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misure di prevenzione e fallimento
MISURE DI PREVENZIONE E FALLIMENTO di Saverio Mancinelli Prima dell’emanazione del D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159, c.d. “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” e, quindi, in assenza di specifica normativa, alquanto controversa era la disciplina dell’eventuale rapporto tra misure di prevenzione e fallimento, tant’è che le interpretazioni di dottrina e giurisprudenza non erano affatto univoche1. Il Capo III del codice antimafia disciplina oggi, nell’ambito della sua applicazione, il rapporto tra misure di prevenzione e fallimento, individuando la priorità dell’interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto a quello privatistico della par condicio creditorum e, quindi, in linea generale, evidenziando la prevalenza della procedura di prevenzione su quella civilistica del fallimento, sotto il profilo della sottrazione del patrimonio sequestrato alla massa attiva fallimentare 2. I beni provento di attività illecita dell’indagato ed acquisiti alla massa fallimentare possono, quindi, essere sottoposti al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, a condizione che il giudice penale dimostri la prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori della procedura fallimentare. In particolare il D.Lgs. n. 159/2011 disciplina le due ipotesi (tutt’altro che marginali) della dichiarazione di fallimento, successiva o antecedente 1 In sintesi vi erano i seguenti orientamenti: a) secondo un’interpretazione (c.d. “rigorista”) vi era la prevalenza del sequestro penale sul fallimento; al curatore era attribuito il solo potere di proporre incidente di esecuzione (art. 666 c.p.p.) a tutela delle ragioni della massa, per dimostrare la legittima provenienza dei beni sequestrati, rivendicandone la titolarità in capo al fallito; b) secondo altro orientamento (diametralmente opposto al precedente) sussisteva la prevalenza del fallimento rispetto alla pretesa statuale di prevenzione, principalmente sulla base della natura derivativa dell’acquisto della proprietà in capo allo Stato, in modo da non pregiudicare i diritti dei terzi incolpevoli; c) una terza interpretazione (“mediana”) individuava la prevalenza del sequestro preventivo rispetto alla procedura fallimentare, solo se destinato a soddisfare una funzione di prevenzione speciale rilevante erga omnes. 2 Va evidenziata la mancanza di disposizioni in merito agli altri procedimenti diversi dal fallimento, come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione; in ogni caso si ritiene che, non essendovi in tali procedimenti lo spossessamento del debitore, il sequestro di prevenzione possa essere sempre attuato appieno. all’amministrazione giudiziaria, dell’impresa che in modo concomitante risulta sottoposta a custodia ed è in stato di insolvenza. L’art. 63 del codice antimafia, denominato ‘‘dichiarazione di fallimento successiva al sequestro’’ attribuisce al pubblico ministero, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario che ne ravvisi i presupposti (soggettivi ed oggettivi) durante la propria gestione, il potere di chiedere al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell’imprenditore le cui attività aziendali risultano sottoposte a sequestro o a confisca 3. L’amministratore giudiziario potrebbe a sua volta proporre istanza di fallimento “in proprio”, nel caso in cui lo stesso sia anche il legale rappresentante dell’impresa insolvente oggetto di sequestro; la possibilità di iniziativa diretta è, invece, preclusa ove l’amministratore giudiziario sia un mero custode di quote sociali, con permanenza dei pregressi organi societari, che detengono il potere di iniziativa 4. Nel comma 4 dell’art. 63 in commento, si individua la piena prevalenza della procedura penalistica su quella fallimentare disponendosi che, quando viene dichiarato il fallimento, sono esclusi dalla massa attiva fallimentare i beni (già) sottoposti a sequestro o confisca. Se il fallito possiede anche ulteriori beni diversi da quelli sottoposti a misura cautelare, al giudice delegato del fallimento compete l’intera procedura di verifica dei crediti e di accertamento dei diritti dei terzi; in particolare il giudice delegato deve anche verificare che il credito di cui si è chiesta l’ammissione non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego 5. Potrebbe inoltre accadere che il fallito possieda anche altri beni diversi da quelli sottoposti a misura cautelare e che la procedura fallimentare intervenga successivamente alla verifica dei crediti effettuata dal giudice 3 Naturalmente, per chiedere la dichiarazione di fallimento, permane l’iniziativa del debitore stesso o dei creditori. 4 Nel codice antimafia opportunamente si chiarisce, conformemente all’orientamento maggioritario di dottrina e giurisprudenza, che nel caso di sequestro di quote sociali (a differenza dell’ipotesi di sequestro di azienda dell’imprenditore individuale) l’amministratore giudiziario non subentra nella qualità di amministratore (e legale rappresentante) della società, potendo con la maggioranza necessaria solo convocare l’assemblea della società (nelle forme previste dal codice) e procedere alla sostituzione degli amministratori, secondo le indicazioni del giudice delegato. 