modo deciso ma non aggressivo. L’unico svantaggio del Lachman test rispetto al cassetto è la necessità di avere la
grandezza delle mani proporzionata alle dimensioni
della gamba del paziente. In alcuni atleti di discipline
che presentano dimensioni al di sopra della norma,
può risultare difficile, anche alle mani più capaci, afferrare saldamente la terminazione femorale; in questi casi è consigliato adottare alcune varianti.
Alcuni Autori (Weiss et al. 1990; Wroble et al. 1993) per ovviare
alla difficoltà di stabilizzare il femore, propongono di
utilizzare il ginocchio dell’esaminatore come in figura
220; oppure di utilizzare l’avambraccio per trazionare
la tibia (King 1982) o in alternativa di utilizzare le gambe
per sostenere l’arto da valutare fuori dal lettino (drop
leg Lachman) (Adler 1995) (fig. 221).
Per Feagin e Cooke (1989) la posizione prona tende ad
ovviare a problemi legati alla dimensione del paziente e risulta essere più sensibile per la minore trazione
esercitata dagli ischiocrurali, essendo l’anca estesa,
e per la necessità di una minore spinta inferiore, essendo la tibia traslata in anteriorità dall’effetto gravitazionale (fig. 222). L’aspetto negativo di questa
variante è la difficoltà di valutare visivamente la traslazione anteriore, quindi, bisogna affidarsi solo alla
sensibilità delle mani.
Fig. 220 • Variante del test di Lachman
con utilizzo del ginocchio dell’operatore
per sostenere il ginocchio del paziente.
143
Henning et al. (1985), a proposito della forza di trazione durante il Lachman test, valutando con degli strain
gauge in vivo il tensionamento del LCA durante la trazione anteriore, confermano la maggiore validità del
Lachman test rispetto al test del cassetto e consigliano
di utilizzare delle forze tra le 60-801b per superare le
resistenze delle strutture molli secondarie.
Un altro handicap di entrambi i test sovraesposti è legato alla necessità di avere un arto sano con cui effettuare il confronto e nel caso di lesione bilaterale si
riduce l’affidabilità di queste valutazioni, per cui sono
necessari altri test.
3.4.2.2.3 Pivot-shift test
Se i test precedentemente esposti analizzano la funzione del LCA sul piano sagittale, i test in rotazione
analizzano il LCA soprattutto sul piano assiale con i
movimenti di rotazione.
Si deve a Galway e Macintosh (1972; 1980) aver evidenziato per primi ed in seguito aver valutato, il fenomeno
del pivot-shift nelle lesioni del LCA. Essi descrissero
questo fenomeno per la brusca riduzione della sublussazione anteriore del piatto tibiale esterno quando
il ginocchio viene flesso progressivamente, partendo
dalla completa estensione.
L’esaminatore, con il paziente supino, solleva l’arto da
testare con la mano che impugna la caviglia, dall’estensione flette il ginocchio cercando contemporaneamente
l’intrarotazione della tibia e il valgo (fig. 223). Quando
il ginocchio viene sollevato, per la forza di gravità, il
femore si porterà posteriormente, l’assenza del LCA
farà sub-lussare il piatto tibiale laterale relativamente
in avanti ed in intrarotazione rispetto al condilo femorale omolaterale. Da questa posizione il ginocchio
viene lentamente flesso, quando si raggiungono i 30°-
Fig. 221 • Variante del test di Lachman
con gamba del paziente sostenuta fuori
dal lettino dalle ginocchia dell’operatore.
Fig. 222 • Variante del test di Lachman
con paziente in posizione prona.
144
S. COLONNA
Fig. 223 • Test del test pivot shift per valutare le lassità in rotazione: a) posizione
di partenza; b) posizione di arrivo in flessione e intrarotazione di tibia.
45° di flessione si assiste ad una brusca riduzione per
il passaggio della fascia lata sul condilo femorale. La
fascia lata con il ginocchio esteso agisce come abduttore, con il ginocchio flesso la sua azione è di extrarotatore; il cambiamento tra queste due funzioni avviene
con lo scavalcamento del condilo laterale (Muller 1986).
Passando da abduttore ad extrarotatore la fascia lata riduce la sub-lussazione tibiale; tale riduzione, oltre che
essere visibile, a volte può essere percepita sia come
un cedimento a livello delle mani sia come un “clunk”
sonoro.
È stato dimostrato che il pivot-shift è specifico della rottura isolata del LCA (Reuben 1989). Il pivot-shift è di difficile esecuzione nei casi in cui ci sia la lesione associata
del legamento collaterale mediale. A volte può risultare
un falso negativo, nel caso in cui sia presente un allungamento della fascia lata in seguito ad un trauma o ad
intervento chirurgico (Losee 1978), oppure in caso di lesione meniscale a manico di secchio (Kong 1994).
Katz e Fingeroth (1986) considerano il pivot-shift come
il test manuale più specifico e sensibile, raggiungendo
in fase acuta la sensibilità del 88,8% e in fase cronica
(più di due settimane) 84,6%, mentre la specificità in
entrambe le situazioni è maggiore del 95%.
Il test del pivot-shift può essere valutato: in due gradienti (positivo o negativo) oppure come proposto da
Jakob et al. (1987) in tre gradienti, in base alla rotazione tibiale (neutra, intra ed extrarotazione) o ancora in
quattro come proposto da Noyes (1980) ed adottato nella
scheda di valutazione IKCD, in base alla facilità dello scivolamento (1-, 1+, 2+, 3+; negative, glide, clunk,
gross).
È stata riscontrata una stretta correlazione tra la posizione dell’anca e la rotazione della tibia nella gradazione del pivot-shift test: l’abduzione dell’anca produce il
più alto grado di scivolamento, seguito dalla posizione
neutra e dall’adduzione; l’extrarotazione incrementa la
significatività del test sia con l’anca abdotta che addotta (Bach et al. 1988; Petermann et al. 1996).
3.4.2.2.4 Jerk test
Il jerk test è stato descritto per la prima volta da Hughston et al. nel 1976. Questo test rappresenta il pivotshift rovesciato (reversed pivot-shift).
Si esegue con il paziente e l’esaminatore nella stessa posizione del test precedente, i due test si differenziano per la posizione di partenza del ginocchio
che in questo test è la flessione di 90° e lentamente
si estende (fig. 224). Al momento del passaggio della
bendelleta ileotibiale sul condilo (30°) si assiste alla
sub-lussazione anteriore del piatto tibiale esterno.
Tale abnorme movimento si accompagna spesso a
fenomeni visibili e a volte anche sonori, ma risulta
essere determinante la sensazione manuale di cedimento e di lussazione.
Sia per il pivot-shift che per il jerk test è essenziale
un buon rilassamento del soggetto e ciò non è sempre
possibile, visto che la manovra richiama il movimento traumatico lesivo. Donaldson et al. (1985) hanno riportato, in un’analisi di 101 soggetti con lesione del
LCA valutati con il jerk test, una positività del 98%
quando il soggetto veniva esaminato sotto anestesia
contro il 35% con il paziente sveglio.
Altri test, quali flexion-rotation drawer test (Noyes et al.
1980) Slocum test (Slocum 1976) e Losee test (Losee et al. 1978),
si basano sullo stesso principio dei due precedenti e
differiscono solamente per piccoli particolari tecnici.
Alcune valutazioni osteopatiche utilizzano il movimento di intra/extrarotazione con ginocchio flesso a
90° per valutare la lesione del LCA (Audouar 1989). Bisogna stare molto attenti ed avere una sensibilità manuale notevole per utilizzare isolatamente questo test,
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
145
Fig. 224 • Jerk test per valutare le lassità
in rotazione: a) posizione di partenza; b)
posizione di arrivo in estensione e intrarotazione di tibia.
soprattutto perché alcuni lavori (Lane et al. 1994; Markoff et al.
hanno dimostrato che la lesione del
LCA non comporta delle grosse modifiche in termini
di rotazione tibiale, quindi la stabilità rotazionale è
principalmente a carico dell’apparato capsulo-legamentoso periferico e non del pivot-centrale. Un lavoro
(Terry 1986) sull’argomento ha sottolineato l’importanza
della bendelletta ileotibiale, e precisamente della banda definita ileotibial tract, nell’opporsi all’intrarotazione del piatto tibiale esterno.
Questi dati sono in contraddizione con quelli riportati
da Kapandji (1996) in cui LCA ha un ruolo determinante nello stabilizzare l’intrarotazione. Altri lavori
hanno verificato che il massimo sovraccarico in intrarotazione del LCA avviene quando il ginocchio è
flesso a 15°-30° (Arms et al. 1984; Wroble et al. 1993) o esteso
(Shoemaker e Markolf 1985); a 90° si riduce notevolmente.
Prima della valutazione del jerk test bisogna preventivamente escludere del tutto lesioni del LCM perché,
venendo a mancare il fulcro su cui ruota il piatto tibiale esterno, può essere fonte di falsi negativi (Donaldson et al. 1985).
Nella valutazione manuale del ginocchio è importante
esaminare, insieme ai test del crociato anteriore, anche le strutture periferiche (LCM, LCL, PAPE, PAPI,
POL) per escludere patologie associate. Se per i collaterali i test in varo o valgo stress possono dare delle
indicazioni sulla maggiore o minore integrità, non esistono dei test specifici per evidenziare con precisione
la condizione dei punti d’angolo. Alcuni Autori (O’Brien
et al. 1991) ritengono che la principale fonte di fallimenti
della ricostruzione del LCA è da attribuirsi alle lesioni
associate e non riconosciute, dei punti d’angolo.
Nel linguaggio specialistico per i test in rotazione,
rispetto ai test sagittali, si preferisce utilizzare il ter1976; McQuade 1989)
mine di “instabilità” invece di “lassità”, quindi, dove
i test sono positivi, si riporta “instabilità rotatoria” e
“lassità anteriore o posteriore” (Franco et al. 1994). Noi non
concordiamo con questa differenziazione ingiustificata e utilizziamo in entrambi i test il termine “lassità”
riservando il termine instabilità a quelle condizioni
in cui 1’afisiologico movimento (sub-lussazione) si
verifica in condizioni funzionali e non artificialmente
provocate. Se la lassità è strettamente collegata alla
condizione capsulo-legamentosa del ginocchio, l’instabilità è la risultante di numerosi fattori tra i quali
l’azione muscolare ha un importante ruolo (Noyes et al.
1980). Da questa considerazione scaturisce l’ipotesi
che un ginocchio presenta un’instabilità rotatoria se
è soggetto a dei fenomeni di giving way (Lysholm e Gillquist 1982), cioè delle sub-lussazioni durante movimenti
funzionali della vita quotidiana o dell’attività sportiva; risulta essere lasso se i test manuali sono positivi.
Se la lassità, per determinate condizioni biologiche
della struttura collagena dei legamenti, può a volte essere considerata normale, la condizione d’instabilità è
sempre anormale e quindi patologica (Noyes 1983).
3.4.2.3 Valutazione strumentale
La conferma della lesione del LCA di solito avviene
attraverso una diagnosi strumentale. Tra le metodiche
strumentali più utilizzate per verificare l’integrità legamentosa abbiamo: 1’artrometria; la radiologia classica; 1’imaging (TAc e RMN); 1’artroscopia.
3.4.2.3.1 Artrometri
Gli artrometri sono degli strumenti utilizzati per
quantizzare la traslazione (displacement) in senso sagittale della tibia rispetto al femore. Le prime ricerche sull’utilizzo dell’artrometro sono di White et al.
146
del 1979; per l’artrometro più utilizzato, il KT 1000
(Med-Metric-San Diego-California), invece, i primi
studi si devono a Daniel e datano 1985 (1985A; 1985B).
