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Purché l`etica non diventi… etichetta!

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Purché l`etica non diventi… etichetta!
R ELAZIONI P UBBLICHE
Ugo D. Perugini
Il ruolo delle RP risulta destinato ad assumere un valore nel futuro,
perché potrebbero rappresentare uno strumento che garantirebbe
una maggiore trasparenza nei comportamenti delle imprese
Sta cambiando il ruolo degli operatori
Purché l’etica non
diventi… etichetta!
✎
Un interessante convegno svoltosi alla
IULM, in occasione del decennale dell’apertura dei corsi in Relazioni Pubbliche,
ha analizzato, attraverso i dati di una
ricerca, come cambia il ruolo degli operatori di questo settore, da costruttori di
immagine a gestori della reputazione
delle aziende
Oggi, quasi nessuno più le chiama
“relazioni pubbliche”.
Anche perché questo termine ha assunto
un valore più ampio, fino a comprendere
un’intera disciplina o categoria di professionisti. Le imprese fanno rientrare le RP
nel calderone della “comunicazione”
oppure le chiamano “relazioni esterne o
istituzionali”, mentre i più anglomani,
“corporate” o “organizational communication”. In ogni caso, però, la parolachiave che ne caratterizza lo spirito, cioè
“relazione”, resta più che mai viva.
Infatti le RP – che noi continueremo
a chiamare così per semplicità – presuppongono da parte dell’azienda l’ascolto
dei propri interlocutori (shareholder,
cioè azionisti, ma anche stakeholder, cioè
portatori di interesse in generale), privilegiando il dialogo al monologo, il rapporto
simmetrico a quello unilaterale.
È chiaro che di fronte a queste, seppure
teoriche, finalità il ruolo delle RP risulta
destinato ad assumere un valore importante nel prossimo futuro, dal momento
che esse potrebbero rappresentare uno
strumento che, se adeguatamente utilizzato, garantirebbe una maggiore democrazia e trasparenza nei comportamenti
delle imprese.
E tutti sappiamo quanto ce ne sia bisogno, soprattutto dopo certi gravi episodi
di malcostume manageriale, di cui sono
ancora piene le cronache dei giornali.
Ottimismo giustificato
Tale ottimismo sembrerebbe giustificato
anche dai fatti, visti i risultati di una
recente ricerca, diretta dal prof. Emanuele
Invernizzi della IULM, l’università di
lingue e comunicazione di Milano, su un
panel di primarie aziende italiane; risultati che permettono di intravedere nell’atti-
Apr/Mag 2004 - dm&c
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R ELAZIONI P UBBLICHE
vità di RP l’emergere di un ruolo sempre
più strategico nel governo delle imprese e
delle loro organizzazioni.
I cambiamenti in corso
A cosa è dovuto questo cambiamento?
Quali componenti entrano in gioco?
La risposta non è semplice. Ci troviamo
di fronte a una crisi – probabilmente
irreversibile – del modello che ha caratterizzato la storia dei rapporti tra impresa
e pubblico negli ultimi anni. Si sta affermando, ad esempio, con sempre maggiore
evidenza, il valore della comunicazione
interpersonale a scapito di quella incentrata esclusivamente sulla pubblicità.
La strada giusta sembra quella dell’ascolto,
delle relazioni di lunga durata, della fiducia reciproca.
La famosa teoria della “strategia cooperativa” di John Nash – matematico a cui è
stato dedicato il film di successo, “A beautiful mind” – sembra prevalere, accanto al
bisogno di una maggiore austerità nella
comunicazione. Inoltre, dalle persone e
dal mercato emerge, in modo sia spontaneo che indotto, una forte esigenza di
ridefinizione etica dei comportamenti e
delle relazioni.
Non è sufficiente dare visibilità e immagine a un’azienda per accreditarla. A questo
proposito, tornano in mente le parole di
Finn quando nel 1961 sosteneva che
“l’immagine è il frutto di una deliberata
costruzione spesso priva di ogni rapporto
realistico con l’identità profonda di
un’impresa”. O quelle di Bernays , il quale
affermava che “il termine immagine
evoca il fatto che le relazioni pubbliche
hanno a che fare con le illusioni piuttosto
che con la realtà”.