5 Il giudice delegato al fallimento, dunque, accerta nelle rituali forme fallimentari la concorsualità del credito e la sua documentata sussistenza e, come se fosse il giudice delegato alla misura di prevenzione, le condizioni poste a garanzia da possibili interferenze illecite nella formazione dei crediti concorrenti. La norma appare alquanto “impraticabile”, non si comprende, infatti, come dovrebbe fare il giudice delegato al fallimento ad accertare che il credito non sia strumentale all’attività illecita, salvo la prova della buona fede del creditore. della prevenzione (ex artt. 57 ss. codice antimafia), verifica già compiuta che, ricordiamo, ha effetto solo nei confronti dell’Erario (art. 59, comma 4) e non già verso i creditori. Anche in tal caso il giudice delegato, pur potendo far riferimento a quanto emerso negli accertamenti effettuati nel pregresso procedimento di prevenzione, deve procedere alla verifica del passivo con una propria autonomia valutativa. Ciò proprio nella considerazione che esistono ulteriori beni appresi alla massa fallimentare, rispetto a quelli precedentemente sequestrati e che, verosimilmente, vi saranno altri crediti da accertare. Se il fallito possiede anche ulteriori beni diversi da quelli sottoposti a misura cautelare il curatore procede autonomamente alla liquidazione (soltanto) di tale attivo. Altro caso appare quello ove il fallito non possiede ulteriori beni; nella fattispecie il codice antimafia si limita a disporre che il tribunale, previa audizione del curatore e del comitato dei creditori, deve necessariamente ordinare la chiusura del fallimento con effetti sui creditori e terzi in generale, la cui tutela è “riservata” alla sola procedura di prevenzione ed al competente tribunale penale. In ipotesi di assenza di ulteriori beni diversi rispetto a quelli sottoposti a misura cautelare, prima di procedere alla chiusura, appare lecito interrogarsi circa la necessità o meno di verifica del passivo da parte del giudice fallimentare. Si evidenzia che, mentre nella legge fallimentare del 1942 l’accertamento dello stato passivo era sempre necessario, la riforma ha reso tale procedimento come “eventuale”. Infatti ai sensi del vigente art. 102 L.F., dietro motivata istanza del curatore da presentarsi almeno venti giorni prima della data di udienza di verifica, corredata dal parere del comitato dei creditori e sentito il fallito, il tribunale può decretare di non procedersi all’accertamento del passivo, anche in presenza di domande di ammissione e prima dell’udienza per la verifica, qualora risulti che non vi sia alcuna prospettiva di realizzazione di attivo distribuibile ai creditori, fatto salvo il pagamento delle spese della procedura e dei crediti prededucibili. Quindi se il fallito possiede solo i beni sottoposti a misura cautelare, indipendentemente dalla circostanza che la verifica dei crediti sia stata o meno effettuata dal giudice della prevenzione, il giudice delegato (prima della chiusura da parte del tribunale per insussistenza di attivo) non dovrebbe procedere alla verifica del passivo solo se il curatore, ravvisando l’assenza di prospettive di realizzazione di attivo distribuibile ai creditori (ad esempio nel caso in cui gli unici beni del fallito siano già stati sottoposti a confisca definitiva e non vi siano prospettive di ulteriori acquisizioni, anche tramite azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie) presenti istanza ex art. 102 L.F. accolta dal tribunale. Qualora vengano successivamente revocati il sequestro o la confisca, il fallimento chiuso, ricorrendone i presupposti, si potrà riaprire ed il cu- ratore potrà procedere all’apprensione dei beni alla massa attiva fallimentare. In caso di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro la proposizione delle azioni revocatorie ex artt. 64 ss. L.F. relative ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro, compete solo all’amministratore giudiziario 6. L’art. 64 del codice antimafia disciplina poi la seconda ipotesi, ovvero quella di dichiarazione di fallimento precedente al sequestro di prevenzione, stabilendo che il giudice delegato, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dispone, con decreto non reclamabile, la separazione dalla massa attiva del fallimento dei beni sequestrati e la loro consegna all’amministratore giudiziario, purché, ovviamente il curatore non abbia già perfezionato la vendita degli stessi. Anche nel fallimento precedente al sequestro, ove vi sia la perfetta coincidenza di tutti i beni acquisiti al fallimento con quelli sequestrati, avvenuta la consegna all’amministratore giudiziario, il tribunale fallimentare deve decretare la chiusura della procedura. Diversamente ove esiste una massa attiva fallimentare eccedente il compendio sequestrato, la verifica delle passività dell’imprenditore insolvente rimane di competenza esclusiva del giudice delegato al fallimento, che fissa una nuova udienza per l’esame dello stato passivo nel termine di novanta giorni dal disposto sequestro. I crediti ed i diritti vantati nei confronti del fallimento, compresi quelli inerenti i rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, vengono accertati secondo le regole proprie del concorso (artt. 92 s. L.F.) ed il giudice delegato accerta il passivo guidato anche dai criteri valutativi legati alle esigenze proprie della procedura di prevenzione. Anche in caso di dichiarazione di fallimento anteriore al sequestro la proposizione delle azioni revocatorie ex artt. 64 ss L.F. relative ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro, compete all’amministratore giudiziario ed ove tali azioni siano state già intraprese dal curatore, l’amministratore lo sostituisce nei processi in corso. 6 Anche tale ulteriore aspetto appare alquanto problematico e difficilmente praticabile, se non effettuato mediante un pieno “raccordo” tra curatore ed amministratore giudiziario.