Recentemente sono stati ideati strumenti computerizzati che permettono di quantizzare il movimento
tibiale contemporaneamente su più piani dello spazio (Knee Signature System-Acufex microsurgical­Norwood MA; Genucom Knee
Analysis System-Faro Medical Technologies Inc., Montreal, Canada; Stryker Knee
Laxity Tester-Stryker Corp. Kalamazoo MI),
nei primi invece l’analisi avviene solo sul piano sagittale (KT 1000, KT 2000, Dyonics Dynamic Cruciate Tester, Dyonics, Andover; MA, KLT, Smith and Nephew,
Don­Joy Inc; Knee Instability Tester-KIT) (Shino et al. 1987).
Il funzionamento del KT 1000 si basa sulla distanza
relativa tra due sensori, di cui quello rotuleo rappresenta il punto di riferimento da cui viene misurata la
traslazione in millimetri del sensore tibiale. Con il
paziente in posizione supina e gli arti inferiori disposti su appositi sostegni che mantengono le ginocchia
flesse di circa 30° ed impediscono 1’extrarotazione
dell’anca, 1’artrometro viene ancorato saldamente
alla gamba mediante dei velcri (fig. 225).
Con tale strumentazione si può valutare la traslazione
anteriore della tibia rispetto al femore determinata da
una forza esterna da parte dell’operatore, oppure determinata dall’attivazione del quadricipite del paziente. Per la trazione da parte dell’operatore lo strumento
è dotato di un dinamometro che riesce a quantizzare
la forza indotta.
S. COLONNA
Nei radiogrammi laterali, soprattutto se viene utilizzato
un mezzo di contrasto, possono evidenziarsi delle fratture della spina tibiale frequentemente associata all’avulsione del LCA nei soggetti giovani (Pavlov et al. 1983).
Il segno di Segond è una frattura ed avulsione per trazione della capsula articolare (Dietz et al. 1986) di una piccola area del plateau tibiale laterale, nella zona prossimale alla rima articolare, posteriormente all’inserzione della bendelletta ileotibiale sul tubercolo di Gerdy
(Bach 1988). Questa frattura, variabile come dimensioni
nell’ordine di millimetri ed orientata verticalmente,
è ben evidenziabile nelle proiezioni antero-posteriori
(fig. 226). Descritta per la prima volta da Segond nel
1879, mentre sperimentalmente valutava la reazione
di reperti anatomici a degli stress torsionali, è stata
riscontrata successivamente da diversi Autori, anche
in vivo negli adulti e nei giovani, associata con una
alta frequenza alla lesione del LCA (Dietz et al. 1986; Falciglia
et al. 2008). Un altro reperto radiologico, associato frequentemente alla lesione del LCA e da alcuni Autori
definito come notch sign di Warren (Cipolla et al. 1994), è
la frattura condrale del condilo laterale (lateral notch
fracture) (Bach 1988). Tale segno, evidenziabile nelle
proiezioni laterali, è stato per la prima volta descritto
nel 1978 da Losee et al. e venne paragonato alla lesione di Hill-Sachs della spalla lussata. Questo reperto
consiste in un solco pronunciato, evidenziabile nella
silhouette del condilo laterale, che gli Autori francesi
chiamano encoche, mentre dagli anglosassoni definito condyle indentation. Se la profondità è superiore
a 2 mm viene considerato un segno indicativo della
lesione del LCA (Bach 1988).
Fig. 226 • Radiogramma AP di ginocchio dove si evidenzia (freccia gialla) il
segno di Segond.
Fig. 225 • Ancoraggio del KT1000 e valutazione del LCA previa
trazione da parte dell’operatore.
L’artrometro, pur se le prime applicazioni risalgano a
circa 40 anni fa, non è mai diventato uno strumento
utilizzato su larga scala, per tale motivo rimandiamo
il lettore interessato ad approfondire l’argomento ad
altri test specialistici del ginocchio (Colonna 1997).
3.4.2.3.2 Radiologia classica
La radiologia classica normalmente non permette di
mostrare direttamente le lesioni legamentose, a volte
può essere utile, evidenziando dei segni indiretti della
lesione, per confermare la diagnosi.
Un ulteriore utilizzo della radiologia classica, anche
se scarsamente impiegato, è la valutazione radiografica del segno clinico del Lachman. La traslazione anteriore della tibia, nelle lesione del LCA, può essere
numericamente quantizzabile utilizzando gli artrometri oppure con delle radiografie sotto stress.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
Le indagini radiografiche sotto stress, utilizzate per
quantizzare la traslazione anteriore in caso di lesione del LCA, sono molteplici, quella più utilizzata è
la tecnica di Lachman-Trillat (Dejour et al. 1989). L’esame
consiste nel confrontare la traslazione anteriore del
piatto tibiale nel ginocchio patologico con il sano durante la contrazione del quadricipite per sollevare un
peso di 7 o 15 kg. Le difficoltà tecniche nascono dal
prendere di infilata i due condili in modo da non avere
delle sfasature che rendono meno precise le misurazioni. È consigliato il posizionamento del ginocchio
sotto controllo di amplificatore di brillanza in modo da
posizionare correttamente la rotula allo zenit.
Nei soggetti sani è stata riportata una traslazione anteriore assoluta di circa 3,5 mm; mentre nei soggetti con
lesione isolata del LCA la traslazione anteriore media è
stata di 10,2 mm. Per gli Autori un valore inferiore di
3 mm è indice di integrità del LCA, mentre, un valore
superiore a 8 mm è indicativo di una lesione. La misurazione differenziale tra i due arti (arto patologico meno
l’arto sano) è considerata più affidabile ed è stato riportato come indice sicuro al 100% di lesione del LCA un
valore superiore a 2 mm (Castagnaro et al. 1994).
I vantaggi di questo esame sono l’elevata precisione
non legata all’operatore e l’esclusione dei tessuti molli;
gli svantaggi sono legati all’esigenza di un centro radiologico e l’esposizione a radiazioni.
Altri Autori (Rijke et al. 1991) propongono, con il paziente
in posizione supina, di appoggiare il polpaccio ad un
supporto fisso, sollevato rispetto al piano della restante
parte del corpo in modo da flettere di circa 30° il ginocchio. Il peso della coscia con in più un sacchetto di
sabbia spinge il femore in basso, il femore non avendo
nessun supporto rigido trasla posteriormente in relazione alla tibia. I radiogrammi laterali effettuati in questa
condizione, paragonati ai radiogrammi standard in posizione di fianco, danno l’esatta misura della traslazione
anteriore dovuta al deficit del LCA. Un valore superiore
a 6 mm è indicativa della lesione del LCA.
Prima dell’avvento della RMN 1’artrografia aveva un
ruolo predominante nella diagnosi delle lesioni meniscali, legamentose e cartilaginee (Pavlov et al. 1983; Castagnaro
et al. 1994; Malcom et al. 1985). Attualmente la maggiore precisione e la minore invasività della RMN hanno ridotto
l’utilizzo dell’artrografia nella valutazione delle lesioni
del ginocchio.
3.4.2.3.3 RMN-TAC
La diagnosi clinica della lesione del LCA raggiunge,
in mani esperte, dei livelli di affidabilità notevoli, ma
alcune volte l’utilizzo della diagnosi strumentale ai
fini di una conferma si rende necessaria. Nelle lesioni
del LCA il ricorso alla diagnosi per immagini è richiesto, di solito, in tre specifiche condizioni: nei casi
147
in cui le manovre cliniche non consentono di stabilire
la presenza della lesione e la sua entità; documentazione ai fini medico-legali; dimostrazioni di lesioni
associate (punti d’angolo, meniscali e condrali) (Masciocchi et al. 1994).
La maggiore capacità discriminativa per i tessuti molli (Schils et al. 1990), una sempre maggiore diffusione e la
costruzione di macchine specifiche per le articolazioni periferiche (artroscan), le quali hanno permesso un
abbattimento dei costi, depongono per una maggiore
indicazione della RMN rispetto alla TAC nelle lesioni legamentose del ginocchio. Per tale motivo e per
esigenze di spazio ometteremo di trattare l’utilizzo
della TAC.
L’utilizzo della RMN nella diagnosi della rottura del
LCA e nella valutazione delle lesioni associate è stata
ben documentata. Attraverso la RMN è ben evidenziata la condizione del LCA sano (fig. 227a) e lesionato
(fig. 227b), inoltre sono evidenziabili le lesioni meniscali (Crues et al. 1987; Glashow et al. 1989) (fig. 227c), le lesioni
sottocondrali (Engebretsen et al. 1993; Graf et al. 1993; Kaplan et al. 1992)
(fig. 227d) e le lesioni dei punti d’angolo (De Paulis et al.
1994) (fig. 227e).
Per la valutazione PAPE può risultare importante la
ricerca del “arcuate sign” (AS) mediante radiologia
classica o con RMN (fig. 228). Tale segno è dovuto
ad una frattura con distacco della porzione prossimale
della stiloide peroneale (Shindell et al. 1984). Tale avulsione, pur se collocata nelle vicinanze, è differente da
quella di Segond che si realizza sulla tibia (fig. 229).
È indice di una instabilità postero-laterale e può essere associata alla lesione di entrambi i crociati, al LCL
e al tendine del popliteo (Huang et al. 2003).
I lavori in letteratura sono abbastanza concordi per
un’alta sensibilità e specificità della RMN nella valutazione delle lesioni del LCA (Barry et al. 1996; Friedman et
al. 1996).
La RMN è stata consigliata anche per seguire l’evoluzione delle condizioni del LCA, nei casi in cui si propenda per il trattamento conservativo (Ihara et al. 1996).
Se per l’analisi delle lesioni complete del LCA non ci
sono dubbi sulla precisione della RMN, la stessa cosa
non si può certo dire nelle lesioni parziali. La sensibilità cala dal 100% per le lesioni totali all’11% per
le lesioni parziali (Lawrance et al. 1996; Yao et al. 1995). È utile
in questi casi utilizzare soprattutto le scansioni assiali
effettuate con spessori non superiori ai 3 mm per tutta
la lunghezza del legamento e associare alle sequenze
in T1 pesate anche quelle in T2 pesate, spin-echo o
gradient-eco (Masciocchi et al. 1994). Infatti, le sequenze in
T2 pesate sono in grado di differenziare la porzione
residua del legamento dall’edema e dagli infarcimenti
siero-emorragici tipici dei traumi acuti.
In alcuni casi sono importanti i segni secondari. Tali
148
a
S. COLONNA
c
b
Fig. 227 • Immagini RMN di: a) ginocchio con il LCA integro; b) ginocchio
con il LCA lesionato; c) ginocchio con la
lesione del corno posteriore del menisco
laterale; d) edema della sottocorticale da
frattura da impatto associato alla lesione
del LCA; e) lesione del punto d’angolo
postero esterno, le immagini evidenziano
ispessimento e segnale di alta densità del
legamento peroneo-popliteo (freccia gialla) e fabello-peroneale (freccia rossa).
d
e
a
b
Fig. 228 • a) radiogramma AP di ginocchio dove si evidenzia (freccia rossa) il distacco
dell’apice della stiloide peroneale (arcuate sign); b) immagine RMN dove si evidenzia il
distacco di un frammento dell’apice peroneale (freccia rossa) dislocato vicino al tendine
del popliteo (freccia gialla).
segni avendo un’alta specificità confermano, se riscontrati, la lesione del LCA, però, avendo una bassa
sensibilità, se non riscontrati non permettono l’esclusione della lesione (Gentili et al. 1994).
Diversi Autori (Grontvedt et al. 1995; Vellet et al. 1991; Spindler et al.
