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Il concetto di Qualità della Vita è di quelli che facilmente vengono

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Il concetto di Qualità della Vita è di quelli che facilmente vengono
Giovanni Fioriti Editore s.r.l.
via Archimede 179, 00197
Roma tel. 068072063 - fax 0686703720.
E-Mail [email protected] – www.fioriti.it – www.clinicalneuropsychiatry.org
res ipsa loquitur
Psicopatologia: diretta da Mario Rossi Monti
Il delirio di rapporto sensitivo
Un contributo alla questione della paranoia
e alla teoria psichiatrica del carattere
di
Ernst Kretschmer
Traduzione, cura e introduzione all’edizione italiana di Gabriella Molino
Prefazione all'edizione italiana di Arnaldo Ballerini
Kretschmer ha non solo definito una forma clinica ben precisa di paranoia, ma anche contribuito in
generale alla comprensione delle malattie paranoicali e a una revisione della teoria allora dominante
della paranoia.
L’opera in questione appartiene ai lavori fondamentali di quel grande periodo della psichiatria
prossimo alla prima guerra mondiale. Esso inizia con gli studi di Bleuler e la Psicopatologia
generale di Jaspers e arriva fino alle Forme fondamentali e conoscenza del Dasein di Binswanger.
Lì in mezzo crebbe un’inesauribile messe di conoscenze biologiche e psicologiche, di cui viviamo
ancora oggi. Con Il delirio di rapporto sensitivo Kretschmer non solo ha caratterizzato una forma
particolare di paranoia, al suo tempo definita da G. Schmidt “paranoia della coscienza”, ma in
generale proposto uno schema di comprensione globale per i quadri e i decorsi di paranoia. Ciò è
dimostrato non solo dalla discussione di ampia portata che include il delirio querulomanico ed
erotomanico tra gli altri, ma anche nel dibattito fondamentale che sottolinea l’importanza d questo
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libro per l’intera teoria della paranoia. Eppure esso procura accanto allo schema genetico dei quadri
paranoicali anche un contributo alla teoria della schizofrenia. Per cui il carattere sensitivo
costituisce un immediato precursore di quello che Bleuler presto definirà in senso lato “carattere
schizoide” ponendolo in stretta vicinanza con il gruppo delle schizofrenie. Anche la teoria delle
nevrosi ha tratto il vantaggio, perché essa giace all’interno di una teora psicogenetica, di essere
utilizzata per tutti i disturbi psichici intesi come sviluppo reattivo. In questa prospettiva dobbiamo
citare la versione originale dell’origine formale delle idee ossessive, ma anche i cenni alla “nevrosi
di riferimento” come forma particolare di una psiconevrosi schizoide e ai meccanismi isterici. Lo
spostamento della causalità biologica al margine più esterno del campo visuale e la concezione
dinamica del carattere come una struttura che si trasforma con gli eventi, quindi proprio i tratti
avversati dalla scuola di Kraepelin, sembravano venire incontro alla psicologia del profondo.
Mancava solo un passo e Kretschmer avrebbe potuto dire: il carattere è la conseguenza degli eventi
e deve dedursi da essi. In altre parole, non è caduto dinanzi alla tentazione di una teoria ambientale
psicoanalitica come Kehrer. Egli invece mantenne fermamente per la vita la convinzione che il
carattere fosse capace di trasformarsi, ma che determinasse in modo permanente, in quanto
fondamento della personalità, le linee generali delle possibilità di reazione individuale, e che perciò
dovesse stare all’inizio di ogni possibile studio psicogenetico, al posto delle motivazioni. In questo
equilibrio tra carattere come fondamento e carattere come conseguenza reattiva si conferma – anche
se in forma differenziata – la tradizione clinico-psichiatrica classica. In questo modo si risolve
anche la contraddizione tra psicogenesi e costituzione che a suo tempo K. Schneider scoprì in modo
molto acuto e che aveva al contempo relativizzato. Il carattere innato ha sempre la precedenza verso
quello acquisito ma non sempre il predominio.
Ernst Kretschmer (1888-1964), psichiatra tedesco. Dopo gli studi medici a Tubinga e a Monaco,
compì le sue prime osservazioni psichiatriche durante la prima guerra mondiale, in qualità di
medico militare psichiatra. Insegnò Neurologia e Psichiatria presso le Università di Tubinga (1923),
Marburgo (1926) e di nuovo a Tubinga (1946). Nel 1933 si dimise dalla carica di presidente della
Società tedesca di psicoterapia in seguito all'espulsione dei membri ebrei. Si occupò soprattutto
della correlazione fra costituzione somatica, caratteristiche psicologiche e disturbi mentali.
