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V. Capasso, UNA INTRODUZIONE ELEMENTARE ALLA MISURA

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V. Capasso, UNA INTRODUZIONE ELEMENTARE ALLA MISURA
UNA INTRODUZIONE ELEMENTARE ALLA
MISURA DI HAUSDORFF
Vincenzo Capasso
MIRIAM e Dipartimento di Matematica, Universita’ degli Studi di
Milano
via Saldini 50, 20133 Milano, Italy,
email: [email protected]
.
LEZIONI TENUTE PRESSO IL DOTTORATO DI RICERCA IN
INFORMATICA-UNIVERSITÁ DI MILANO A.A. 1996-97
1
1
Funzioni a variazione limitata
Sia f : [a, b] −→ R e sia P : a = xo < x1 < . . . < xn = b ∈ P una generica
partizione di [a, b].
Poniamo
n
X
Vf (P ) :=
|f (xi ) − f (xi−1 )|.
i=1
La quantità
Vf (a, b) := sup Vf (P )
P ∈P
è detta variazione di f in [a, b].
Vf (a, b) < +∞
Def
⇐⇒
f è una funzione a variazione limitata.
Lemma 1.1 Se f è una funzione monotona su [a, b] a variazione limitata,
risulta:
Vf (a, b) = |f (b) − f (a)|.
Teorema 1.2 Ogni funzione a variazione limitata può essere rappresentata
come differenza di due funzioni monotone non decrescenti.
Dim. Sia f una funzione a variazione limitata su [a, b] e
v : x ∈ [a, b] 7−→ Vf (a, b) ∈ R+ .
Posto
ϕ=v−f
si ha per x0 < x00 :
ϕ(x00 ) − ϕ(x0 ) = [v(x00 ) − v(x0 )] − [f (x00 ) − f (x0 )].
Ma
|f (x00 ) − f (x0 )| ≤ Vf (x0 , x00 ) = v(x00 ) − v(x0 ),
per cui ϕ è monotona crescente come v, ed f = v − ϕ.
¤
Vale banalmente il contrario.
Lemma 1.3 Ogni funzione rappresentabile come differenza di due funzioni monotone è a variazione limitata.
Teorema 1.4 (di Lebesgue) Una funzione monotona f definita su un intervallo [a, b] ha quasi ovunque su questo intervallo una derivata finita.
Dim. Cfr. Kolmogorov-Fomin pag. 319.
¤
Teorema 1.5 (di Fubini) Una serie convergente
∞
X
Fn (x) =: F (x),
n=1
dove le Fn sono funzioni monotone non decrescenti su [a, b], può essere derivata
termine a termine q.o.:
X
Fn0 (x) = F 0 (x) q.o.
n
2
Tra le funzioni monotone più semplici vi sono le funzioni a salto:
Fissata una successione al più numerabile di punti {xn }n∈N in [a, b] ed una
successione sommabile di reali positivi {hn }n∈N si ponga
X
hn .
f (x) :=
n:xn ≤x
Si
•
•
•
•
verifica che:
f è monotona crescente;
f è continua da destra;
l’insieme dei punti di discontinuità coincide con {xn }n∈N ;
f è continua in tutti gli x 6∈ {xn }n∈N .
Lemma 1.6 Una funzione monotona ha al più una infinità numerabile di punti
di discontinuità di prima specie.
Teorema 1.7 Ogni funzione monotona e continua da destra può essere rappresentata come somma di una funzione monotona continua e una funzione a
salto, e questa rappresentazione è unica.
Dim. Col formalismo precedente siano
X
H(x) =
hn
e
ϕ := f − H
n:xn ≤x
(xn punti di discontinuità di f ).
Per x0 < x00 sarà ϕ(x00 ) − ϕ(x0 ) = [f (x00 ) − f (x0 )] − [H(x00 ) − H(x0 )].
Chiaramente
f (x00 ) − f (x0 ) ≥ H(x00 ) − H(x0 ),
per cui ϕ(x0 ) ≤ ϕ(x00 ) (monotonia).
Sia ora x∗ ∈ [a, b].
ϕ(x∗ −) = f (x∗ −) − H(x∗ −) = f (x∗ −) −
X
hn ,
n:xn <x∗
ϕ(x∗ +) = f (x∗ +) − H(x∗ +) = f (x∗ +) −
X
hn .
n:xn ≤x∗
Da cui
ϕ(x∗ +) − ϕ(x∗ −) = f (x∗ +) − f (x∗ −) − h∗ = 0
(h∗ salto di f (H) in x∗ ).
Dunque
f = ϕ + H.
L’unicità si prova più facilmente.
¤
Da quanto precede consegue:
Teorema 1.8 Ogni funzione a variazione limitata ha quasi ovunque derivata
finita.
3
Sia ϕ ∈ L1 (m) dove m è la misura di Lebesgue su R.
Se ϕ ≥ 0, la funzione
Z x
Φ(x) :=
ϕ(t)dt
a≤x
a
è una funzione monotona crescente in x.
Consegue dai teoremi precedenti che Φ ammette quasi ovunque una derivata
finita.
Si dimostra:
Teorema 1.9 Se ϕ ∈ L
à 1+ (m), allora
Z x
d
ϕ(t)dt = ϕ(x)
dx a
q.o.
Dim. Cfr. Kolmogorov-Fomin pag. 332.