1993) ipotizzano che le lesioni sottocondrali (bone bruises) riscontrate con un’alta frequenza, circa 1’80%,
nelle lesioni del LCA, possono degenerare in gravi
lesioni cartilaginee. Chan et al. (1991) hanno proposto
una classificazione in 4 stadi delle lesioni osseo-cartilaginee evidenziabili alla RMN:
Fig. 229 • Schema della frattura di Segond
(freccia rossa) e dell’apice peroneale
prossimale (arcuate sign) (freccia gialla).
- grado 0, normale, non evidenziabile nessuna modifica;
- grado 1, lesione lieve, minimi cambiamenti dell’osso sottocondrale e riduzione di 1/3 dello spessore
della cartilagine sovrastante;
- grado 2, lesione moderata, crack, flap ed edema della cartilagine con un assottigliamento compreso da
1/3 a 2/3;
- grado 3, lesione grave, notevole degenerazione
con alcune zone completamente scoperte di cartilagine.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
Se non ci sono più dubbi sull’utilità della RMN nella
diagnosi della lesione del LCA, controverso è l’utilizzo nella valutazione dell’integrità del trapianto nelle
ricostruzioni. Se per Maywood et al. (1993) esiste una
correlazione tra esame clinico e responso della RMN,
per altri Autori (Cheung et al. 1992; Yamato e Yamagishi 1992; Grontvedt
et al. 1995) la RMN non riesce a determinare accuratamente l’integrità del trapianto.
Yamato e Yamagishi (1992) hanno classificato le immagini della RMN nelle ricostruzioni del LCA in
quattro gruppi:
tipo 1: fibre scure continue dal tunnel femorale al tunnel tibiale;
tipo 2: bande scure visibili solo a livello prossimale
(inserzione femorale);
tipo 3: bande scure visibili solo a livello distale (inserzione tibiale);
tipo 4: nessuna banda o stria scura.
3.4.2.3.4 Esame ecografico
Alcuni lavori (Chylareck et al. 1996) riportano i risultati della
valutazione delle lesioni del LCA mediante utilizzo
dell’ecografia. I dati concordano per un’alta sensibilità (95%) e specificità (98%) dell’ecografia nella
valutazione del LCA. Questi risultati non sono stati confermati e sicuramente l’ecografia risulta meno
precisa della risonanza magnetica.
3.4.2.3.5 Artroscopia
Un ulteriore sistema per verificare la condizione
anatomica dell’ambiente articolare è l’esame artroscopico. È sottinteso che tale presidio chirurgico
149
non può essere applicato di routine, quindi lo si utilizza solo in casi dove ci sia la reale necessità. L’artroscopia presenta il notevole vantaggio di essere
molto precisa nella valutazione della lesione del
LCA (fig. 230a), potendo effettuare anche una valutazione della tensione del legamento (fig. 230b) e
della cartilagine articolare visivamente raggiungibile (fig. 231a, fig. 231b); ha lo svantaggio di essere
un esame invasivo e di non riuscire ad evidenziare
adeguatamente alcuni dei feno­meni specifici della
lesione del LCA, ad esempio 1’osteofita del margine posteriore della tibia o le lesioni sottocondrali.
Illustri Autori come Ficat (1979), Goodfellow (1976),
Insall (1976) si sono cimentati nel classificare i disordini degenerativi delle lesioni cartilaginee. La
classificazione più specifica all’indagine artroscopica è quella di Noyes (1989) che si basa su quattro
variabili: 1) tipo di lesione della cartilagine (incrinatura, fissurazione, fibrillazione e frammentazione)
o esposizione dell’osso sub-condrale; 2) estensione
in profondità; 3) estensione in larghezza; 4) localizzazione della lesione (rotula, troclea, condili, piatto
tibiale).
3.4.2.4 Valutazione funzionale
Se nel precedente paragrafo abbiamo affrontato la
valutazione delle struttura anatomica, in questo viene presa in considerazione la valutazione diretta o
indiretta della funzione stabilizzante del LCA. La
valutazione della funzione viene analizzata attraverso
movimenti semplici del ginocchio quali l’estensione
del ginocchio in modalità isocinetica, durante la deFig. 230 • Visione artroscopia del LCA;
a) legamento integro; b) legamento continuo ma lasso.
Fig. 231 • a) immagine artroscopica con
l’uncino palpatore che mette in evidenza
una lesione di 1° grado della cartilagine
del condilo femorale mediale; b) immagine artroscopica con l’uncino palpatore
che mette in evidenza una lesione di 2°-3°
grado della cartilagine del condilo femorale mediale.
150
ambulazione, oppure attraverso la valutazione della
propriocettività per sottolineare l’importanza di questo sistema nella funzione del LCA. Questi argomenti
sono specifici per chi si interessa di rieducazione funzionale, per tale motivo rimandiamo il lettore a testi
riguardanti tali argomenti (Colonna 1997).
3.4.2.5 Terapia conservativa e Prevenzione
Nel caso di una lesione completa del LCA è indicato
l’intervento chirurgico, perché il ginocchio diventando instabile è soggetto ad ulteriori distorsioni con la
possibilità di lesioni cartilaginee e meniscali. Seitz et
al. (1996) hanno rilevato che nel 65% dei deficit del
LCA il paziente subisce una lesione meniscale secondaria in media nei 2.5 anni successivi alla lesione
legamentosa.
Nel caso di una lesione parziale, invece, non è ben
chiaro come comportarsi. Nei casi in cui si sceglie la
via conservativa e non chirurgica l’attività di rieducazione coincide con il lavoro di prevenzione.
Un lavoro di prevenzione è molto utile anche per chi
ha già subito la lesione del LCA ad un ginocchio;
prevenzione indirizzata non solo all’articolazione
operata, per limitare la possibilità di una recidiva, ma
soprattutto all’arto controlaterale che statisticamente
presenta una maggiore incidenza di lesione (Salmon et al.
2005; Swärd et al. 2010).
La prevenzione cerca di ridurre non solo le lesioni del
LCA ma anche le sequele degenerative che si manifestano anche se il legamento viene sostituito chirurgicamente con successo.
È stato realizzato uno studio longitudinale durato 12
anni che ha seguito delle atlete praticanti il calcio, età
media 31 anni, operate di ricostruzione del LCA (Lohmander et al. 2004); viene riportato che l’82% delle ginocchia avevano dei cambiamenti degli indici radiografici e il 51% presentavano una franca osteoartrite del
ginocchio.
Nella pallavolo come nel basket e nel calcio, la donna è più soggetta, rispetto all’uomo, alle lesioni legamentose del ginocchio. La causa che produce questa
maggiore incidenza nelle donne non è stata ancora
chiarita completamente (Shultz 2008).
I traumi che inducono le lesioni legamentose si possono suddividere in traumi da contatto, di solito con
un altro atleta e traumi da non contatto, cioè subiti
autonomamente.
Nelle lesioni da contatto vengono a scaricarsi sul ginocchio delle forze anomale non prevedibili. Immaginiamo, per esempio, l’entrata in scivolata del calciatore, se arriva con il piede contro la gamba dell’avversario, è difficile preventivare l’effetto perché dipende
da tante variabili, non sempre codificabili.
S. COLONNA
Nelle lesioni che avvengono senza un contatto è il
peso corporeo che induce lo stress lesionale durante
cambi di direzione repentini, atterraggio da una salto
o rotazione del tronco con il ginocchio in quasi completa estensione e piede “piantato” al suolo (Alentorn-Geli
et al. 2009). Le strutture legamentose del ginocchio sono
preparate a sopportare degli stress elevati se utilizzate
su dei piani di movimento preposti. Quando l’articolazione lavora al di fuori di questi piani fisiologici,
facilmente i legamenti vanno incontro a rotture, soprattutto se non supportati dai muscoli.
Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi lavori
che possiamo suddividere, in base all’argomento, in
due categorie: valutazione cinematica dei gesti a rischio; valutazione di un programma neuromuscolare
di prevenzione.
La maggiore predisposizione delle donne alla lesione
del LCA è multifattoriale, sono presenti dei fattori intrinseci ed estrinseci.
I fattori estrinseci sono le calzature e le superfici di
gioco. Sulle superfici sintetiche, rispetto al legno (parquet), è maggiore la frequenza delle distorsioni e di
conseguenza della lesione del LCA; inoltre, la donna
rispetto all’uomo presenta una maggiore incidenza di
lesioni sulle superfici sintetiche (Silvers e Mandelbaum 2007).
I fattori intrinseci sono: anatomici, ormonali, neuronali e biomeccanici (Hewett et al. 2006A).
L’allineamento anatomico dell’estremità inferiore del
corpo è stato proposto come un fattore di rischio per
le patologie del ginocchio, quali la sindrome femororotulea e le lesioni del LCA (Beckett et al. 1992; Woodford-Rogers
et al. 1994; Loudon et al. 1996; Hertel et al. 2004).
Le differenze anatomiche tra donna e uomo che sembrano essere presenti sono, oltre ad un differente asse
di tutto l’arto inferiore, un più sottile legamento e una
ridotta larghezza della gola intercondilica (Shelbourne e
Llootwyk 1986).
Per quanto riguarda le correlazioni tra la lesione del
LCA e la fase del ciclo mestruale, alcuni autori (Wojtys
et al. 1998) riscontrano un aumento significativo di tali
lesioni durante la fase di ovulazione (dal 10° al 14°
giorno) del ciclo mestruale, mentre per altri (Myklebust
et al. 1998) è presente una riduzione della frequenza tra
l’ottavo e il quattordicesimo giorno del ciclo.
Riguardo la maggiore predisposizione ai traumi della donna rispetto all’uomo, sono state avanzate una
serie di accreditate ipotesi tra le quali alcune sottolineano il maggiore valgo anatomico del ginocchio
nel piano coronale. Altre, invece, danno più risalto
al fattore neuromuscolare che condiziona una differente coordinazione biomeccanica durante il gesto
tecnico. Le donne, per esempio, eseguono: l’atterraggio da un salto in posizione più estesa (Chappell et al.
2007); con un maggiore carico in abduzione (McLean et
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
al. 2005B; McLean et al. 2007);
attivano maggiormente il qua-
dricipite (Moore e Wade 1989; Malinzak et al. 2001; Griffin et al. 2006; Yu
et al. 2006) e in minor misura ed in ritardo gli ischiocrurali (Malinzak et al. 2001) e il grande gluteo (Zazulak et al. 2005);
dimostrano una differente attivazione agonisti-antagonisti (Palmieri-Smith 2008; Palmieri-Smith 2009); un maggiore
movimento e carico del ginocchio fuori dal piano
di appoggio (McLean et al. 2005A; McLean et al. 2005B; Kernozek et al.
2005; McLean et al. 2007); una maggiore intrarotazione della
tibia per iperpronazione del piede (caduta dello scafoide) (Woodfordrogers et al. 1994).
Il valgo dinamico con l’intrarotazione adduzione
dell’anca (fig. 232a) durante la ricaduta, movimento associato alla lesione del LCA, sembra avere una
diretta correlazione con la lassità sul piano assiale
(intra-extra) e sul piano coronale (varo-valgo) del ginocchio (Shultz et al. 2009). I soggetti che durante la fase di
ricaduta, ammortizzano portando troppo le ginocchia
in dentro (valgo) tendono ad aprire il compartimento
interno, quindi, sono predisposti alle lesione del col-
151
laterale mediale e del crociato anteriore (Myer et al. 2010A,
2010B, 2011A, 2011B).
Questa posizione di eccessivo valgo che coinvolge
tutto il corpo (fig. 232b) è stata definita “punto di non
ritorno” (Ireland 1999).
