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Il giorno 2 luglio, nella splendida cornice dell`Orto Botanico

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Il giorno 2 luglio, nella splendida cornice dell`Orto Botanico
ATTI
5th INTERNATIONAL MEETING ON
CANINE AND FELINE CARDIOVASCULAR DISEASE
Il giorno 2 luglio, nella splendida cornice dell’Orto Botanico della città di Napoli, si è svolto il 5°
Meeting Internazionale sulle Cardiopatie del cane e del gatto, dal titolo”Le più comuni
Angiocardiopatie Congenite del cane. Aspetti clinico-diagnostici e nuovi approcci terapeutici.”
Il seminario è stato organizzato nell’ambito del Corso di Perfezionamento in Cardiologia dei Piccoli
Animali (www.cardiovet.unina.it), che si svolge annualmente presso la Facoltà di Medicina
Veterinaria dell’Università Di Napoli “Federico II, con il Patrocinio dell’Ateneo Federiciano e del
Polo delle Scienze e delle tecnologie per la Vita.
L’inizio dei lavori è stato preceduto da una breve introduzione curata dal Prof. Angelo Persechino,
chairman della serata, che ha illustrato il programma scientifico ed ha presentato i relatori. Il primo
a prendere la parola è stato il Prof. Paolo Ciaramella, Professore Associato di Semeiotica Medica
Veterinaria e Direttore del Corso di Perfezionamento presso l’Ateneo Federiciano, il quale ha
effettuato un breve escursus sulle più comuni patologie cardiache congenite del cane. La seconda
relazione è stata presentata dalla Prof.ssa Sydney Moise, Direttore del Servizio di Cardiologia della
Cornell University USA, dove svolge attività di ricerca e didattica clinica, la quale ha illustrato le
tecniche non invasive di trattamento della Stenosi Polmonare (SP) e di occlusione del Dotto
Arterioso Pervio (PDA). Ha concluso i lavori il Prof. James Flanders, che ricopre l’incarico di Prof.
Associato e Direttore della Sezione di Chirurgia dei Tessuti Molli presso la Cornell University
USA, il quale ha presentato una relazione dal titolo “La terapia chirurgica classica del Dotto
Arterioso Pervio nel cane.”
Le malattie cardiache congenite (CHD) sembrano essere il risultato dell’ interazione tra fattori
genetici ed ambientali multipli, e riconoscono sicuramente una predisposizione di razza, questo
soprattutto per i cani nei quali una trasmissione poligenica è stata dimostrata. In particolare sembra
che alcuni geni possano essere coinvolti nella genesi delle cardiopatie congenite, al pari di quanto
riportato in medicina umana; tra questi è possibile ricordare il gene NKX2.5, i GATA family
(GATA4), T-box genes ed infine gli HAND family. Recentemente, è stato inoltre dimostrato che
anomalie localizzate a livello del Cromosoma 9 sembrano essere responsabili di una forma di
displasia tricuspidale del Labrador.
Tra le forme di CHD, sicuramente il PDA rappresenta la malformazione più comune nel cane.
Considerando tutti i dati riportati in letteratura su 2382 cani, si è visto che il PDA ha un incidenza
del 26% circa, la SAS (Stenosi Sub Aortica) del 24% circa, la PS (Stenosi Polmonare) del 17%
circa, la TM (Displasia Mitralica) del 8.6% ed, infine, la Displasia Tricuspidale di circa il 4%.
Come è noto, il Dotto Arterioso fetale deriva dal sesto arco aortico di sinistra, e connette l’arteria
polmonare con l’aorta discendente prossimale, consentendo durante la vita fetale il passaggio di
sangue ossigenato alla circolazione sistemica. Dopo la nascita, l’aumento improvviso della tensione
di ossigeno arterioso inibisce le prostaglandine vasodilatanti locali, con conseguente contrazione
della muscolatura liscia del dotto e sua chiusura funzionale (7-10 giorni). Nei pazienti che
presentano mancata chiusura del dotto, sono state individuate anomalie istologiche a carico della
parete che, fisiologicamente, è formata da uno strato di muscolatura liscia circonferenziale estesa
per tutta la lunghezza del dotto; nei pazienti che hanno, alla nascita, una elevata probabilità di
sviluppare un PDA, la porzione di muscolatura liscia presente è molto scarsa.