INDICE
Prefazione all’edizione italiana di Arnaldo Ballerini
Introduzione all’edizione italiana di Gabriella Molino
Prefazione alla terza edizione
Prefazione alla quarta edizione
Introduzione
Capitolo primo
Psicogeno e paranoicale.
Idea prevalente e paranoia abortiva
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Capitolo secondo
Sulla teoria psichiatrica del carattere
Capitolo terzo
Il delirio di riferimento erotomanico delle donne
nubili di età avanzata
Capitolo quarto
Il delirio masturbatorio
Capitolo quinto
Altri conflitti erotici emotivi
Capitolo sesto
Conflitti sul lavoro
Capitolo settimo
Varianti caratteriali
Capitolo ottavo
Nevrosi di riferimento abituali
Capitolo nono
Riassunto e delimitazione
Capitolo decimo
Le strutture pulsionali e le disposizioni endogene
Capitolo undicesimo
Sul delirio erotomanico
Capitolo dodicesimo
Concetto, storia e posizione scientifica del delirio
di rapporto sensitivo
di Wolfgang Kretschmer
Bibliografia
Indice dei nomi
Prefazione all’edizione italiana
di Arnaldo Ballerini
Ernst Kretschmer nel 1918 descrisse, in termini vicini al concetto psicopatologico di
“sviluppo di personalità”, una sindrome delirante, il delirio di rapporto sensitivo (Der sensitive
Beziehungswahn), diverso dalla schizofrenia paranoide essenzialmente per il fatto che in
quest’ultima il delirio è spesso “bizzarro”, tipicamente sentito come incomprensibile, connesso a
esperienze allucinatorie, a disturbi del pensiero e con un decorso che veniva supposto come
deteriorante.
Certamente scontiamo a questo proposito le incertezze circa la specificità che può
distinguere il delirare schizofrenico rispetto alle matrici comuni a ogni delirare, naturalmente in un
sistema nosografico che ammetta l’esistenza di autentici deliri al di fuori della schizofrenia. In
passato invece è stata espressa l’opinione più radicale che ogni forma di autentico disturbo delirante
appartenga (forse con l’eccezione di un piccolo gruppo di tipici paranoici) al circolo della
schizofrenia.
La tesi che ho cercato di sostenere è che, se vogliamo mantenere il concetto di specificità
del delirare schizofrenico, è più convincente riferirci a studi di fondo sulla “persona” dello
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schizofrenico che non a singoli sintomi, riferendomi con ciò al modo di essere autistico, quale
carente costituzione originaria dell’Altro e parallelamente del Sé. Cioè è possibile sentire,
illuminare e definire una certa “atmosfera” schizofrenica in cosa dei nuclei problematici di fondo
della persona schizofrenica può essere rifratto nei contenuti – oltre che nella forma – del delirio. È
questo che può dare “schizofrenicità” al delirio schizofrenico, la sua qualità “metafisica”. E questi
particolari contenuti deliranti possono affacciarsi sia nell’ubiquitario tema della persecuzione, sia,
esemplarmente, nel tema del delirio sulla propria identità, che lasciano intravedere il piano
“ontologico” e non puramente “ontico” coinvolto nell’essere schizofrenico.
Il precetto di Kurt Schneider per cui “nelle psicosi si cerca di prescindere dal contenuto,
dal tema, dalla elaborazione individuale, e di penetrare nel formale” non può più essere considerato
una regola definitiva e soddisfacente.
Nel testo seminale di Kretschmer il filo conduttore dell’interpretazione del delirio è
rappresentato dai vissuti di vergogna, ai quali l’Autore fa continuo riferimento nei termini di
«vergognosa umiliazione», «scacco umiliante», «insufficienza umiliante» ecc. Tutte le sue classiche
analisi delineano il convergere di tratti di sensitività del carattere, situazione ed eventi, fino
all’umiliante vergogna dell’ “esperienza-chiave” come momento centrale della svolta delirante. Ed
è questa esperienza che fa da punto di connessione, ristabilendo la continuità interpretativa tra
personalità sensitiva e delirio.