Immagine e reputazione
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dm&c - Apr/Mag 2004
Oggi affermazioni simili provocano
reazioni negative.
Sta, infatti, prevalendo l’idea che l’immagine si debba costruire attraverso la reputazione, elemento centrale e imprescindibile non solo del successo di un’impresa
ma della sua stessa sopravvivenza.
Nella reputazione, d’altra parte, confluiscono aspetti emotivi, visione, leadership, performance finanziarie, contenuto
di prodotti e servizi, comportamenti
verso dipendenti e fornitori e, non ultimo, responsabilità (accountability, come
dicono gli inglesi) non solo manageriale,
che dovrebbe essere scontata, ma anche
sociale. Il mercato, infatti, chiede con
sempre maggiore insistenza alle imprese, non solo di essere rispettose della
legge ma anche di impegnarsi direttamente nel sociale.
D’altra parte, che valore avrebbero la
qualità e la moralità delle azioni compiute da un’impresa, dei risultati ottenuti,
dei fatti e dei comportamenti agiti
se non venissero adeguatamente diffusi
e comunicati al pubblico?
aziendali, però, non ci si attende solo che
favoriscano la trasparenza dell’impresa
nel suo modo di essere e di agire, ma che
sappiano gestire un fenomeno di comunicazione abbastanza recente, quello
della Corporate Social Responsibility
(CSR), che rappresenta una vera sfida
per il futuro. Con questo termine non si
vuole definire le semplici iniziative di
mecenatismo, filantropia, marketing
sociale, ma un nuovo modo di intendere
l’approccio dell’impresa con la società
allargata, secondo il principio che “ciò
che è bene per la società e bene anche per
l’impresa”. In questo ambito, rientrano
tutte quelle iniziative, come il rispetto
dell’ambiente, dei diritti umani, dello sviluppo comunitario, valori “intangibles”
che sono individuabili come comporta-
menti socialmente responsabili, indirizzati non solo alla stretta cerchia degli
stakeholders ma a tutti i componenti
della società.Secondo una recente ricerca,
il 71,2 % dei consumatori pagherebbe di
più per avere aziende etiche e il 93% dei
dipendenti si dimostrerebbe più motivato
e leale se l’impresa per cui opera fosse
un’impresa etica. Ma perché, come nel
gioco di parole del titolo, “l’etica non
diventi solo un’etichetta” – lo ripetiamo –
è necessario che chi opera nelle RP assuma un ruolo manageriale effettivo, non
solo tecnico ma anche strategico, che gli
consenta di disporre di tutti gli strumenti
gestionali, dall’audit alla pianificazione,
dal controllo al monitoraggio.
Una bella sfida! Ma vale la pena di provarsi
ad affrontarla.
Il nuovo ruolo delle PR e la
Corporate Social Responsibility
(CSR)
E’ questo il nuovo compito che attende
gli operatori delle RP?
Secondo alcuni studiosi, sì. Ed è, come
abbiamo già visto, assai impegnativo.
Sull’immagine, infatti, intesa come
dimensione esteriore e apparente dell’impresa, si può agire rapidamente con operazioni di propaganda, di facciata. Sulla
reputazione, è meno facile. Prima di
modificarla occorre tempo. E gli interventi richiesti sono diversi e coinvolgono,
per forza di cose, le stesse scelte strategiche dell’impresa. Da queste considerazioni, emerge che
il ruolo degli operatori
delle relazioni pubbliche e della comunicazione dovrà assumere un peso specifico
decisamente maggiore anche nella definizione delle politiche dell’impresa nelle
diverse fasi gestionali. Occorre che il
responsabile RP occupi una posizione di
rilievo nella stanza dei bottoni e disponga autonomamente di strumenti che gli
consentano di influenzare in senso etico i
comportamenti delle organizzazioni e
quindi di incidere sulla loro reputazione,
migliorandola. Dai responsabili delle RP
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