Secondo il fondamentale contributo dato dal lavoro di Buchannan e Patterson (2003), la maggior
predisposizione genetica di alcuni pazienti a sviluppare un PDA, determina una estensione della
struttura non contrattile, propria della parete aortica, anche livello del dotto, riducendo così
progressivamente la sua capacità di sottostare ad una fisiologica chiusura.
Nel PDA tipico, sinistro-destro, la pressione aortica è più elevata della pressione arteriosa
polmonare, per cui il sangue passa dall’aorta all’arteria polmonare durante tutto il ciclo cardiaco.
Ciò determina un soffio continuo dalla caratteristica sonorità, un flusso polmonare aumentato con
segni di ipertensione ed edema polmonare, e un sovraccarico volumetrico con dilatazione diastolica
del ventricolo e dell’atrio sinistro. Il ventricolo sinistro va incontro, inoltre, ad una ipertrofia
eccentrica cui segue dilatazione, e segni di insufficienza mitralica secondaria. Nel PDA inverso
(raro), con shunt destro-sinistro, il sangue passa dall’arteria polmonare all’aorta discendente, poiché
le resistenze vascolari polmonari sono maggiori rispetto alla circolazione sistemica, per cui si
avranno segni di ipertrofia ventricolare destra, assenza di soffi continui, tremori del treno posteriore
e, soprattutto, clinicamente sarà osservabile una cianosi differenziale, con normale ossigenazione
dei comparti prossimali del corpo rispetto alle porzioni distali. A causa di questo meccanismo si
instaurano segni di insufficienza renale, con aumento della produzione di eritropoietina e
policitemia grave.
In campo veterinario la maggior parte dei PDA viene ancora trattata chirurgicamente. La correzione
chirurgica, effettuata mediante legatura è da considerare risolutiva: essa va compiuta nel più breve
tempo possibile dopo la diagnosi, ed ha la sua complicanza più grave nella rottura del dotto stesso
durante la dissezione, oppure nella rottura dell’aorta. La chiusura percutanea del dotto con metodica
mini-invasiva, rappresenta oggi una valida alternativa alla terapia chirurgica tradizionale. Esistono
diversi dispositivi utilizzabili, in parte ancora troppo costosi, e che necessitano per essere rilasciati,
di cateteri di calibro adeguato ai pazienti. Ad oggi, la metodica mini-invasiva più utilizzata è quella
che prevede l’utilizzo di un coil a rilascio controllato e non controllato. Il dispositivo, formato da
acciaio inossidabile e fibre di Dacron, viene trasportato attraverso il catetere fino al lume del vaso
da occludere, dove viene rilasciato. Ovviamente il successo della procedura è legato all’utilizzo di
un coil di calibro adeguato, e soprattutto al corretto rilascio del dispositivo all’interno del dotto. La
conoscenza anatomica del dotto, e soprattutto la determinazione del suo diametro minimo sono
elementi fondamentali per decidere quali pazienti sono i migliori candidati per l’intervento.
Normalmente il metodo d’elezione per visualizzare il dotto è quello angiografico, che prevede
l’introduzione di un catetere, provvisto di fori su più lati, attraverso l’arteria femorale fino al tratto
discendente dell’aorta. Una volta in sede, viene iniettato rapidamente il mezzo di contrasto che
permette di visualizzare il profilo del dotto e i due vasi comunicanti. Questo rappresenta il momento
più critico per la riuscita dell’intervento, poiché bisogna scegliere un dispositivo che abbia un
diametro esterno pari ad almeno il doppio del diametro minimo del dotto. Se il diametro appare
adeguato, il catetere viene spinto nel dotto e il coil può essere rilasciato. Nella maggior parte dei
pazienti, in meno di quindici minuti il dotto si oblitera. Una volta posizionato il coil, la sua
dislocazione è un reperto abbastanza infrequente, mentre può residuare un piccolo flusso rilevabile
con le metodiche ultrasonografiche. Questo reperto è motivo ancora oggi di discussione, ma si è
visto, analogamente a quanto osservato nei pazienti umani pediatrici, che tale flusso non è
emodinamicamente significativo e tende a scomparire del tutto nel giro di 12 mesi. Le complicanze
associate a questa metodica sono rappresentate da possibili emorragie nel sito di accesso, e dalla
embolizzazione polmonare od aortica, come conseguenza di un non ottimale posizionamento. In
entrambi i casi non sono state rilevate conseguenze clinicamente significative. Un ultimo cenno
merita la tecnica di ecocardiografia transesofagea, che consente di ottenere informazioni
anatomiche dettagliate e può sostituire l’uso del fluoroscopio.