Mayer et al. (2010A; 2010B; 2011A; 2011B) hanno recentemente
ideato un normogramma in cui, dando un determinato peso a delle variabili dei soggetti testati, si ottiene
un indice definito KAM (Knee Abduction Moment),
il quale sembra direttamente collegato al rischio di
rottura del LCA (tab. 7). Le variabili prese in considerazione sono: 1) lunghezza della tibia; 2) massimo
angolo di valgo durante la ricaduta (traslazione lineare del ginocchio medialmente); 3) massima flessione
durante la ricaduta; 4) massa corporea; 5) rapporto di
forza quadricipite/ischiocrurali. In tabella 8 è riportato
un esempio dell’utilizzo del normagramma di Myer,
il soggetto testato presentava: 35 cm la lunghezza di
tibia; 7.4 cm di valgo; flessione del ginocchio 65.8°;
52 kg di massa corporea; 1.55 di rapporto forza del
Fig. 232 • a) schema del valgo dinamico dell’arto inferiore; b) schema della postura di “punto di non ritorno” di Ireland 1999.
Tab. 7 • Normogramma di Myer (da Myer et al. 2010D modificato) per la valutazione del rischio di lesione del LCA.
Tab. 8 • Esempio applicativo del normogramma (da Myer et al.
2010A modificato).
152
quadricipite/ischiocrurali. Ognuno di questi dati, riportati sulla scala superiore, acquisivano un determinato punteggio (peso), evidenziato anche nella casella
gialla. La somma dei singoli punteggi, in questo caso
98, riportato nella scale del punteggio totale, corrisponde sulla scala delle probabilità di un alto carico
del ginocchio di 73%, il quale è sicuramente un alto
indice di KAM e indirettamente di rischio di lesione
del LCA.
Sembra che le femmine con il crescere, dopo la pubertà aumentino l’atteggiamento del valgo dinamico
durante la ricaduta, mentre i maschi hanno la tendenza
a ridurlo (Schmitz et al. 2009).
Nel mondo scientifico si fa sempre più strada la possibilità che i fattori neuromuscolari e di conseguenza
biomeccanici, siano modificabili, per tale motivo essi
recentemente hanno avuto una particolare attenzione
da parte dei ricercatori.
Attraverso studi in vitro e modelli matematici i ricercatori hanno suggerito che un isolato carico sul piano
sagittale, per quanto ampio, sembra che sia insufficiente a determinare la lesione del LCA (McLean et al. 2004;
Quatman e Hewett 2009); l’inserimento di un carico nel piano
frontale, invece, è capace di indurre un aumento notevole dello stress tensionale sul LCA (Withrow et al. 2005)
e nei gradi estremi determinare la lesione (McLean et al.
2004). Per tale motivo l’abilità della componente neuromuscolare di controllare il carico in abduzione (valgo)
ha ricevuto un particolare interesse negli ultimi anni
(Palmieri-Smith et al. 2009).
La donna, per motivi di gestazione e di parto, presenta
un bacino più largo rispetto agli uomini. II bacino più
largo condiziona l’asse del femore, il quale determina
a livello del ginocchio un maggiore valgo, (nell’uomo
è di circa 175° mentre nella donna è di circa 170°)
(fig. 233a; fig. 233b) e di conseguenza, essendoci una
stretta correlazione tra l’angolo femoro-tibiale e l’angolo del muscolo quandricipitale, un maggiore angolo
Q (Haycock e Gillette 1976; Zelisko et al. 1982). È intuitivo che se
un’abnorme forza, di solito determinata dal peso del
corpo in caduta da un salto, si scarica in maniera non
equilibrata sul ginocchio, tenderà, nel ginocchio valgo, a chiudere la parte laterale (rima laterale) ed aprire
la parte mediale (rima mediale). Le strutture che si oppongono a tale abnorme movimento sono il legamento
collaterale mediale e il legamento crociato anteriore.
Il quadricipite e gli ischiocrurali hanno la potenzialità
di provvedere, per il loro momento di forza sviluppato in abduzione/adduzione, alla stabilità dinamica
sul piano frontale (Lloyd e Buchanan 2001; Lloyd et al. 2005). Come
tale, questi muscoli, si oppongono limitando i danni
al quale è sottoposto il ginocchio per via di questi abnormi stress.
In letteratura sono riportati dei dati che suggeriscono che
S. COLONNA
la donna utilizza delle strategie neuromuscolari che incrementano il carico del ginocchio in abduzione, il quale rappresenta una importante componente lesionale del
LCA (Rozzi et al. 1999; McLean et al. 2004; Myer et al. 2005).
La donna, infatti, sembra che preferisca attivare il quadricipite e gli ischiocrurali laterali a discapito dei mediali (Rozzi et al. 1999; Myer et al. 2005; Palmieri-Smith et al. 2008; Palmieri-Smith et
al. 2009).
Il perché la donna utilizzi maggiormente la componente
laterale degli ischiocrurali e del quadricipite, comportando un maggiore rischio di lesione del LCA, è ancora
sconosciuto.
Per alcuni Autori (Rozzi et al. 1999) l’iperattivazione del bicipite coadiuva a salvaguardare il LCA limitando sul
piano sagittale la traslazione anteriore della tibia e sul
piano assiale limitando l’intrarotazione della tibia, ma
ciò comporta un incremento della forza lesiva sul piano
frontale (Palmieri-Smith et al. 2009).
Sull’ipotesi relativa alla coordinazione neuromuscolare,
recentemente sono stati pubblicati diversi lavori che sottolineano l’importanza del movimento di ricaduta e la
possibilità di correggere questi abnormi gesti ai fini della
prevenzione (Noyes et al. 2005).
In questi nuovi studi i soggetti che durante l’atterraggio
dal salto eseguivano un eccessivo movimento di valgoabduzione del ginocchio, presentavano una maggiore
predisposizione alle distorsioni e di conseguenza alle lesioni legamentose. In queste ricerche non viene presa in
considerazione la conformazione ma il movimento di-
Fig. 233 • Schema dell’asse dell’arto inferiore con l’angolo di
valgo del ginocchio nell’uomo (a) e nella donna (b).
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
namico che viene eseguito durante l’atterraggio. L’analisi statica dell’angolo Q non è correlata all’angolo in
valgo durante l’attività dinamica (Gray e Taunton 1985).
Alcuni Autori (Fung e Zhang 2003), studiando delle dissezioni, hanno evidenziato come durante l’esasperato
valgo con il femore in intrarotazione rispetto alla tibia,
il bordo supero-laterale del gola intercondilica possa
determinare, per contatto diretto (ghigliottinamento),
un alto grado di tensione sul LCA, tensione che può
facilmente indurre una rottura.
Sicuramente non è l’atterraggio bipodalico ad essere
traumatico, ma la ricaduta su un solo arto (Ireland 1999).
Questi soggetti, con un maggiore valgo dinamico bipodalico, acquisiscono una modalità di ricaduta dopo
il salto che atterrando su entrambi i piedi non crea
squilibri patologici; ma quando, per un errore di valutazione, si sbilanciano in fase di volo e atterrano su un
solo arto, l’eccessivo valgo può risultare traumatico.
L’evento traumatico prevede uno stato di “disattenzione” al movimento di ammortizzazione della ricaduta al
suolo, infatti, atleti che durante l’atterraggio bipodalico
presentano un accentuato angolo in valgo del ginocchio
eseguono correttamente il gesto se gli viene richiesto il
salto e l’atterraggio su un solo arto a secco, cioè senza la
palla (single-legged functional hop testing) (Barber-Westin et
al. 2006).
In una valutazione prospettica di 207 atlete (calcio, basket, pallavolo) 9 furono interessate a lesione del LCA
(Hewett et al. 2005). Queste atlete presentavano, durante l’atterraggio dal salto, un angolo di abduzione 2.5 volte
maggiore (8°) rispetto alle altre atlete. Gli Autori ritengono che l’incremento dell’angolo e del momento
di forza in abduzione del ginocchio, l’incremento del
picco di forza verticale al suolo e la riduzione dell’angolo di massima flessione durante l’atterraggio sono
elementi associati alla lesione del LCA che avvengono
durante i traumi non da contatto. Valutando statisticamente i risultati di questo lavoro, il valgo dinamico del
ginocchio presenta una specificità del 73% e sensitività
del 78% per le lesioni del LCA (Hewett et al. 2005).
Un recente lavoro (Hewett et al. 2009) ha confrontato i video
di 17 traumi (10 donne e 7 maschi) distorsivi del ginocchio, con lesione del LCA, con i video di 6 atlete di
controllo che eseguivano lo stesso movimento. I risultati sono indicativi di una maggiore lateroflessione del
tronco e abduzione del ginocchio nei gesti traumatici
delle donne rispetto ai maschi e ancor di più rispetto al
gruppo di controllo.
Una delle cause della maggiore frequenza della lesione
del LCA nelle donne è, quindi, attribuibile ad un’alterata coordinazione neuromuscolare; come tale possiamo
inserire, come eziopatogenesi, la lesione del LCA nelle
“impairment sindrome” della Sahrmann (2002).
Questa erronea coordinazione motoria può essere recu-
153
perata con uno specifico allenamento. Questo allenamento deve essere indirizzato a far prendere consapevolezza all’atleta dell’abnorme movimento e attraverso
la continua ripetizione a secco, reimpostare in modo
corretto la ricaduta.
Diversi lavori (Ettlinger e Shealy 1995; Caraffa et al. 1996; Hewett et al. 1999;
Soderman et al. 2000; Heidt et al. 2000; Silvers e Mandelbaum 2001; Myklebust et al.
2003; Gilchrist et al. 2004; Olsen et al. 2005; Petersen et al. 2005; Noyes et al. 2005;
Mandelbaum et al. 2005; Hewett et al. 2006B; Myer et al. 2006; Gilchrist et al. 2008;
Hägglund et al. 2009) sono stati pubblicati sulla valutazione di
un programma di allenamento neuromuscolare coordinativo per la riduzione dei gesti sportivi a rischio e di
conseguenza dell’incidenza della lesione del LCA.
È stata eseguita anche una revisione di una parte di
questi lavori con la valutazione statistica (metanalisi)
dell’efficacia di un lavoro neuromuscolare specifico sulla prevenzione delle lesioni del LCA (Grindstaff et al. 2006);
gli Autori riportano una evidente efficacia preventiva da
parte di questi programmi specifici.
Tali programmi si basano sulla consapevolezza al gesto
scorretto utilizzato durante i movimenti a rischio (atterraggio dal salto, cambio di direzione, torsioni su un piede) e con esercizi specifici sulla progressiva modifica e
automatizzazione del gesto corretto.
È logico che questo “ricondizionamento” è più facilmente assimilabile quando il soggetto è giovane e di
conseguenza più plasmabile.
Alcuni lavori hanno provato a verificare se un programma specifico di prevenzione riesca a ridurre l’incidenza
della lesione del LCA nelle donne.
Uno dei primi di questi lavori (Hewett et al. 1999), datato 1999,
ha valutato per una stagione agonistica 1263 atleti/e praticanti pallavolo, pallacanestro e calcio. Di questi 366
atlete hanno partecipato ad un programma specifico di
prevenzione delle distorsioni del ginocchio.
Tale programma, pubblicato 3 anni prima sempre dagli
stessi Autori (Hewett et al. 1996), indirizzato a rinforzare soprattutto l’atterraggio partendo da una serie di salti eseguiti anche su superfici diverse, aveva comportato, in un
gruppo di atlete valutate prima e dopo un allenamento
specifico di 6 settimane e confrontate con gruppi di controllo, una riduzione delle forza durante l’atterraggio, un
riequilibrio in abduzione e adduzione e riequilibrio delle
forze tra ischio e quadricipite. Nel gruppo analizzato nel
1999 da Hewett et al. si verificarono 14 lesioni legamentose, di queste 9 furono non da contatto e l’incidenza di
queste 9 fu: 0% nel gruppo con l’allenamento specifico;
0.35% nel gruppo femminile di controllo; 0.05% nel
gruppo di controllo maschile. Le atlete con allenamento
specifico hanno presentato una incidenza 3.6 volte minore rispetto alle atlete senza allenamento specifico e
tale incidenza non differiva dal gruppo di atleti maschi
presi come gruppo di controllo.