¤
Definizione 1.10 Sia f : [a, b] −→ R. Si dice che f è assolutamente continua
se ∀ε > 0 ∃δ > 0 t.c. ∀{(ak , bk )}k∈{1,...,n} intervalli a due a due disgiunti con
n
X
(bk − ak ) < δ si ha
k=1
n
X
|f (bk ) − f (ak )| < ε.
k=1
Proposizione 1.11
f assolutamente continua
⇓
6⇑
f uniformemente continua
⇓
⇑ (sui limitati)
f continua
Dim. Esercizio.
¤
Proposizione 1.12 Ogni funzione assolutamente continua è a variazione limitata.
Dim. Cfr. Kolmogorov-Fomin pag. 338.
¤
Proposizione 1.13 Ogni funzione assolutamente continua può essere rappresentata come differenza di due funzioni assolutamente continue monotone
crescenti.
Dim. Cfr. Kolmogorov-Fomin pag. 339.
¤
Corollario 1.14 Una funzione assolutamente continua in [a, b] è q.o. derivabile
in [a, b].
4
Teorema 1.15 Se f ∈ L1 (m) su [a, b], allora
Z
x ∈ [a, b] 7−→ F (x) :=
x
f (t)dt
a
è assolutamente continua.
Dim. Se {(ak , bk )} è una famiglia di intervalli disgiunti,
¯
¯
n
n ¯Z bk
¯
X
X
¯
¯
|F (bk ) − F (ak )| =
f (t)dt¯
¯
¯ ak
¯
k=1
k=1
Z
n
X bk
≤
|f (t)|dt
k=1
Z
=
ak
Sn
|f (t)|dt.
k=1 (ak ,bk )
Z
[
Ma se m( (ak , bk )) −→ 0 , anche S
−→ 0.
¤
k (ak ,bk )
k
In particolare vale:
Teorema 1.16 F è assolutamente continuain [a, b] ⇐⇒ F è primitiva di una
funzione f ∈ L1 (m) su [a, b].
Lemma 1.17 Se la derivata di una funzione assolutamente continua è q.o.
nulla, allora la funzione è costante.
Dim. Cfr. Kolmogorov-Fomin pag. 340.
¤
Teorema 1.18 Sia f una funzione monotona crescente su [a, b].
Allora f 0 ∈ L1 (m) e si ha
Z b
f 0 (x)dx ≤ f (b) − f (a).
a
Dim. Possiamo supporre f continua in a e b.
Per definizione
f (x + h) − f (x)
f 0 (x) = lim+
h
h→0
|
{z
}
ϕh (x)
esiste finito per q.o. x ∈ (a, b).
Poichè ogni funzione monotona su [a, b] è L1 (m), sarà ϕh (x) ∈ L1+ (m).
Quindi, per il teorema di Fatou si ha che f 0 ∈ L1+ (m) e
Z b
Z b
Z b
0
f (x)dx =
lim+ ϕh (x)dx =
lim inf
ϕh (x)dx
+
a
a h→0
Z
a
h→0
b
≤ lim inf
+
ϕh (x)dx
#
"a Z
Z
1 b
1 b
f (x + h)dx −
f (x)dx
= lim inf
h a
h a
h→0+
" Z
#
Z
1 b+h
1 a+h
= lim inf
f (x)dx −
f (x)dx = f (b) − f (a).
h b
h a
h→0+
h→0
5
¤
Esempio
Sia
½
f (x) =
Si ha che ∀x 6=
1
2
0
1
se 0 ≤ x ≤ 12
se 12 < x ≤ 1
è f 0 (x) = 0, da cui segue:
Z
1
f 0 (x)dx = 0 < 1 = f (1) − f (0).
0
Esempio (Cantor)
Consideriamo l’intervallo [0, 1].
Sia
E1
E2
En
1 2
( , )
3 3
1 2
7 8
= ( , )∪( , )
9 9
9 9
..
.
= unione dei terzi intervalli centrali di ciò che rimane
eliminando da [0, 1] E1 ∪ E2 ∪ . . . ∪ En−1
=
L’insieme di Cantor è definito come
C := [0, 1] −
∞
[
En .
n=1
Dunque x ∈ C ⇐⇒ x può essere espresso tramite cifre 0 e 2.
Si verifica che:
• C è chiuso;
• C non è numerabile
• m(C) = 0
n
[
Siano A1 , A2 , . . . , A2n −1 i sottointervalli di
Ei ordinati in ordine crescente:
i=1
Es. n = 3
E1 ∪ E2 ∪ E3
1 2
1 2
7 8
1 2
19 20
7 8
25 26
=( , )∪( , )∪( , )∪( , )∪( , )∪( , )∪( , )
27 27
9 9
27 27
3 3
27 27
9 9
27 27
= A1 ∪ A2 ∪ . . . ∪ A7 .
Poniamo
Fn (0) = 0
k
Fn (x) = n
2
Fn (1) = 1
se x ∈ Ak , k = 1, 2, . . . , 2n − 1
6
completando per interpolazione lineare.
Es. n = 2
E1 ∪ E2
F2 (x)
1 2
1 2
7 8
= ( , ) ∪ ( , ) ∪ ( , ) = A1 ∪ A2 ∪ A3
9 9
3 3
9 9
1
se x ∈ A1
=
4
1
=
se x ∈ A2
2
3
=
se x ∈ A3
4
∧..........
...
...
...
...
...
...
............
....
...
.....
...
.....
...
.....