La PS rappresenta, come già detto, il terzo difetto cardiaco congenito più comune nel cane. Spesso
insorge isolatamente, ma può anche accompagnarsi ad altre anomalie cardiache. La classificazione a
tutt’oggi in uso in medicina veterinaria, distingue la Stenosi Polmonare di tipo A e di tipo B, benché
nella pratica si riscontri un ampio spettro di forme intermedie assimilabili a quelle descritte in
campo umano. Il tipo A presenta anulus vavolare di dimensioni normali e stenosi da fusione dei
lembi valvolari. Questo tipo di stenosi non si accompagna ad altre malformazioni e si può
riscontrare in quasi tutte le razze canine senza specifiche prevalenze. Il tipo B è caratterizzato da
anulus valvolare ipoplasico con lembi valvolari ispessiti e rudimentali. Questo morfotipo si
riscontra più spesso nelle razze brachicefale, con una prevalenza nei Boxer, nei Bulldog e negli
American Staffordshire. Nei cani di razza Bulldog è consigliabile eseguire
sempre una
coronarografia, poiché in questa specie è stata descritta una anomalia vascolare, caratterizzata da
una singola arteria coronaria che origina dal seno del Valsalva e si divide in due branche. Quella di
sinistra circonda il tronco polmonare appena sotto la valvola, provocando una stenosi
sottovalvolare. I pazienti affetti da PS spesso sono completamente asintomatici, oppure manifestano
segni di scompenso destro, con ipertrofia ventricolare destra. Clinicamente il soffio udibile è
localizzato in posizione molto anteriore, e si può accompagnare ad ascite e distensione delle vene
giugulari.
Per valutare la gravità della patologia, anche in previsione di un eventuale trattamento terapeutico, è
necessario misurare la pressione a monte e a valle della valvola. La misurazione può avvenire
direttamente, a livello della cavità cardiaca, o indirettamente, mediante l’ecocardiografia Doppler.
In base a questi parametri la PS è considerata di bassa gravità -e quindi non suscettibile di
intervento-, quando il gradiente pressorio è ≤ 50mmHg; di media gravità quando il gradiente è
compreso fra 50/70mmHg; molto grave quando il gradiente pressorio supera i 75mmHg. In questi
due ultimi casi l’intervento di valvuloplastica mediante cateterismo rappresenta, analogamente a
quanto si verifica in umana, il trattamento d’elezione. La valvuloplastica, con l’ausilio delle
tecniche fluoroscopiche, si può eseguire mediante accesso giugulare o femorale, con l’animale in
decubito dorsale o laterale, a seconda delle preferenze di chi esegue l’intervento. Una guida
metallica viene inserita attraverso il catetere fino all’arteria polmonare principale; a questo punto la
guida viene sfilata per permettere l’introduzione del dispositivo balloon (Balt), che si posiziona a
livello dell’ostio valvolare. In questa sede, si procede alla dilatazione del palloncino, che viene
“gonfiato” mediante iniezione di soluzione salina, per due volte e per un massimo di 10 secondi, fin
quando il manicotto causato dalla pressione della valvola stenotica sul palloncino scompare del
tutto. Infine è necessario ricordare che i pazienti che presentano un anello fibroso sottovalvolare
non sono i migliori candidati per la riuscita dell’intervento. Dalle osservazioni effettuate, si può
concludere che anche la sopravvivenza ad un anno dall’intervento si assesta su una percentuale
abbastanza alta, e che il mantenimento di un gradiente pressorio adeguato si verifica soprattutto nei
soggetti con PS di tipo A.
In conclusione la diagnosi delle CHD risulta, talvolta, ancora una sfida in campo veterinario,
sebbene l’impiego dell’ultrasonografia ha in quest’ultimi anni migliorato notevolmente la qualità
della diagnosi e, quindi, la precocità dell’intervento terapeutico. L’impiego del ballon o del coil
rappresentano, oggi, una concreta realtà terapeutica alla portata del Medico Veterinario, ponendosi,
nella maggior parte dei casi, come una soluzione capace di migliorare o ripristinare la qualità di vita
del paziente.
Dott.ssa Grazia Brignola
Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie
Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Napoli “FedericoII”
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