154
Un altro lavoro prospettico non randomizzato (Myklebust et
al. 2003) ha valutato per tre anni le atlete praticanti la pallamano del campionato di élite norvegese. Il primo anno
agonistico (1998-1999) è stato utilizzato come anno di
controllo per la frequenza delle lesioni. Le seguenti due
stagioni (1999-2000 e 2000-2001), invece, è stato applicato un programma di prevenzione che prevedeva 3
esercizi di equilibrio (combinazione di corsa, salti, agilità, equilibrio enfatizzando la tecnica corretta del gesto
tecnico) con 5 livelli di difficoltà. Tali esercizi venivano
eseguiti per 15 min. 3 volte a settimana per 5-7 settimane
di precampionato, 1 volta a settimana durante il campionato. Durante la stagione di controllo 18 lesioni non da
contatto vennero registrate contro le 10 e le 7 dei due
anni successivi. La riduzione del rischio di traumi distorsivi al ginocchio calcolata è stata del 48% nel gruppo che
aveva utilizzato il programma preventivo.
Una percentuale superiore (82%) di riduzione di rischio,
comparata al gruppo di controllo, è stata riportata in un
gruppo di atlete praticanti il calcio di età compresa tra i
14 e 18 anni (Mandelbaum et al. 2005). Tale percentuale arriva al
100% nella valutazione da parte di Petersen et al. (2005)
in un gruppo di giocatrici di pallamano seguite per un
anno con un programma che prevedeva, oltre ai già citati
esercizi di forza, agilità ed equilibrio, un programma per
incrementare la consapevolezza dell’esecuzione corretta
del gesto tecnico dei comuni meccanismi lesionali.
Gilchrist et al. (2008) hanno recentemente condotto una
valutazione su 1435 atlete dei college praticanti come
sport il calcio. Gli Autori riportano che le atlete che hanno partecipato al programma di prevenzione sono state
soggette a 3.3 volte meno la lesione del LCA rispetto alle
atlete di controllo.
Un ulteriore recente studio (Lim et al. 2009) ha riscontrato che,
in 11 atlete di basket, 20 minuti di allenamento dell’atterraggio (rebound jump task) (programma di allenamento
di prevenzione delle lesioni del LCA) eseguiti prima
dell’allenamento per 8 settimane, hanno determinato,
tra i test prima e dopo il training di ricondizionamento,
le seguenti modifiche: maggiore angolo di flessione al
ginocchio, maggiore distanza tra le ginocchia, minore
rapporto ischio/quadricipite, minore forza massimale di
estensione del ginocchio, maggiore forza massimale di
abduzione del ginocchio. Questi parametri, che prima
delle 8 settimane non risultavano significativamente differenti rispetto al gruppo di controllo, dopo l’allenamento specifico raggiungevano la significatività.
Un precedente lavoro (Myer et al. 2007), invece, ha riportato
il risultato di un programma di ricondizionamento di 3
sedute per settimana per 7 settimane. Le 18 atlete utilizzate per questo lavoro furono divise in due gruppi in
base al momento di forza in abduzione ottenuto durante la ricaduta da un plinto di 31cm di altezza valutato
con un esame optoelettronico. Il limite del momento di
S. COLONNA
forza utilizzato per suddividere il campione è stato di
25.25 Nm come stabilito in un precedente lavoro (Hewett
et al. 2005).
Le atlete che presentavano un valore superiore erano
incluse nel gruppo di alto rischio, quelle con un valore inferiore erano incluse nel gruppo a basso rischio. Il
cambiamento addotto dal training di ricondizionamento
all’atterraggio è stato significativo solo per il gruppo ad
alto rischio, riducendo di circa il 13% il momento di forza in abduzione del ginocchio bilateralmente.
3.4.2.6 Nostro approccio terapeutico
Dal nostro punto di vista, quello delle catene muscoloconnettivali, che si stacca dalla singola articolazione per
valutare globalmente l’arto inferiore, la possibile iperattivazione della componente muscolare laterale è da collegarsi alla maggiore adduzione-intrarotazione dell’anca. L’ipotesi che l’anca possa influenzare il ginocchio
e recitare una parte importante nella lesione del LCA è
condivisa da molti Autori (Griffin et al. 2000; Leetun et al. 2004; Myer et
al. 2008; Myer et al. 2011A; Myer et al. 2011B; Reiman et al. 2009; Imwalle et al. 2009)
che recentemente hanno pubblicato una serie di articoli
a riguardo.
Alcuni ricercatori (Ferber et al. 2003; Lephart et al. 2002; McLean et al.
2005B; Kernozek et al. 2008; Lawrence et al. 2008) hanno esaminato l’influenza dell’anca sulla posizione del ginocchio e riportano nella donna, rispetto all’uomo, una maggiore adduzione-intrarotazione dell’anca e un maggiore valgo del
ginocchio. La relazione fra minore abduzione dell’anca
collegata ad un maggiore valgo del ginocchio durante
l’atterraggio, viene messo maggiormente in evidenza
dopo affaticamento (Kernozek et al. 2008).
McLean et al. (2005B), esaminando i momenti di forza durante l’esecuzione dello “sidestepping”, riscontra un’associazione tra il picco del momento del valgo al ginocchio e l’intrarotazione dell’anca. Gli Autori arrivano alla
conclusione che le donne utilizzano un maggior carico
in valgo del ginocchio e che la posizione dell’anca può
influenzare questi schemi, inoltre, gli interventi indirizzati al miglioramento del controllo neuromuscolare
dell’anca possono prevenire la lesione del LCA. Dello
stesso avviso sono le conclusioni a cui arrivano altri Autori (Imwalle et al. 2009) valutando i cambi di direzioni di 17
calciatrici con il ginocchio flesso a 45° e 90°.
Un altro recente lavoro (Pollard et al. 2006) ha valutato la cinematica del ginocchio e dell’anca durante esercitazioni
di atterraggio in un gruppo di atlete praticanti il calcio.
Dopo un test iniziale, le atlete studiate parteciparono ad
un programma di prevenzione, programma in precedenza pubblicato (Maldelbaum et al. 2005), durante la stagione
agonistica. Al termine della stagione le atlete vennero
rivalutate. I dati della seconda valutazione non furono
indicativi di un differente angolo del ginocchio durante
l’atterraggio, invece, le atlete dimostravano una signifi-
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
cativa minore intrarotazione e una maggiore abduzione
dell’anca.
Più recentemente (Lawrence et al. 2008) è stata esaminata
l’influenza della forza dei muscoli abduttori ed extrarotatori sulla cinematica dell’anca e del ginocchio
nelle donne durante l’atterraggio monopodalico. Prima di raccogliere questi dati, venne valutata la forza e
degli abduttori ed extrarotatori dell’anca in un gruppo
di 72 atlete. Sulla base della forza degli extrarotatori
il gruppo testato venne suddiviso in un gruppo con
muscoli forti e con muscoli deboli. Il gruppo con extrarotatori forti presentava durante l’atterraggio monopodalico una minore forza di reazione al suolo e
un minore momento in valgo del ginocchio. Questi
risultati sono indicativi di una preliminare evidenza a riguardo dell’influenza della forza dei muscoli
dell’anca sul meccanismo di atterraggio da un salto
dell’arto inferiore.
Questi ultimi lavori sono indicativi di un’associazione
tra la funzionalità dell’anca e le lesioni del LCA, mediata da un abnorme carico del ginocchio in valgo, per
quanto riguarda i traumi non da contatto.
L’anca gestendo il bacino fa da collegamento tra il
tronco e il ginocchio. Un completo programma (Myer
et al. 2006) di prevenzione ha incorporato esercizi che
creano delle perturbazioni dell’equilibrio del tronco
in modo da incrementare l’attività di stabilizzazione
del bacino (core stability) e diminuire i meccanismi
che inducono un elevato carico in abduzione del ginocchio, meccanismo presente soprattutto nel sesso
femminile (Zazulak et al. 2005).
In tabella 9 è riportata la progressione delle esercitazioni proposte da questo programma per incrementare la core stability del tronco. Il programma prevede
esercitazioni progressive, quali: 1) salto laterale; 2)
salto anteriore; 3) stabilità del tronco da prono; 4) stabilità del tronco in ginocchio; 5) salto laterale su un
solo arto; 6) salto con piegamento delle ginocchia; 7)
allunghi con divaricate anteriori; 8) salto con divaricata anteriore; 9) rinforzo degli ischiocrurali; 10) salto
con rotazioni in sospensione; 11) rinforzo dei muscoli laterali del tronco; 12) rinforzo muscoli flessori del
tronco; 13) rinforzo muscoli estensori del tronco.
Ognuna di queste esercitazioni prevede una progressione suddivisa in più fasi.
Analizzando la meccanica dell’arto inferiore, durante l’atterraggio da un salto, seguendo un’ottica legata
alle catene miofasciali, possiamo identificare la causa
eziopatogenetica delle distorsioni del ginocchio come
uno squilibrio tra le catene spirali e precisamente
come una iper programmazione della catena spirale
anteriore e/o una ipo programmazione della catena
spirale posteriore.
Il protocollo di prevenzione prevede, quindi, il po-
155
tenziamento della catena spirale posteriore, l’allungamento dell’anteriore e, fondamentale, un ricondizionamento della ricaduta dal salto e durante i cambi
bruschi di direzione.
Il potenziamento della spirale posteriore viene eseguito
lavorando in modo selettivo sugli abduttori-extrarotatori
d’anca e in successione lavorando globalmente sulla catena. È stato riportato in letteratura (McConnell 2002) che una
mancanza della “core stability” dell’anca contribuisce
all’incremento del carico in valgo del ginocchio e viene
consigliato l’allenamento del grande gluteo per ridurre
l’intrarotazione del femore durante l’attività in carico
dell’arto inferiore. Per lavorare sui muscoli abduttoriextrarotatori si possono utilizzare nella prima fase delle
attrezzature specifiche (abductor machine) oppure degli elastici in catena cinetica aperta. A seguire diventa
importante l’integrazione in catena cinetica chiusa. Gli
esercizi che consigliamo consistono nella estensione
dell’arto inferiore in posizione eretta con carico corporeo, oppure con ulteriore impegno associando l’uso di
un bilanciere o in alternativa di manubri, con aggiunta di
un carico in abduzione indotto da un elastico che spinge
in valgo entrambe le ginocchia (fig. 234). Durante questo esercizio viene richiesta una particolare attenzione
Fig. 234 • Esercitazioni di squat con
elastici a livello delle
ginocchia per indurre una resistenza ai
muscoli abduttori che
devono essere attivati isometricamente durante la flesso
estensione dell’arto
inferiore.
alla fase eccentrica (discesa), forzando l’apertura delle
ginocchia. La distanza dei piedi deve essere più o meno
quanto la distanza delle anche e il ginocchio allineato su
una retta che unisce questi due punti.
È importante che il lavoro a secco venga finalizzato
all’esecuzione corretta del gesto tecnico. Nella pallavolo, sport dove abbiamo sviluppato una certa esperienza, essendo la ricaduta dall’attacco (fig. 235) e dal
muro i due momenti dove sono presenti i maggiori
rischi, è importante che gli allenatori curino adeguatamente la quarta fase della schiacciata: l’atterraggio.
156
S. COLONNA
Fig. 235 • Fotogrammi che evidenziano, in una atleta pallavolista, la sequenza di una schiacciata che ha indotto, per trauma discorsivo
del ginocchio sinistro durante la ricaduta, la lesione del LCA.