...
.....
.
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.....
...
.....
...
.....
..
.....
.....
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3 ...............
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4 .......
.....
...
.....
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..
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.....
.....
...
.....
.....
1 ...............
.....
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.....
2 .......
.....
...
.....
...
.....
.....
...
.
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.
...
.....
...
.....
.....
1 ................
.....
..................................................
.
...
.
.
.
4 ....
....
.....
...
.....
...
.....
...
.....
... ..........
... .....
.. .....
.
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..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
.
....
...
8
1
2
1
4
5
2
7
....
9
9
3
9
9
3
9
9
....
1
>
1
0
Si dimostra che
lim Fn (x) =: F (x)
n→∞
gode delle seguenti proprietà:
• F è continua e monotona crescente,
• F 0 = 0 q.o.;
per cui certamente
Z x
F 0 (t)dt = 0 < F (x) − F (0)
∀x ∈ (0, 1].
0
Si noti che (esercizio):
la funzione di Cantor è continua (uniformemente su [0, 1]), ma certamente non
è assolutamente continua.
Z b
Domanda: Per quali funzioni allora
f 0 (t)dt = f (b) − f (a) ?
a
7
Teorema 1.19 (di Lebesgue) La derivata f = F 0 di una funzione assolutamente continua F su [a, b] appartiene a L1 (m) e ∀x ∈ [a, b] vale:
Z x
f (t)dt = F (x) − F (a).
a
Dim. Limitiamoci al caso in cui F sia monotona crescente.
Allora
Z x
Φ(x) := F (x) −
f (t)dt
(1)
a
è anch’essa monotona crescente.
Per ogni x00 > x0 , per il Teorema 1.18 si ha
Z
Φ(x00 ) − Φ(x0 ) = F (x00 ) − F (x0 ) −
x00
f (t)dt ≥ 0.
x0
Ora, Φ è assolutamente continua perchè differenza di funzioni assolutamente
continue. Inoltre Φ0 (x) = 0 q.o.. Per il Lemma 1.17 sarà Φ ≡ cost.
Dalla (1), ponendo x = a si ha che F (a) = Φ(a) = cost. = Φ(x), per cui
Z x
F (a) = F (x) −
f (t)dt.
a
¤
Teorema 1.20 Ogni funzione f a variazione limitata può essere rappresentata,
in modo unico a meno di una costante, come somma di tre componenti
f =H +ψ+χ
che sono rispettivamente una funzione a salto, una assolutamente continua ed
una continua e singolare.
Dim. Già sappiamo che si può scrivere
f = H + ϕ,
dove H è a salto e ϕ è continua e a variazione limitata.
Poniamo
Z x
ϕ0 (t)dt
ψ(x) :=
a
e
χ(x) := ϕ(x) − ψ(x).
Segue allora che
d
d
χ(x) = ϕ0 (x) −
dx
dx
Z
x
ϕ0 (t)dt = 0
q.o.
a
e dunque χ è singolare, mentre ψ è assolutamente continua.
8
¤
2
Integrale di Stieltjes rispetto a misure
di Stieltjes
2.1
Generazione di una misura
Sia E un insieme del tutto arbitrario.
Definizione 2.1 Dicesi semianello di parti di E ogni famiglia B(E) tale che
1. A, B ∈ A =⇒ A ∩ B ∈ A
2. A, B ∈ A, A ⊂ B =⇒ ∃{An }1≤n≤m , An ∈ A, An ∩ An0 = ∅ per n 6= n0 t.c.
[
B−A=
An .
n
Es. L’unione Id degli intervalli limitati del tipo (a, b] è un semianello di parti
di R.
Definizione 2.2 Dicesi σ-anello di parti di E ogni famiglia B ⊂ P(E) che goda
delle seguenti proprietà:
1. A, B ∈ B =⇒ A ∪ B ∈ B;
2. A, B ∈ B =⇒ A − B ∈ B;
S
3. {An }n∈N ∈ B N =⇒ n An ∈ B.
Definizione 2.3 Se E ∈ A semianello, si dice che A è una semialgebra.
Definizione 2.4 Se E ∈ B σ-anello, si dice che B è una σ-algebra.
Definizione 2.5 Dicesi spazio probabilizzabile ogni coppia (E, B) dove E è un
insieme e B è una σ-algebra di parti di E.
Definizione 2.6 Sia B una σ-algebra di E. Dicesi misura positiva su B ogni
applicazione
µ : B −→ R̄+
che goda delle seguenti proprietà:
(M1) ∀B1 , B2 ∈ B, B1 ∩ B2 = ∅ : µ(B1 ∪ B2 ) = µ(B1 ) + µ(B2 );
P
S
(M2) ∀{Bn }n∈N ∈ B N , Bn ∩ Bm = ∅ per n 6= m : µ( n Bn ) = n µ(Bn ).
•
•
•
Se µ(E) ∈ R+ , si dice che µ è finita.
Se ∃k > 0 t.c. µ(B) ≤ k ∀B ∈ B, si dice che µ è limitata.
Se µ(E) = 1, si dice che µ è una misura di probabilità.
2.2
Teorema di prolungamento
Teorema 2.7 Sia S un semianello di parti di E e sia µ : S −→ R+ una
funzione d’insieme che goda delle seguenti proprietà:
n
[
(m1) ∀{Si }1≤i≤n ∈ S {1,...,n} a due a due disgiunti t.c.