Kretschmer ha spinto al massimo la possibilità di comprensione genetica nei suoi deliranti,
seguendo, ricostruendo, completando e rivivendo nel continuativo rapporto terapeutico i loro nodi
conflittuali di fondo, le essenziali risonanze agli accadimenti, lo strutturarsi di situazioni, fino al
punto fatale dell’esperienza della vergogna annichilente il Sé. Questo è il punto di snodo ove la
personalità “sensitiva” arriva ad attingere alle sue possibilità di reazione “stenica”, al di là del suo
più usuale stile “astenico” di personalità. In fondo l’oscillazione kohutiana vergogna-rabbia è una
maniera più dinamica di riproporre l’oscillazione kretschmeriana fra polo stenico e polo astenico
nelle sindromi paranoiche. È a quel punto che l’esperienza della vergogna viene oltrepassata, quasi
annullata in favore di un’aggressiva individuazione dei presunti persecutori. La vergogna che io
provo o ho provato quale fenomeno implosivo per la coesione del Sé diviene tutt’uno con la
cattiveria e l’intenzionalità malvagia e intrusività che attribuisco all’altro: l’altro diviene l’agente
attivo della vergogna provata. Nella sua essenza il delirare del sensitivo mostra una modalità
particolarmente evidente di questo percorso: la vergogna, lo scacco dell’immagine del Sé, che
sempre più cade in preda a un radicale processo di mondificazione, nel quale gli altri segnalano il
loro disprezzo e infine la loro persecutorietà.
Il tema della vergogna nel delirio sensitivo “… touche spécifiquement le principe
d’intimité et le partage de l’intime et du collectif… c’est une problématique strictement individuelle
à l’identité de rôle… et à ses engagements dans la dialectique ipse et alter”.
Del resto Binswanger scriveva, in tema di schizofrenia, ma ovviamente questa
osservazione può essere estesa a ogni delirare, “la mondificazione del pudore [così trasformato in
vergogna] non costituisce in sé e per sé qualcosa di peculiare della schizofrenia; peraltro, da un lato,
mostra con particolare evidenza il processo che appunto abbiamo definito mondificazione e,
dall’altro, induce… a supporre che il delirio di essere osservato e di riferimento non rappresenti che
un ulteriore passo di siffatto processo…”. È importante fin da ora notare che il processo di
mondificazione, nel quale “... l’accento dell’esistenza… si disloca più o meno nettamente dal sé al
mondo”, può non solo assumere diverse gradazioni, ma ritengo possa riferirsi a piani diversi della
identità: come “essere se stesso” o, più propriamente nella paranoia, come “essere lo stesso”, vale a
dire come riflesso della identità di ruolo. Se il ribaltamento della vergogna in rabbia è una maniera
intrapsichica di vedere, comprendere il passaggio dal sentimento di vergognosa disfatta a quello
persecutorio, l’oscillazione “vergogna per il Sé – vergogna coesistentiva” illumina il possibile
costituirsi di un mondo diverso, appunto delirante.
Il delirio sensitivo, ripeto, è stato incluso nell’ambito della paranoia (paranoia sensitiva) e
plana su di esso tutta l’incertezza che grava sul costrutto della paranoia, quale delirio che si sviluppa
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nell’ordine, nella coerenza e nella chiarezza, annotava Emil Kraepelin. Il destino della sindrome
paranoia è stato di essere considerata una delle forme del “delirio cronico sistematizzato”, mentre
per altri Autori si tratta semplicemente di un tipo ideale: “Sebbene sia dubbio che un caso puro sia
mai esistito, la paranoia così intesa può servire come quadro ideale, come un limite verso cui i dati
clinici possono convergere, senza però mai raggiungerlo”.
Inoltre lo stesso attributo di “delirante” è stato, come ho detto, contestato nella paranoia
dalla tradizione psicopatologica, sulla scia della distinzione jaspersiana fra idee deliranti autentiche
e idee delirodi, queste ultime riconducibili psicologicamente alla personalità, alle sue emozioni,
pulsioni, desideri e timori. È in definitiva su questo terreno, al di là di perifrasi eziopatogenetiche e
anche degli sforzi di delimitazione di sindromi, che si pone la vexata quaestio del delirio sensitivo,
del delirio paranoico, e più in generale del delirio psicogeno. Tutto quanto attiene a questo ambito è
stato espunto dalla psicopatologia classica dall’ambito delle psicosi e dall’autentico delirio, e –
appoggiandosi coerentemente a una analisi formale dei modi del delirare – ricompreso nell’ambito
dei concetti di “reazione” e “sviluppo”, spostando così l’interesse verso il tipo abnorme di
personalità, “fanatica” o “sensitiva” che sia, della quale il deliroide può essere una conseguenza.
Tuttavia si ha l’impressione che dal punto di vista non solo del decorso ed esiti, ma anche
dei fenomeni e sintomi, tutti i casi di delirio si pongano lungo un continuum paranoide nel quale le
osservazioni trapassano l’una nell’altra e solo agli estremi (schizofrenia paranoide da un lato, e
fugaci reazioni deliranti dall’altro) la differenza è netta. Anche dal punto di vista formale, analisi sui
confini dei sintomi di primo rango hanno mostrato come più che di confini si tratti di spazi sfumati
che ammettono sequenze di esperienze che vanno da più patologiche (e più incomprensibili) ad altre
meno patologiche (e più comprensibili).