Per la maggior parte dei tecnici esiste solo la rincorsa,
la fase di volo e il colpo della palla, dopo di che l’attenzione viene attirata dal risultato della schiacciata o dalla consecutiva difesa e rigiocata. Soffermarsi qualche
volta con lo sguardo alla fase finale della schiacciata,
tralasciando il risultato dell’attacco, può a volte dare
molti elementi non solo in termini di azione di prevenzione ma anche in termini di efficacia dell’attacco. Per
fare uno screening sugli atleti che necessitano di un
particolare lavoro di prevenzione è sufficiente filmare
l’atleta durante una serie di salti a muro consecutivi.
L’analisi del movimento effettuata durante l’atterraggio e il successivo salto, eseguita utilizzando due soli
piani dello spazio, quindi con una comune videocamera, è risultata abbastanza attendibile, se comparata al
3D, a discernere le atlete che presentano una maggiore
valgo dinamico e di conseguenza una predisposizione alla distorsione del ginocchio (McLean et al. 2005). Nelle
sequenze di fotogrammi riportati in figura 237 della
ricaduta dopo salto a muro di 5 atlete praticanti la pallavolo, si evidenziano le differenti strategie dell’arto
inferiore utilizzate. Nel soggetto riportato nella immagine “a” il ginocchio tende al varo; nei soggetti “b” e
“c” è presente un buon allineamento tra femore e tibia
mantenendo un asse del ginocchio neutro; nei soggetti
“d” ed “e” è evidente un accentuato valgo dinamico
durante l’atterraggio. Nelle immagini in figura 236a è
schematizzato uno scorretto allineamento della tibia e
a
b
Fig. 236 • Schema di allineamento dell’arto inferiore durante la
ricaduta dal salto: a) corretto; b) scorretto.
femore durante l’atterraggio dal muro; in figura 236b
un corretto allineamento con una appropriata distanza
delle ginocchia.
Come un atleta atterra lo si può indagare indirettamente anche valutando l’impostazione dell’arto inferiore sul piano frontale durante dei semplici saltelli:
ad esempio durante l’attesa della ricezione (fig. 238).
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
Fig. 237 • Fotogrammi rappresentanti le diverse strategie di atterraggio dopo il salto a muro di 5 atlete praticanti la pallavolo.
Fig. 238 • Sequenza di fotogrammi durante dei saltelli
eseguiti prima della ricezione dall’atleta riportata in fig.
235; si evidenzia il valgo dinamico durante la fase di ammortizzazione.
157
158
Molti atleti, per un’errata impostazione del gesto della
schiacciata,, si presentano nel momento di impattare la
palla, all’apice dell’elevazione, non in asse con essa. Ciò
comporta dei movimenti di aggiustamento in aria, i quali determinano delle ricadute in equilibrio precario su un
solo arto. L’allenatore deve, soprattutto in questi soggetti,
correggere il gesto scorretto dovuto all’erroneo rapporto
corpo-palla.
Risulta importante, inoltre, richiedere un atterraggio
morbido utilizzando una ampia flessione del ginocchio,
dell’anca e della caviglia e il più possibile su entrambi gli
arti (Renstrom et al. 2008), preferibilmente in perfetto equilibrio
o leggermente sbilanciato in avanti. Il tronco sbilanciato
in dietro, infatti, aumenta l’attivazione del quadricipite
(Shimokochi et al. 2009), il quale trazionando la tibia anteriormente rispetto al femore, incrementa la tensione sul LCA mettendolo maggiormente a rischio di lesione (Li et al. 1999; Markolf
et al. 2004; DeMorat et al. 2004). Il tronco leggermente sbilanciato in
avanti aumenta il carico sull’avampiede e sull’anca (Shimokochi et al. 2009). Come abbiamo già avuto modo di esporre a
pagina 12 volume dell’Anca, gli ischiocrurali, in collaborazione con i gemelli, partecipano al momento estensorio
del ginocchio sia durante la fase concentrica che eccentrica. Aumentare il momento estensorio dell’anca comporta
una maggiore attivazione degli ischio i quali, come è stato
largamente dimostrato, presentano un’azione di trazione
posteriore della tibia riducendo di conseguenza la tensione sul LCA (Pandy e Shelburne 1997).
Nei casi in cui l’atleta utilizzi, nelle ricadute dalla schiacciata o da muro, un atterraggio rigido, con una minima
escursione dell’arto inferiore, sono consigliate delle esercitazioni a secco che abbiano la capacità di focalizzare la
ricaduta.
L’importanza della propriocettività nel determinismo
della lesione del LCA incontra molti dubbi. Durante i
cambi di direzione repentini, l’angolo del ginocchio
(varo-valgo e di intra-extrarotazione) e l’attivazione
muscolare dell’arto inferiore è diversa se il movimento
è programmato, impostato o inaspettato (Besier et al. 2001; Besier et al. 2003).
Durante il movimento non programmato è presente un
incremento dell’attività muscolare del 10-25%, con la
maggiore attivazione prima del contatto iniziale a terra
(Besier et al. 2003). La lesione del LCA avviene più rapidamente rispetto all’attivazione muscolare riflessa e/o volontaria. La pre attivazione, invece, può ridurre le probabilità di lesione causate da una inaspettata perturbazione
del movimento. La muscolatura dell’arto inferiore può
essere attivata di circa il 40-80% nel momento in cui il
piede prende contatto con il terreno (Neptune et al. 1999).
Un recente lavoro (Mitchell et al. 2008) non riscontra correlazioni significative tra l’appoggio del piede durante la deambulazione e i carichi risultanti sul ginocchio, durante
S. COLONNA
l’atterraggio dal salto, in un gruppo di atlete praticanti
il calcio.
Per quanto riguarda l’importanza dell’elemento propriocettività per la prevenzione della lesione del LCA, un
lavoro di Caraffa et al. (1996) riporta il risultato di un programma di allenamento di 20 minuti diviso in 5 fasi di
incremento di difficoltà. Per tale studio sono stati utilizzati 600 calciatori seguiti per 3 stagioni agonistiche. Nel
gruppo di controllo è stata riscontrata l’incidenza di 1.15
lesioni del LCA per squadra per anno, invece tale indice
si riduceva a 0.15 nel gruppo in cui era stato inserito il
programma propriocettivo.
Un più recente lavoro (Olsen et al. 2005) ha valutato l’effetto di
un programma di 15-20 minuti focalizzato sulla presa di
coscienza del controllo di ginocchio e caviglia durante i
movimenti a rischio di lesioni. Il programma consisteva
in esercizi di potenziamento ed equilibrio con e senza la
palla, su superfici instabili, durante il riscaldamento. I risultati sono indicativi di una riduzione di traumi distorsivi
sia per il ginocchio che per la caviglia.
Per incrementare la propriocettività si possono utilizzare
diversi strumenti, tavolette o altre superfici instabili oppure dei materassini. Riteniamo che per allenare la propriocettività si può aumentare la richiesta di equilibrio
riducendo la stabilità della superficie di appoggio o ancor
meglio proponendo esercitazioni da effettuare senza l’ausilio della vista nella ricerca dell’equilibrio.
In realtà la maggior parte delle volte che avvengono i
traumi distorsivi, gli occhi e l’attenzione sono rivolte non
sulla superficie di appoggio o sulla posizione dell’arto ma
altrove (palla, avversario, ecc.). Gli occhi sono il sistema
di percezione a cui facciamo maggior riferimento nelle
condizioni di squilibrio e instabilità. È ovvio che se incrementiamo le difficoltà nel mantenere l’equilibrio, il primo
sistema che viene stimolato è la vista e solo nel caso di ulteriore ricerca della stabilità, verrebbe utilizzato il sistema
propriocettivo osteomuscolare.
Riteniamo che un adeguato stimolo che migliori la propriocettività necessita l’eliminazione dell’apporto della
vista. Per tale motivo consigliamo delle esercitazioni che
possono comprendere esercizi con salti, oppure ad esempio provare atterraggi lanciandosi da gradini di diversa altezza, ad occhi chiusi. L’incremento della difficoltà viene
determinata dall’altezza di ricaduta, quindi dall’altezza
del gradino utilizzato o dal salto eseguito. Durante l’atterraggio ad occhi chiusi è presente una maggiore escursione
angolare rispetto allo stesso movimento eseguito ad occhi
aperti e siamo sicuri, pur non avendolo valutato, una maggiore pre attivazione muscolare.
In queste esercitazioni deve essere sempre richiesto un
asse del ginocchio in condizione neutra (riduzione del
valgo) e l’utilizzo di un’ampia flessione del piede, con
rullaggio inverso dall’alluce al tallone, della caviglia, ginocchio, anca e tronco.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
159
Tabella 9 • Programma di prevenzione leggermente modificato dalla proposta originale di Myer et al. (2006).
Esercizio 1
Fase I - Salti laterali con mantenimento della posizione di massima accosciata: l’atleta si prepara per questo esercizio in ortostatismo con i piedi divaricati come la larghezza delle spalle e le ginocchia leggermente piegate; deve saltare lateralmente su una linea
tracciata per terra; quando atterra sul lato opposto, dovrebbe immediatamente scendere in una posizione di accentuata flessione con
ginocchia distanziate e tenere questa posizione per qualche attimo (fig. 1).
Fig. 1
Fase II - Salti laterali ripetuti: come l’esercizio precedente, ma questa volta, quando l’atleta atterra dovrebbe risaltare immediatamente per ritornare nella posizione iniziale (fig. 2). L’atleta deve ripetere questa sequenza il più velocemente possibile, pur
mantenendo un corretto equilibrio. Quando viene spiegato questo esercizio, incoraggiare l’atleta a raggiungere il maggior numero
possibile di ripetizioni nel tempo assegnato saltando vicino alle linee, abbreviando il tempo di contatto a terra, senza utilizzare una
eccessiva altezza. Non permettere all’atleta di eseguire un doppio salto sullo stesso lato della linea. All’inizio dell’esercizio l’atleta
può concentrarsi sulla linea; come la sua tecnica migliora incoraggiarla a spostare la sua attenzione visiva altrove, lontano dalla
linee, utilizzando stimoli esterni.
Fig. 2
160
S. COLONNA
Fase III - Salti laterali monopodalici con mantenimento: l’atleta si prepara per questo esercizio in posizione eretta monopodalica
con il ginocchio leggermente piegato; deve saltare lateralmente come l’esercizio riportato in fase I (fig. 3).
Fig. 3
Fase IV - Saltelli laterali: l’atleta si prepara per l’esercizio in piedi su una gamba con il ginocchio leggermente piegato da un lato
della linea di riferimento tracciata a terra; deve saltare lateralmente oltre la linea; quando atterra sul lato opposto, dovrebbe immediatamente risaltare tornando nella posizione iniziale. Incoraggiare l’atleta a raggiungere il maggior numero possibile di ripetizioni
nel tempo assegnato saltando vicino alle linee, come nell’esercizio in fase II.
Fase V - Salti incrociati: l’atleta inizia in piedi su un singolo arto con il ginocchio leggermente piegato di fronte ad una croce disegnata per terra; l’esercizio consiste nel saltare in diagonale atterrando nel quadrante diagonalmente opposto, mantenere durante
l’atterraggio la posizione di accentuata flessione per tre secondi; dopo deve saltare sul quadrante di lato e mantenere la posizione
di atterraggio per altri 3 secondi; a seguire deve saltare andando indietro nel quadrante diagonalmente opposto e mantenere per 3
secondi la posizione di massima flessione; per finire salta nel quadrante di fianco, ritornando nella posizione di partenza, e rimantiene per 3 secondi in posizione di atterraggio (fig. 4). L’atleta deve ripetere questo circuito a forma di 8 per un numero di volte
stabilito. Incoraggiare l’atleta nel mantenere l’equilibrio durante ogni atterraggio, tenendo gli occhi e la sua attenzione lontano dai
suoi piedi.