Si ∈ S si ha
i=1
µ(
n
[
Si ) =
i=1
n
X
i=1
9
µ(Si );
(m2)
∀{Sn }n∈N ∈ S N a due a due disgiunti t.c.
[
Sn ∈ S si ha
n
[
X
µ( Sn ) =
µ(Sn ).
n
(m3)
∃{Sn }n∈N ∈ S t.c. E =
n
[
Sn .
n
Allora ∃! µ̄ : σ(S) −→ R̄+ misura sul σ-anello generato da S t.c.
µ̄|S = µ.
Esempio
Sia Id il semianello degli intervalli limitati (a, b] di R. Valgono le seguenti
proposizioni:
1. Sia µ una misura localmente finita1 su (R, BR ) e sia (fissato a ∈ R) F :
R −→ R cosı̀ definita:
½
µ((a, t]) se t ≥ a
F (t) :=
−µ((t, a]) se t < a
La funzione F è continua da destra e monotona crescente.
2. Sia F : R −→ R monotona crescente e continua da destra.
Allora esiste un’unica misura µ : BR −→ R̄+ tale che
µ((a, b]) = F (b) − F (a) ∀ (a, b] ∈ Id .
µ è detta misura di Borel-Stieltjes associata ad F .
Osservazione:
E’ chiaro che in 1. la F è unica a meno di una costante arbitraria.
La dimostrazione di 1. è semplice.
La dimostrazione di 2. si avvale del Teorema di prolungamento.
2.3
Misure complete
Definizione 2.8 Si dice che lo spazio di misura (E, B, µ) è completo se
B ∈ B, µ(B) = 0, A ⊂ B =⇒ a ∈ B.
Proposizione 2.9 Sia (E, B, µ) uno spazio di misura. Sia Bµ l’insieme delle
parti X di E t.c.
∃ B1 ∈ B, B2 ∈ B
t.c.
B1 ⊂ X ⊂ B2
e
µ(B2 − B1 ) = 0.
Allora
• B µ è un σ-anello contenente B;
• ∃! µ̄ : Bµ −→ R̄+ t.c. µ̄|B = µ;
• (E, B µ , µ̄) è completo.
1µ
è localmente finita se µ è finita sugli intervalli limitati di R.
10
Definizione 2.10 Il completamento della misura di Borel-Stieltjes associata
ad una funzione F continua da destra e monotona crescente è detto misura di
Lebesgue-Stieltjes associata ad F .
Se F è limitata su R
lim F (x) = F (+∞) ∈ R
x→+∞
lim F (x) = F (−∞) ∈ R
x→−∞
la relazione
F (x) = µ((−∞, x])
stabilisce una corrispondenza biunivoca tra le misure finite su R e le funzioni
continue a destra monotone crescenti.
Siano assegnate due misure ϕ e µ sullo spazio misurabile (E, B).
Definizione 2.11 Si dice che la misura ϕ è concentrata sull’insieme misurabile
A0 ∈ B se
ϕ(A) = 0 ∀A ⊂ E − A0 .
Si dice anche che A0 è il supporto della misura ϕ.
Definizione 2.12 La misura ϕ è discreta se il suo supporto è al più numerabile.
Ossia
X
∃ {cn }n∈N t.c ∀A ∈ B si ha ϕ(A) =
ϕ({ck }).
ck ∈A
Definizione 2.13 La misura ϕ si dice continua se ϕ({x}) = 0 ∀x ∈ E t.c.
{x} ∈ B e µ({x}) = 0.
Definizione 2.14 La misura ϕ si dice assolutamente continua rispetto alla
misura µ e si scrive
ϕ¿µ
se e solo se
µ(A) = 0 =⇒ ϕ(A) = 0,
A ∈ B.
Definizione 2.15 La misura ϕ si dice singolare rispetto a µ e si scrive
ϕ⊥µ
se il supporto di ϕ è un insieme di misura µ nulla:
∃A0 ∈ B
t.c.
µ(A0 ) = 0
e
ϕ(Ac0 ) = 0.
Proposizione 2.16 Se ϕ è tale che ϕ⊥µ e ϕ ¿ µ, allora ϕ ≡ 0.
Proposizione 2.17 Se f ∈ L1+ (µ), allora
Z
ϕ : A ∈ B 7−→
f dµ ∈ R+
A
è assolutamente continua rispetto a µ.
11
Proposizione 2.18 Se F è una funzione continua da destra e monotona crescente su R, e µF è la misura di Lebesgue-Stieltjes ad essa associata, allora
µF ¿ λ
⇐⇒
F assolutamente continua,
dove λ è la misura ordinaria di Lebesgue su R.
Teorema 2.19 (di Radon-Nikodym)
Sia µ una misura σ-finita e λ una misura su B. Sia λ ¿ µ.
Allora ∃ g : E −→ R̄+ misurabile tale che
Z
λ(A) =
g dµ.
(2)
A
Se h è un’altra funzione per cui vale (2), allora h = g µ-q.o..
Se λ è finita, allora g ∈ L
à 1+ (µ).
Si scrive
g=
dλ
,
dµ
ed è detta derivata di Radon-Nikodym di λ rispetto a µ.
Teorema 2.20 (di decomposizione di Lebesgue)
Sia µ una misura σ-finita sulla σ-algebra B e sia λ un’altra misura σ-finita su
B.
Allora λ ammette un’unica decomposizione
λ = λ1 + λ2
con λ1 ¿ µ e λ2 ⊥µ.