Certo, la sindrome studiata da Kretschmer pone in primo piano il problema del rapporto fra
delirio e persona del delirante, mette in crisi il concetto di “processo” quale immagine di radicale
discontinuità fra la persona e il delirare, e adombra il discusso tema del “delirio psicogeno”, e il
valore delle situazioni all’origine del delirio. Hubertus Tellenbach scrive che con Kretschmer “… si
schiude una strada che corre esattamente fra le premesse etiologiche di una endogenità somatica e
quelle di una pura comprensione psicogenetica”. Kretschmer parlava di “evento chiave” in grado –
per così dire – di combaciare con la serratura del carattere. Per la psicopatologia fenomenologica
anziché parlare di “eventi” è molto più utile ricorrere al dispositivo di “situazioni” di esistenza: un
ruolo patogeno inerisce allora al cadere intrappolati in una situazione non più oltrepassabile.
Nella paranoia, come nella sindrome di Kretschmer, i deliranti si caratterizzano
prevalentemente per un uso smodato dell’interpretazione, per cui quasi tutto quello che avviene
attorno al paranoico sensitivo è per lui significativo. Ma dal punto di vista strettamente della forma
niente distingue l’interpretazione delirante da quella normale, a differenza di ciò che avviene nella
classica “percezione delirante”. È l’uso preminente del dispositivo interpretativo nella costruzione
del delirio che contribuisce a far sì che il delirante paranoico si viva e venga vissuto come tuttavia
parte del contesto sociale nel quale agisce. È per questo che la lettura psicopatologica del delirare
paranoico si è storicamente incentrata sulla struttura della personalità, e basti ricordare lo
psicopatico “fanatico” o anche il tipo “insicuro di sé”, nel cui ambito Schneider tende a collocare il
“sensitivo”.
In realtà la personalità descritta da Kretschmer è assai più complessa, e centrale appare la
sua possibilità di oscillare fra una posizione (astenica) di sensibilità e ruminazione egodistonica di
vissuti di vergognosa colpa, e una posizione (stenica) di rabbiosa rivalsa, in grado di superare –
senza una vera elaborazione – il vissuto di vergogna, alla insegna della folgorante massima scritta
da Nietzsche nella Gaia Scienza: “Chi è il malvagio? Colui che vuol farmi vergognare”.
Ciò che è stato indicato come essenziale del delirare è la sua funzione rivelatoria e quindi
ricostruttiva di un nuovo mondo inter- e intrapersonale: la nuova conoscenza o la definitiva
conferma di una realtà che ora si prospetta agli occhi della mente del delirante.
Nel delirio, come in ogni metafora, la parte esplicitata o discorsiva rinvia a significati più
complessi: come una parabola il delirio è insieme essenziale e insufficiente a comunicare qualcosa
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circa la persona che delira. È come se in un unico punto si agglutinassero significati diversi,
inestricabilmente allusivi alla realtà esterna e interna, che proprio per la loro agglutinazione perdono
il valore di comunicazione condivisa. Il delirare è sembrato offrire all’osservazione un ammasso di
dati apparentemente incongrui: è attraverso questa sorta di nebbia conoscitiva che il tentativo dello
psichiatra di trovare un senso alle esperienze più personali e singolari può cogliere una risonanza tra
eventi esterni e interni, un terreno emozionale sul quale essi si articolano e si connettono, in breve:
un percorso di esistenza.
Di questo tentativo ci è apparso esemplare il lavoro di Ernest Kretschmer, non tanto dal
punto di vista della categoria nosografica indicata come “delirio sensitivo”, quanto per gli stimoli
che esso offre per un approccio al fenomeno delirio, che leghi modi e nodi di risonanza della
persona, fluire di eventi e loro costellarsi in situazioni di rapporto nelle quali emerge l’esperienza
delirante. Un delirare che, a una rilettura dei casi clinici riportati da Kretschmer, è in alcune
occasioni strutturato su esperienze interne, su modi di procedere della mente verso il delirio, che, a
differenza dall’ambito della pura paranoia, ripropongono forme che dovrebbero definire il delirio
c.d. primario. Già Kendler notava che diversi casi esemplificati da Kretschmer come delirio di
rapporto sensitivo presentano “bizzarria” del delirio e allucinazioni. La comprensibilità o
incomprensibilità di singole esperienze nel hic et nunc del vissuto è come se venissero spinte alla
periferia dalla prevalente attenzione di Kretschmer al legame esistente fra singole esperienze interne
molto diverse ma unite tra loro da una ricerca di senso. Una domanda fondamentale è se sia
possibile che certi “contenuti”, che pur mantengono una elevata comprensibilità nell’ambito di
quella persona e del suo situazionale, siano in grado di esprimersi trasformando la forma della
esperienza in maniera incomprensibile. “Riteniamo che – scrive Lacan – qualsiasi distinzione tra le
strutture o le forme e i contenuti che le riempirebbero si fondi su ipotesi metafisiche insicure e
fragili”. Per l’autore è impossibile decidere se la stessa forma strutturale del “sintomo” non sia
condizionata dall’esperienza “di cui sembra rappresentare la traccia”.