Fig. 4
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
161
Esercizio 2 • Progressione di salti in avanti
Fase I - Allungo mantenuto: l’atleta da posizione eretta esegue un rapido e lungo passo in avanti (divaricata anteriore) e cerca un profondo affondo in modo equilibrato sull’arto anteriore.
Fase II - Salto in avanti con mantenimento della posizione di atterraggio: la partenza come l’esercizio precedente, però questa volta
l’atleta esegue un salto in avanti e ricerca l’equilibrio dell’atterraggio sull’arto anteriore con un accentuata flessione che manterrà per
2-3 secondi (fig. 5).
Fig. 5
Fase III - Salto in avanti con mantenimento della posizione di atterraggio: a partire da una posizione di equilibrio, questa volta su un
solo piede, l’atleta salta in avanti, e ricerca l’atterraggio monopodalico, utilizzando lo stesso piede dello stacco, con una profonda flessione che manterrà per 2-3 secondi (fig. 6).
Fig. 6
Fase IV - Doppio salto anteriore con mantenimento: l’atleta salta in avanti due volte velocemente, l’atterraggio è in equilibrio su una
gamba con una accentuata flessione che viene mantenuta per 2-3 secondi.
Fase V - Salto triplo alternato con mantenimento della posizione di atterraggio: l’atleta esegue un triplo salto monopodalico anteriore
esplosivo alternando l’arto di atterraggio-spinta, dopo l’ultimo salto deve eseguire un arresto per 2-3 secondi nella posizione di accentuata flessione.
162
S. COLONNA
Esercizio 3 • Progressione di stabilità del tronco in posizione prona
Fase I - Tocco con le dita il piede opposto (nuotatore): l’atleta inizia in posizione prona in equilibrio con il suo addome centrato su un sistema instabile, con l’arto superiore ed inferiore esteso; con la mano portata dietro la sua schiena tocca il piede dell’arto opposto flesso (fig.
7a); ritorno alla posizione allungata (posizione da superman); riesegue il movimento invertendo la mano e il piede (fig. 7b).
Fig. 7a
Fig. 7b
Fase II - Nuotatore con perturbazione da parte del trainer: come l’esercizio precedente ma
con in più dei movimenti indotti casualmente sulla pedana instabile (perturbazioni) dal
trainer (fig. 7c).
Fase III - Ponte in posizione prona con appoggio sui gomiti e ginocchia ed estensione
dell’anca opposta al gomito in appoggio (fig. 8a): l’atleta inizia in posizione quadrupedica
in appoggio con i gomiti e le ginocchia flesse; il movimento inizia con l’elevazione del
braccio e gamba opposta; tale posizione viene mantenuta per 2-3 secondi e si ritorna alla
posizione di partenza; si riesegue il ciclo con il braccio e gamba opposta (fig. 8b).
Fig. 7c
Fig. 8a
Fig. 8b
Fase IV - Ponte con appoggio sui gomiti e ginocchia ed estensione dell’anca e flessione della spalla contro laterale: l’atleta inizia in
posizione prona con appoggio sui gomiti flessi e sulle ginocchia; il movimento inizia con l’elevazione alternata dell’arto inferiore
(estensione d’anca) e contemporaneamente flessione della spalla contro laterale, il mantenimento per 2-3 secondi (fig. 9), dopo essere
ritornata in posizione di partenza riesegue il movimento con gli arti oppposti.
Fase V - Ponte con appoggio sui gomiti e piedi ed estensione dell’anca e flessione della spalla contro laterale: l’atleta inizia in posizione prona con appoggio sui gomiti flessi e sulla punta dei piedi; il movimento inizia con l’elevazione alternata dell’arto inferiore (estensione d’anca) e contemporaneamente flessione della spalla contro laterale, la posizione viene mantenuta per 2-3 secondi (fig. 10).
Fig. 9
Fig. 10
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
163
Esercizio 4 • Progressione di stabilità del tronco in posizione inginocchiata
Fase I - Inginocchiata con appoggio su entrambe le ginocchia su
un sistema instabile: l’atleta dovrà mantenere l’equilibrio in una
posizione inginocchiata, con le anche leggermente flesse, su un
sistema instabile (fig. 11a).
Fase II - Inginocchiata con appoggio su un solo ginocchio su un
sistema instabile: l’atleta inizia questo esercizio di bilanciamento
con un ginocchio nel mezzo del sistema instabile e l’altro mantenuto sollevato di fianco. L’atleta dovrà mantenere questo posizione di equilibrio con l’anca leggermente flessa per tutta la durata
dell’esercizio (fig. 11b).
Fig. 11a
Fig. 11b
Fig. 12a
Fig. 12b
Fase III - In ginocchio bilaterale sulla swiss-ball: l’atleta si inginocchia sulla swiss-ball e ricerca l’equilibrio con i piedi sollevati
da terra, può anche utilizzare una posizione di gestualità sportiva,
tipo il bagher della pallavolo (fig. 12a, fig. 12b).
Fase IV - In ginocchio bilaterale sulla swiss-ball con perturbazioni indotte: l’atleta si inginocchia sulla swiss-ball e ricerca
l’equilibrio con i piedi sollevati da terra; una volta stabilizzata
un partner può perturbare la palla spingendo, con il piede, in
direzioni impreviste. Un assistente dovrebbe essere disponibile di
fronte l’atleta per le emergenze.
Fase V - In ginocchio bilaterale sulla
swiss-ball con presa e rilancio di una
palla: l’atleta si inginocchia sulla swissball e ricerca l’equilibrio con i piedi
sollevati da terra; una volta stabilizzata
deve prendere e rilanciare una palla
oppure palleggiare con un partner (fig.
13a, fig. 13b).
Fig. 13a
Fig. 13b
164
S. COLONNA
Esercizio 5 • Progressione di salti laterali su un solo arto
Fase I - Salti laterali su un solo arto con ricaduta su un materassino con mantenimento della posizione di atterraggio: l’atleta comincia
saltando lateralmente su materassino, cercando di mantenere l’equilibrio in posizione di atterraggio in profonda flessione; risalta lateralmente fuori dal materassino, dalla parte opposta di partenza cercando sempre di mantenere la posizione di atterraggio (fig. 14).
Fig. 14
Fase II - Salti laterali su un solo arto su un piano instabile tipo
BOSU con mantenimento della posizione di atterraggio: come
l’esercizio precedente aumentando l’instabilità della superficie
di atterraggio (fig. 15a).
Fase III - Salti laterali su un solo arto con atterraggio su un BOSU, con mantenimento della posizione di atterraggio e rilancio
di una palla: l’atleta comincia saltando lateralmente sul BOSU,
cercando di mantenere l’equilibrio in posizione di atterraggio in
profonda flessione; in questa posizione deve afferrare e rilanciare
una palla lanciata dal partner; risalta lateralmente fuori dal piano
instabile dalla parte opposta di partenza, cercando sempre di
mantenere la posizione di atterraggio.
Fase IV - Salti su un solo arto su un BOSU in direzione crociata
con mantenimento della posizione di atterraggio: l’atleta, in
Fig. 15a
posizione monopodalica immediatamente dietro il BOSU, inizia
saltando in avanti sul BOSU e atterra in una posizione di equilibrio con accentuata flessione dell’arto inferiore; salta fuori dal BOSU
ricadendo dal lato opposto di partenza; l’atleta risalta sul BOSU e dopo aver trovato l’equilibrio risalta fuori ma questa volta in direzione anteriore. L’esercizio continua saltando sempre con un arto sopra e fuori dal BOSU nelle 4 direzione (avanti-indietro e laterolaterale) come l’esercizio 1 fase V. Questo esercizio è molto intenso da un punto di vista della ricerca dell’equilibrio ma anche molto
pericoloso per le caviglie per tale motivo lo consigliamo solo su un tappetino (fig. 15b).
Fase V - Salti su un solo arto su un BOSU in direzione crociata, con mantenimento della posizione di atterraggio con presa e rinvio di
una palla: come l’esercizio precedente con l’aggiunta di ricezione e rinvio di una palla quando atterra sulla piano instabile.
Fig. 15b
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
165
Esercizio 6 • Progressioni di salti con flessione dell’arto inferiore
Fase I - Salto con flessione degli arti inferiori e atterraggio morbido: l’atleta in posizione bipodalica con i piedi divaricati, circa come
la larghezza del spalle; inizia con una flessione del tronco mentre porta le braccia dietro, dopo il caricamento salta in alto portando le
ginocchia più in alto possibile; nel punto più alto del salto l’atleta dovrebbe essere posizionato in aria con le cosce parallele al suolo;
l’atterraggio deve essere morbido iniziando dalla punta del piede fino a metà piede sempre con le ginocchia distanziate (fig. 16).
L’atleta non deve continuare questa esercitazione se non riesce a controllare la forza di caduta o a tenere le ginocchia allineate parallelamente durante l’atterraggio.
Fig. 16
Fase II - Doppio salto con flessione degli arti: simile all’esercizio precedente, ma con un ulteriore salto effettuato immediatamente
dopo il primo salto. L’atleta deve concentrarsi sul mantenimento di un buon equilibrio e minimizzare il tempo di appoggio a terra tra
i salti.
Fase III - Ripetuti salti con flessione degli arti: come il precedente esercizio senza fermarsi dopo il secondo ma continuando per diversi
salti.
Fase IV - Salto laterale con flessione dell’arto inferiore: l’atleta inizia in posizione bipodalica con i piedi divaricati come la larghezza
delle spalle; inizia con una flessione del tronco mentre porta le braccia dietro il tronco, dopo il caricamento salta lateralmente in modo
da superare una barriera disposta per terra; nel punto più alto del salto, l’atleta dovrebbe essere posizionato in aria con le cosce parallele al suolo; dopo l’atterraggio si riparte con un identico salto di ritorno nella posizione iniziale.
Fase V - Salti laterali continuati con flessione dell’arto inferiore. Come il precedente esercizio ma con più ripetizioni di salti sulla
barriera tracciata per terra.
166
S. COLONNA
Esercizio 7 • Progressioni di affondi
Fase I - Affondi frontali: da posizione eretta l’atleta inizia facendo un passo in avanti cercando di esagerarne la lunghezza a tal
punto che il suo arto anteriore sia posizionato con il ginocchio
flesso a circa 90° e la gamba completamente verticale; l’arto
posteriore deve essere il più diritto possibile e il tronco verticale,
i fianchi il più basso possibile; l’esercizio viene completato con
il ritorno alla posizione di partenza (fig. 17).
Fase II - Deambulazione con affondi: l’atleta esegue un affondo,
come il precedente esercizio, ma questa volta, invece di tornare alla posizione di partenza procede in avanti con un affondo
sull’arto opposto. Incoraggiare l’atleta a eseguire l’affondo
sull’arto anteriore sufficientemente lontano in modo che, durante
l’affondo, il suo ginocchio non sia più avanti della caviglia. Un
metodo alternativo di eseguire l’esercizio è quello di mantenere
il centro di gravità costantemente basso e procedere con una serie
di affondi, ciò aumenta l’intensità dell’esercizio e tenta di imitare
movimenti che si verificano di frequente nello sport.
Fig. 17
Fase III - Affondi consecutivi con un sovraccarico unilaterale:
l’atleta esegue un affondo alterando gli arti e tenendo un manubrio in una mano. L’atleta viene incoraggiata ad eseguire l’affondo con l’arto anteriore abbastanza lontano in modo che il suo
ginocchio non avanzi oltre la caviglia (fig. 18). L’esercizio viene
ripetuto con il sovraccarico tenuto con l’altra mano.