Dim. Sia m = µ + λ. Sia µ che λ sono ora assolutamente continue rispetto ad
m. Per il teorema di Radon-Nikodym ∃ f, g : E −→ R̄+ misurabili t.c.
dµ = f dm
e
dλ = g dm.
Sia
B = {ω ∈ E | f (ω) > 0},
C = B c = {ω ∈ E | f (ω) = 0}
e ∀A ∈ B sia
λ1 (A) = λ(A ∩ B)
λ2 (A) = λ(A ∩ C).
Chiaramente λ = λ1 + λ2 .
Inoltre
(a) λ1 ¿ µ,
(b) λ2 ⊥µ.
Infatti:
Z
(a) µ(A) = 0 ⇐⇒
f dm = 0 =⇒ f = 0
A
m-q.o. su A.
f > 0 su A ∩ B =⇒ m(A ∩ B) = 0 =⇒ λ(A ∩ B) = 0 ⇐⇒ λ1 (A) = 0.
12
Z
(b) λ2 (B) = λ(B ∩ C) = λ(∅) = 0, mentre µ(B c ) = µ(C) =
0 dm = 0.
¤
C
Sulla retta numerica R esiste la corrispondenza
λF ((−∞, x]) = F (x)
con F funzione continua da destra monotona crescente.
In questo caso il teorema di decomposizione di Lebesgue si specifica meglio
grazie al teorema di decomposizione della F per cui ogni misura di LebesgueStieltjes si può rappresentare sotto forma
λ F = λ F 1 + λ F 2 + λ F3 ,
dove
λF1 ¿ µ (µ misura di Lebesgue abituale su R),
λF2 continua e singolare,
λF3 discreta.
Purtroppo, mentre la parte assolutamente continua si può esprimere (per il
teorema di Radon-Nikodym) come integrale della sua derivata
Z
dλF1
λF1 (A) =
dµ
A dµ
e la parte discreta si può esprimere come somma di una famiglia numerabile
X
λF3 (A) =
pk ,
k:ck ∈A
per la componente continua e singolare λF2 non è possibile alcuna delle due
rappresentazioni precedenti.
13
3
Il teorema di Lebesgue per la densità metrica
Definizione 3.1 Sia E ∈ BR ed x0 ∈ R. Sia I un generico intervallo limitato
di R contenente x0 e sia µ(I) la misura di Lebesgue di I.
Si definisce densità metrica di E in x0 il limite seguente
µ(E ∩ I)
.
µ(I)
µ(I)→0
lim
La definizione appena data è ben posta, poichè si dimostra che tale limite esiste
q.o. in R. Vale infatti il seguente
Teorema 3.2 Sia E ∈ BR ed x0 ∈ R. Sia I un intervallo di R contenente x0 e
sia µ(I) la misura di Lebesgue di I. Allora
½
µ(E ∩ I)
1 per q.o. x0 ∈ E,
lim
=
0 per q.o. x0 6∈ E.
µ(I)
µ(I)→0
Dim. Si può sempre scrivere
Z
µ(E ∩ I) =
χE (x)dx
I
dove χE è la funzione indicatrice di E.
Consideriamo la funzione
Z x
f (x) :=
χE (y)dy.
a
f (β) − f (α)
β−α
·
¸
1
f (x0 ) − f (α)
f (β) − f (x0 )
lim
(x0 − α)
+ (β − x0 )
x0 − α
β − x0
|β−α|→0 β − α
1
[(x0 − α)f 0 (x0 ) + (β − x0 )f 0 (x0 )]
β−α
f 0 (x0 )
lim
|β−α|→0
=
=
=
Teo.1.9
=
χE (x0 )
q.o.
Sia I = [α, β] e osserviamo che
Z
Z β
χE (x)dx =
µ(E ∩ I) =
Z
β
a
a
α
α
χE (x)dx = f (β) − f (α).
χE (x)dx −
Pertanto
f (β) − f (α)
µ(E ∩ I)
q.o.
= lim
= f 0 (x0 ) =
lim
µ(I)
β−α
|β−α|→0
µ(I)→0
½
1
0
se x0 ∈ E
se x0 ∈
6 E
¤
Questo risultato si può estendere al piano R2 , considerando il
lim
r→0
µ(E ∩ Br (x0 ))
µ(E ∩ Br (x0 ))
= lim
,
r→0
µ(Br (x0 ))
πr2
dove Br (x0 ) è la bolla di raggio r e centro x0 , riottenendo
14
=1
=0
per q.o. x0 ∈ E,
per q.o. x0 6∈ E.
In parole:
per un punto tipico x0 di E, piccoli cerchi centrati in x0 sono interamente riempiti da punti di E; al contrario se x0 6∈ E.
Sempre nel piano, se F è una curva regolare
½
µ1 (F ∩ Br (x0 ))
1 q.o. in F
=
lim
0 q.o. in F c .
r→0
2r
Ma
µ2 (F ∩ Br (x0 ))
=0
r→0
πr2
lim
q.o. in R2 ,
mentre
µ1 (F ∩ Br (x0 ))
= ∞ per q.o. x0 ∈ F,
r→0
πr2
Questo perchè una curva regolare nel piano ha ”dimensione” 1.
Domanda: Come si può generalizzare questo concetto?
lim
4
Sia
1.
2.
3.
La misura di Hausdorff
E un insieme di Rn e sia {Un }n∈N un δ-ricoprimento di E:
Un 6= ∅;
sup{|x − y| : x, y ∈ Un } ≡ |Un | ≤ δ;
S
E ⊂ n Un .
Sia s ∈ R+ .
∀δ > 0 consideriamo
(
)
µ
¶s
X
|Un |
s
Hδ (E) := inf
b(s)
: {Un }n∈N è un δ-ricoprimento di E , (3)
2
n
dove b(s) ≡
π s/2
Γ( 2s +1)
Poniamo
Hs (E) := lim Hδs (E).
δ→0
N.B.: i) il limite esiste sempre in R̄+ ,
ii) se s = m intero, allora b(m) := bm rappresenta il volume della bolla
unitaria in Rm .
Definizione 4.1 Hs (E) è detta misura di Hausdorff s-dimensionale.
Si può dimostrare che:
Teorema 4.2 ∀s ∈ R+ , Hs è una misura (esterna nel senso di Caratheodory).
Valgono in particolare:
1. Hs (∅) = 0;
2. E ⊂ F =⇒ Hs (E) ≤ Hs (F );
15
3.
se {En }n∈N è una famiglia numerabile di Boreliani disgiunti, allora
[
X
Hs (En )
Hs ( En ) =
n
4.
se E ∈ BRn ,
n
Hn (E) = µn (E),
dove µn è la misura di Lebesgue su Rn .
In particolare, in Rn , si ha che:
H = µn ;
H1 = µ1 ;
H0 è l’usuale misura di conteggio (cioè H0 (E) = numero di punti in E);
Hm (E) = vol(E), se E è una ”superficie” m-dimensionale regolare, cioè se E è
una sottovarietà C 1 m-dimensionale.
Inoltre, se x0 ∈ Rn , r ∈ (0, +∞),
n
Hn (Br (x0 ))
=
Hs (Br (x0 ))
=
bn rn

 0
1

∞
se s > n
se s = n
se s < n
N.B.: In alcuni testi la misura di Hausdorff s-dimensionale è sempre definita
come limδ→0 Hδs (E), dove però Hδs (E) non è dato come nella (3), ma è definito
nel modo seguente:
(
)
X
s
s
Hδ (E) := inf
|Un | : {Un }n∈N è un δ-ricoprimento di E .
n
Le due definizioni differiscono l’una dall’altra per il fattore moltiplicativo
2s
b(s) .
Proposizione 4.3 (scala) Se E ⊂ Rn e λ > 0, allora
Hs (λE) = λs Hs (E),
dove λE := {λx | x ∈ E}.
Dim. Cfr. Falconer II pag. 27.
¤
Proposizione 4.4 Hs è invariante per traslazioni e per rotazioni.
Proposizione 4.5 Per 0 ≤ s < t < ∞, E ⊂ Rn
Hs (E) < ∞
=⇒ Ht (E) = 0
Ht (E) > 0
=⇒ Hs (E) = ∞
16
Hs (E) ∧..........
...
...
...
...
...
...
...
...
...
..
.........................................................................................................................
...
...
...
...
...
...
...
...
∗
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
...
..
.........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
...
∗
....
.
∞
s = dimH (E)
s
5
>
n
La dimensione di Hausdorff
Se δ < 1, allora Hδs è decrescente con s. Di conseguenza Hs è decrescente con s.
Se t > s
Hδs (E) ≤ δ t−s Hs (E).
Ne consegue che (per δ → 0)
Hs (E) < ∞ =⇒ Ht (E) = 0.
Definizione 5.1 La dimensione di Hausdorff-Besicovitch di E è data da
dimH (E) := inf{s : Hs (E) = 0}
= sup{s : Hs (E) = ∞}
Osservazione:
½
Hs (E) =
∞
0
se s < dimH (E)
se s > dimH (E)
0 ≤ HdimH (E) (E) ≤ ∞
Definizione 5.2 Un insieme di Borel per cui, posto s = dimH (E), si abbia
0 < Hs (E) < ∞
è detto s-set.
Esempio
Se F è un disco di raggio 1 in R3 , allora
H1 (F ) =
0 < H2 (F ) =
”lunghezza” di F = ∞
area di F < ∞
H3 (F ) =
vol(F ) = 0
½
∞ se s < 2
Pertanto, dimH (F ) = 2 , con Hs (F ) =
0 se s > 2.
17
Proprietà
Insiemi aperti in Rn : dimH = n poichè ogni aperto contiene una sfera ndimensionale non vuota.
Insiemi regolari in Rn : Se E è una varietà differenziabile m-dimensionale di
Rn , allora
dimH (E) = m
Pertanto:
le curve regolari hanno dimH = 1,
le superfici regolari hanno dimH = 2.
Monotonia
Se E ⊂ F =⇒ dimH (E) ≤ dimH (F ).
Stabilità numerabile
Se {En }n∈N è una successione di insiemi di E, allora
[
dimH
En = sup dimH En .
n
n
Insiemi al più numerabili
Se E è un punto,
H0 (E) = 1,
dimH (E) = 0.
Proposizione 5.3 Un insieme E per cui dimH (E) < 1 è totalmente sconnesso.
Proposizione 5.4 L’insieme di Cantor E ha dimH (E) =
1
2
ln 2
= 0.6309 e
ln 3
≤ Hs (E) ≤ 1.