Fase IV - Affondi consecutivi con sovraccarico e rotazione del
tronco: una serie di affondi consecutivi, come l’esercizio precedente, ma questa volta il sovraccarico è tenuto con le braccia
vicino al petto e ad ogni passo viene realizzata una torsione del
tronco dal lato dell’arto anteriore o dell’arto posteriore. Come
l’esercizio precedente incoraggiare l’atleta ad un lungo affondo
in modo che il ginocchio dell’arto anteriore non sia più avanti
della caviglia.
Fig. 18
Fase V - Affondi consecutivi con sovraccarico elevato sopra la testa: dalla posizione di partenza l’atleta esegue un affondo mentre
solleva i manubri sopra la testa procede in avanti con un affondo
sull’arto opposto. Il peso dovrebbe muoversi su e giù con lo stesso ritmo e direzione dell’affondo (fig. 19). Incoraggiare l’atleta
ad un affondo lungo.
Fig. 19
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
167
Esercizio 8 • Progressione di salti con affondo
Fase I - Salti con affondo: l’atleta inizia in una posizione di affondo con l’anca e il ginocchio anteriore flesso a 90° posizionato direttamente sopra la caviglia; l’arto posteriore è esteso a livello dell’anca e del ginocchio, fornendo un supporto minimo per la posizione;
l’atleta deve saltare in alto, mantenendo la posizione di partenza sia durante la fase di volo che di atterraggio; il salto si ripete il più rapidamente possibile cercando di raggiungere la massima altezza. L’atleta deve essere incoraggiata a tenere la schiena dritta, utilizzare
l’arto posteriore solo per bilanciare la posizione, mentre la spinta verticale si ottiene con la gamba anteriore; le percentuali di sostegno
sono circa l’80% per l’arto anteriore e il 20% per il posteriore.
Fase II - Salti a forbice: la partenza è come l’esercizio precedente, durante la fase di volo si invertono gli arti, in modo che la spinta si
alterni su i due lati (fig. 20a).
Fig. 20a
Fase III - Salti con affondo e sovraccarico
su una sola mano: come l’esercizio in fase I
con in più un manubrio tenuto in una mano
(fig. 20b). L’esercizio viene ripetuto con il
manubrio sorretto dalla mano opposta.
Fase IV - Salti a forbice con sovraccarico
unilaterale: come l’esercizio di fase II con
un peso tenuto in una mano. L’esercizio
viene ripetuto con il manubrio sorretto dalla mano opposta.
Fase V - Salti a forbice con palla: come
l’esercizio precedente con la variante che
il sovraccarico è costituito da una palla sorretta da entrambe le mani davanti al tronco
(fig. 21).
Fig. 21
Fig. 20b
168
S. COLONNA
Esercizio 9 • Progressione specifica per gli ischiocrurali
Fase I - Ponte bipodalico su superficie instabile: l’atleta si pone in posizione supina con l’anca e le ginocchia flesse e i piedi appoggiati
su una superficie instabile (fig. 22a); estende le anche in modo da sollevare il tronco da terra eseguendo un ponte pelvico (fig. 22b).
Questa posizione dovrebbe essere mantenuta per 3 secondi prima di proseguire con la ripetizione successiva.
Fig. 22a
Fig. 22b
Fase II - Ponte monopodalico su superficie instabile: come l’esercizio precedente con la differenza che l’appoggio sul sistema instabile
è monopodalico (fig. 22c, fig. 22d). Questa posizione dovrebbe essere tenuta per 3 secondi.
Fig. 22c
Fig. 22d
Fase III - Ponte monopodalico con sovraccarico su superficie instabile: come l’esercizio precedente con l’aggiunto di un peso sull’anca in estensione.
Fase IV - Ischiocrurali con arrotolamento del tronco su swiss ball in posizione supina: l’atleta si pone in posizione supina con l’anca e
il ginocchio flesso, con entrambi i talloni appoggiati sulla swiss ball (fig. 22e); estende le anche ed eleva il bacino da terra avvicinando
i talloni ai glutei (fig. 22f).
Fig. 22e
Fig. 22f
Fase V - Ischiocrurali con arrotolamento con tocco laterale (Russian Hamstring Curl): l’atleta inizia in ginocchio con un partner che
fornisce sostegno spingendo sui piedi e reggendo un elastico resistente ancorato al tronco dell’atleta; l’atleta attraverso l’attivazione eccentrica degli ischiocrurali controlla l’abbassamento del tronco e l’estensione del ginocchio; una volta toccato il pavimento con il petto
l’atleta ruota il tronco e ritorna alla posizione originale; il partner dovrebbe fornire una assistenza sufficienza in modo che l’esercizio
possa essere eseguito senza flettere l’anca.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
169
Esercizio 10 • Progressione di salti monopodalici in rotazione
Fase I - Salto e arresto monopodalico con rotazione di 90°: la posizione di partenza per questo salto è con l’atleta in un semi-flessione
sul singolo arto; il salto dovrebbe essere eseguito cercando di raggiungere l’altezza massima, mantenendo un buon equilibrio dopo
l’atterraggio; durante la fase di volo, l’atleta deve ruotare di 90°; l’atterraggio avviene sulla stessa gamba e deve essere effettuato con
la flessione del ginocchio a circa 90°; la posizione di atterraggio dovrebbe essere mantenuta per un minimo di tre secondi per essere
considerata valida. Fare eseguire questo salto con cura per proteggere l’atleta da infortuni. Si inizia con un salto sub massimale, in
modo che possa sperimentare la difficoltà dell’esercizio; progressivamente si incrementa l’altezza del salto quanto l’atleta migliora la
sua capacità di tenere il finale dell’atterraggio. L’atleta deve mantenere la sua attenzione lontano dai piedi, per contribuire a evitare la
troppa inclinazione in avanti.
Fase II - Progressione di salti monopodalici in rotazione ed atterraggio su tappetino: come l’esercizio precedente con l’inserimento
dell’atterraggio su una superficie morbida, tipo tappetino. Fare eseguire questo salto con cura per proteggere l’atleta da un infortunio
Fase III - Progressione di salti monopodalici in rotazione, atterraggio su tappetino e presa di una palla: come l’esercizio precedente con
l’inserimento di una ulteriore difficoltà rappresentata dalla presa e rilancio di una palla lanciata.
Fase IV - Progressione di salti monopodalici in rotazione con atterraggio su tappetino: la posizione di partenza per questo salto è con
l’atleta in semi-flessione monopodalica; il salto dovrebbe essere eseguito per raggiungere l’altezza massima, pur mantenendo una
buon equilibrio dopo l’atterraggio; durante la fase di volo l’atleta dove ruotare di 180°; l’atterraggio avviene sulla stessa gamba e deve
essere effettuato con la flessione del ginocchio in profondità a circa 90°; l’atterraggio, da effettuarsi su un tappetino, dovrebbe essere
mantenuto per un minimo di tre secondi.
Fase V - Progressione di salti monopodalici in rotazione con atterraggio su tappetino e presa e rilancio di una palla: come l’esercizio
precedente con l’inserimento della presa di una palla lanciata subito dopo l’atterraggio (fig. 23).
Fig. 23
170
S. COLONNA
Esercizio 11 • Progressione di lateroflessione del tronco
Fase I - Crunch laterale sul BOSU (parte rotonda): l’atleta inizia distesa su un fianco con l’anca nel centro del BOSU disposto con la
parte rotonda in alto; le braccia incrociate sul petto o con le mani dietro la testa; i piedi e le gambe devono essere ancorate da parte del
trainer o ad un oggetto fisso (fig. 24a); l’atleta procederà ad effettuare delle inclinazioni laterali del tronco, piegandosi lateralmente a
livello della vita, per il numero di ripetizioni prescritte (fig. 24b).
Fig. 24a
Fig. 24b
Fase II - Crunch laterale: l’atleta
inizia in posizione supina con
le mani incrociate al petto o
dietro la testa; flette l’anca e il
tronco; attraverso una torsione
del tronco cerca di toccare con
il gomito il ginocchio opposto
(fig. 25).
Fase III - Crunch laterale su
un rialzo con presa e rilancio
di una palla: come l’esercizio
di fase I con l’inserimento di
una palla che deve essere presa
e rilanciata con un partner
per aumentare la diff icoltà
dell’esercizio.
Fase IV - Crunch laterale sulla
swiss ball: come l’esercizio in
fase I ma questa volta eseguito
su una swiss ball (fig. 26a,
fig. 26b).
Fig. 25
Fig. 26a
Fig. 26b
Fase V - Crunch laterale sulla swiss ball con rilancio di una palla: come l’esercizio di fase IV con l’inserimento di presa e rilancio di
una palla.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
171
Esercizio 12 • Progressioni di flessione del tronco
Fase I - Doppio Crunch su rialzo stabile: l’atleta inizia in posizione supina su un panchetto o un oggetto simile; flette il tronco simultanea con flessione dell’anca (fig. 27).
Fig. 27
Fase II - Doppio Crunch su
rialzo stabile con torsioni
del tronco: l’atleta inizia
in posizione supina su un
panchetto con le braccia al petto,
flette il tronco simultaneamente
all’anca e contemporaneamente
ruota il tronco dalla parte
opposta del cingolo pelvico in
modo da toccare con il gomito
il ginocchio opposto (come
esercizio 11 fase II).
Fase III - Torsioni del tronco su
piano instabile con palla: l’atleta
inizia seduto sul lato arrotondato
di un BOSU con i piedi sollevati
da terra, tenendo con entrambe le
mani una palla; si procederà alla
torsione del tronco da entrambe
le parti facendo toccare, per ogni
ripetizione, la palla per terra
(fig. 28).
Fase IV - Doppio Crunch su
Fig. 28
piano instabile: l’atleta inizia
seduto sul lato arrotondato del BOSU; flette il tronco simultaneamente con la flessione dell’anca e ginocchio.
Fase V - Doppio Crunch su rialzo instabile con torsioni del tronco: come l’esercizio in fase II però questa volta eseguito su un piano
instabile (Bosu) (fig. 29).
Fig. 29
172
S. COLONNA
Esercizio 13 • Progressioni di estensione del tronco
Fase I - Iperestensioni su swiss ball: l’atleta inizia in posizione prona sulla swiss ball con il trainer che ancora i piedi al pavimento
(fig. 30a); il movimento inizia sollevando il tronco fino ad arrivare alla posizione di lieve iperestensione (fig. 30b). La posizione deve
essere mantenuta per una breve pausa e per poi ritornare alla posizione di partenza.
Fig. 30a
Fig. 30b
Fase II - Iperestensioni su swiss ball con sollevamento di una palla medica: l’atleta inizia in posizione prona sulla swiss ball con un
partner che ancora i piedi al pavimento (fig. 31a); il movimento inizia sollevando il tronco fino ad arrivare alla posizione di lieve iperestensione, come l’esercizio precedente; inoltre, mentre esegue l’estensione del tronco deve portare una palla medicinale alla massima
estensione della spalla e del gomito (fig. 31b).
Fig. 31a
Fig. 31b
Fase III - Iperestensioni su swiss ball con sollevamento di sovraccarichi: l’atleta inizia in posizione prona sul swiss ball con un partner
che ancora i piedi al pavimento; il movimento inizia sollevando il tronco fino ad arrivare alla posizione di lieve iperestensione, come
l’esercizio precedente; la posizione deve essere mantenuta, mentre l’atleta porta in alto due manubri.
Fase IV - Iperestensioni su swiss ball con sollevamento laterale di una palla medica: come l’esercizio in fase II ma questa volta la palla
medica va sollevata in alto e di lato.
Fase V - Iperestensioni su swiss ball con presa e rilancio di una palla medica: come l’esercizio precedente con l’inserimento della presa
e rilancio della palla medica.
Le catene miofasciali in medicina manuale - ARTO INFERIORE: GINOCCHIO
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