In realtà Hs (E) = 1.VERIFICARE!!! QUALE DEF DI H USATA?
Proposizione 5.5 Le traiettorie Browniane in R3 hanno (q.c.) dimH = 2, ma
H2 (B) = 0.
N.B.: Quest’ultimo risultato si può raffinare:
0 < Hh (B) < ∞
per h(t) = t2 ln
1
ln ln ln(1/t).
t
Domanda: Se F ha dimensione di Hausdorff s, come si comporta la misura di
Hausdorff di F ∩ Br (x0 ) per r → 0 ?
Esiste
Hs (F ∩ Br (x0 ))
?
lim
r→0
b(s)rs
18
6
Densità
Definizione 6.1 Sia E un sottoinsieme di Rn Hs -misurabile con 0 < Hs (E) <
∞ (0 ≤ s < ∞). Le seguenti quantità
s
D (E, x) := lim sup
r→0
e
Ds (E, x) := lim inf
r→0
Hs (E ∩ Br (x))
b(s)rs
Hs (E ∩ Br (x))
b(s)rs
sono dette densità s-dimensionali dell’insieme E nel punto x, superiore ed ins
feriore, rispettivamente. Se D (E, x) = Ds (E, x) diciamo che esiste la densità
s-dimensionale di E in x e si denota con Ds (E, x).
Definizione 6.2 Un punto x0 ∈ E si dirà regolare se
Ds (E, x0 ) = 1.
Ossia un insieme è regolare se vale per esso l’analogo del teorema di Lebesgue
classico (Hs -q.o.).
Teorema 6.3 Sia E un insieme Hs -misurabile in Rn con Hs (E) < ∞. Allora
a) Ds (E, x0 ) = 0 per Hs -q.o. x0 6∈ E;
s
b) 2−s ≤ D (E, x0 ) ≤ 1 per Hs -q.o. x0 ∈ E.
Dunque, un insieme irregolare (Hs -q.o. punto è irregolare) ha densità strettamente minore di 1 Hs -q.o.
Esempio
Se E è l’insieme di Cantor su R,
Ds (E, x0 ) ≤ 2−s
con s =
ln 2
ln 3
∀x0 ∈ E
. Quindi E è irregolare.
Teorema 6.4 Sia E un sottoinsieme di R2 con dimensione di Hausdorff s. Se
s non è intero, allora E è irregolare.
Analogamente, per una misura ν in Rn possiamo definire la densità md imensionale (0 ≤ m ≤ n, m intero) Dm (ν, x) di ν in x tramite
Dm (ν, x) := lim
r→0
ν(Br (x))
.
bm rm
m
m
N.B.: per ogni sottoinsieme E di Rn , Dm (E, x) = Dm (H|E
, x), dove H|A
è la
misura definita da
m
H|E
(A) ≡ Hm (E ∩ A).
Quindi, la densità m-dimensionale di misure generalizza la nozione di densità
m-dimensionale di insiemi. (Si veda [10] o [5]).
19
7
Insiemi e misure rettificabili
Definizione 7.1 Sia E un sottoinsieme di Rn Hk -misurabile, k intero.
i) E è detto numerabilmente k-rettificabile se
E=
∞
[
fj (Aj ),
j=0
dove le fj : Aj → Rn sono funzioni lipschitzaine e Aj ⊂ Rk ;
ii) E è detto numerabilmente Hk -rettificabile se esistono fj : Rk → Rn
lipschitziane tali che
Hk (E \
∞
[
fj (Rk )) = 0;
j=0
iii) E è detto Hk -rettificabile se è numerabilmente Hk -rettificabile e vale
Hk (E) < ∞.
Gli insiemi Hk -rettificabili generalizzano la nozione di varietà k-dimensionale
di classe C 1 ; cioè, dal punto di vista della teoria della misura, gli insiemi Hk rettificabili sono caratterizzati dalle proprietà equivalenti di essere unioni numerabili di sottoinsiemi di varietà k-dimensionali di classe C 1 , o di possedere
un piano tangente approssimato Hk -quasi ovunque.
Definizione 7.2 Una misura di Radon ν in Rn si dice k-rettificabile se esiste
un insieme S Hk -rettificabile ed ina funzione di Borel Θ : S → R tale che
ν = ΘH|S .
N.B.: nei casi estremi k = 0 e k = n si ottengono rispettivamente le misure
puramente atomeiche e quelle assolutamente continue rispetto alla misura di
Lebesgue n-dimensionale.
Le misure k-rettificabili sono, per Hk q.o. x nel supporto, asintoticamente
concentrate vicino ad x, su un k iperpiano. Questo permette di definire un piano
tangente approssiamto alla misura (e quindi anche agli insiemi numerabilmente
Hk -rettificabili), il quale gioca, in questo contesto, lo stesso ruolo del piano
tangenet classico nella geometria defferenziale.
Definizione 7.3 Sia ν una misura di Radon in Rn . Diciamo che ν ha spazio
tangente approssimato π (iperpiano k-dimensionale in Rn ) in x, con molteplicν
k
ità Θ, se ρx,ρ
converge debolmente* a ΘH|π
per ρ → 0, dove
k
νx,ρ (B) := ν(x + ρB),
B ∈ B(Rn ).
In altre parole, lo spazio tangente approssiamto a ν in un punto x è il più
piccolo spazio vettoriale S tale che, preso un cono arbitrario avente S come asse,
l’insieme x + S ha densità 1 rispetto a ν, cioè ν si ”concentra” su S.
Nella Sezione 7.2 considereremo in particolare il caso k = 1.
Definizione 7.4 Sia S ⊂ Rn numerabilmente Hk -rettificabile ad {Sj } una partizione di Hk -quasi tutto S in insiemi Sj Hk -rettificabili. Si definisce Tank (S, x),
spazio tangente approssimato all’insieme S in x, come lo spazio tangente alla
k
misura rettificabile H|S
V in x per ogni x ∈ Sj in cui quest’ultimo è definito.
j
Vediamo come questo si rilegge nel caso di curve rettificabili.
20
7.1
Curve rettificabili
E’ noto che una curva (di Jordan) C è l’immagine di una injezione continua
ψ : [a, b] −→ R2
con [a, b] ⊂ R.
In questo modo una curva non si può intersecare con se stessa, ha due estremi
distinti e rappresenta un insieme connesso e compatto di R2 .
La lunghezza di una curva C è data da
L(C) := sup
m
X
|xi − xi−1 |
su tutte le decomposizioni di C.
i=1
Definizione 7.5 Se L(C) < ∞, si dice che la curva è rettificabile.
Teorema 7.6 Una curva C è rettificabile ⇐⇒ le ψi (i = 1, 2) sono a variazione
limitata su [a, b].
Teorema 7.7
Z
b
(
L(C) ≥
a
¶2
2 µ
X
dψi
i=1
)1/2
du
du.
L’uguaglianza vale se e solo se le ψi sono assolutamente continue.
Dim. Cfr. Graves.
¤
Teorema 7.8 Se C è una curva rettificabile, allora
H1 (C) = L(C).
Definizione 7.9 Un 1-set è del tipo curva se è contenuto nella unione numerabile di curve rettificabili.
Teorema 7.10 Un insieme tipo curva è un insieme regolare 1-set.
Definizione 7.11 Un 1-set è detto curve-free se la sua intersezione con ogni
curva rettificabile ha misura H1 nulla.
Teorema 7.12 Un insieme irregolare 1-set è curve-free.
N.B: Valgono le seguenti doppie implicazioni:
1-set regolare
1-set irregolare
⇐⇒ tipo curva a meno di un insieme di misura H1 -nulla;
⇐⇒ curve-free.
21
7.2
Tangenti ad un s-set
Supponiamo che una curva regolare Γ abbia una tangente (in senso classico)
in x0 . Ciò vuol dire che vicino ad x0 l’insieme Γ è ”concentrato” lungo due
”direzioni” diametralmente opposte.
Definizione 7.13 Un s-set E ⊂ Rn ha una tangente in x0 nella direzione θ
(vettore unitario) se
s
D (E, x0 ) > 0
e, ∀ angolo ϕ > 0,
Hs ([E ∩ Br (x0 )] − S(x0 , θ, ϕ))
= 0,
r→0
rs
lim
dove S(x0 , θ, ϕ) è il settore con vertice come indicato in figura.
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0
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x
ϕ -θ
ϕ
S(x , θ, ϕ)
Dunque, se E ha una tangente in x0 , al di fuori di S(x0 , θ, ϕ), vicino ad x0 ,
l’insieme E ha una parte trascurabile.
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.....................................
.....
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0
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.... r
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......................................
.....
........
B (x )
x
ϕ -θ
ϕ
S(x , θ, ϕ)
Proposizione 7.14 Una curva rettificabile Γ ha una tangente in q.o.
punto.
Dim. Ci è già noto che
1
D (Γ, x0 ) = 1 > 0
H1 -q.o. x0 ∈ Γ.
Parametrizziamo la curva Γ tramite una funzione
ψ : [0, L(Γ)] −→ R2 .
22
suo
Per una curva rettificabile, ψ è a variazione limitata (L(Γ) < +∞).
Le funzioni a variazione limitata sono q.o. derivabili, per cui
µ 0
¶
ψ1 (t)
∃ ψ 0 (t) =
q.o. in [0, L(Γ)].
ψ20 (t)
Avendo parametrizzato tramite la lunghezza dell’arco:
|ψ 0 (t)| = 1
Sia
θ = lim
u→t
per q.o. t.
ψ(u) − ψ(t)
u−t
(esiste q.o.)
Comunque si fissi un ϕ > 0, ∃ε > 0 t.c. ψ(u) ∈ S(ψ(t), θ, ϕ), purchè |u − t| < ε.
Γ non ha punti doppi; possiamo al contrario trovare r > 0 t.c.
ψ(u) 6∈ Br (ψ(t))
se |u − t| ≥ ε
per cui
[Γ ∩ (Br (ψ(t))] − S(ψ(t), θ, ϕ) = ∅.
Da ciò consegue che Γ ha tangente in ψ(t).
¤
Teorema 7.15 Un 1-set regolare in R2 ha tangente in quasi ogni suo punto.
Teorema 7.16 Un 1-set irregolare in R2 non ha quasi mai tangente.
Proposizione 7.17 Se E è un s-set in R2 con 1 < s < 2, allora E non ha
tangente in q.o. punto.
Ringraziamenti Le presenti note sono basate sugli appunti delle lezioni
tenute presso il Dottorato in Informatica della Universita’ degli Studi di Milano.
Si ringrazia la Dott.ssa Villa Elena, del Dottorato di Ricerca in Matematica, per
la revisione critica del testo.
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24
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