Se il delirio è incomprensibile si può comprendere forse il singolo delirante. Io e Rossi
Monti abbiamo ipotizzato che è come se nella gamma delle forme e dei contenuti a maggiore o
minore possibilità comprensiva si riflettesse una sorta di differenza nell’ “urgenza di proiezione”
che costruisce il delirio. A un certo livello di “urgenza” emotiva, vale a dire di angoscia sottesa al
bisogno della proiezione, sembra non si tenga più conto degli schemi cognitivi condivisi,
compiendo un salto qualitativo verso l’incomprensibile, anche sul piano della forma. In un caso la
persona in qualche modo si espone ancora al criterio della falsificabilità muovendosi secondo
modelli di pensiero vicini alla pseudoscienza e inserendo almeno in parte le sue costruzioni deliranti
all’interno di una mappa consensuale, come nella paranoia; altrimenti il criterio di falsificabilità
viene completamente eluso e la discontinuità fenomenica diventa massima. Ma sottolineo come
possa trattarsi di punti, di momenti, di fasi di un unico percorso. Alcune delle nostre osservazioni di
sindromi deliranti, che complessivamente corrispondevano al profilo del delirio sensitivo, hanno
avuto periodi o mementi nei quali la comprensibilità delle singole esperienze si azzerava
bruscamente per la forma che esse assumevano, magari temporaneamente. Evidenze simili
emergono anche da una rilettura dei casi clinici di Kretschmer.
In un saggio (“Funzioni di vita e storia della vita interiore”, 1928) Binswanger, criticando
la distinzione jaspersiana fra “nessi causali” e “nessi comprensibili”, scrive che il rapporto fra
l’aspetto strutturale-funzionalistico e il fluire dei contenuti dell’esperienza, vale a dire le possibili
“relazioni tra funzione della vita e storia della vita interiore”, non andrebbe mai vista come una
dicotomia. “Non si tratta mai di un aut-aut ma sempre di un così-come-anche”. Il tema è vicino a
quello psicopatologico del rapporto fra struttura della persona e fluire di esperienze interne ed
esterne da un lato, e processo delirante dall’altro.
Nel pensiero di Kretschmer vi è non solo un tentativo di colmare lo iato tra personalità e
delirio, ma anche un’analisi del delirio centrata sulla disomogeneità, intesa come possibilità di
miscela, di lega, di copresenza variabile nel tempo di assetti che condizionano una diversa reattività,
risonanza emotiva ed elaborazione dell’Erlebnis. L’assetto d’introversa ipercritica di sé che
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tormenta il sensitivo apre la via al delirio solo quando emerge la possibilità di una inversione che
rovesci l’aggressività verso l’esterno, al servizio di un nascosto ma potente nucleo stenico della
personalità.
Dal punto di vista struttural-dinamico una concettualizzazione della disomogeneità come
matrice di esperienze psicotiche deliranti è stata avanzata da Wolfgang Janzarik (1959): secondo
questo Autore i sintomi schneideriani di primo rango non sono specifici della schizofrenia ma
possono verificarsi in tutte le condizioni di “instabilità dinamica”, nelle quali si assiste a una rapida
fluttuazione o sovrapposizione di stati timici opposti.
Al di la della quérelle se i casi descritti da Kretschmer possano essere definiti autentici
deliri (e rileggendo la sua casistica, sottolineo ancora, siamo portati a rispondere affermativamente),
mi è sembrato che questa disomogeneità, questo movimento all’interno della struttura e/o del campo
del vissuto, questa possibilità sul piano emozionale di oscillare fra affetti diversi, dalla paura
all’odio, di ribaltare situazioni di crollo, di sconfitta e soprattutto di vergogna in una ricostruzione
sufficientemente coesiva del Sé, mediata da un affetto aggressivo-stenico verso il mondo, si possa
delineare in tutte quelle situazioni nelle quali si è intravista una ricostruzione in chiave di
comprensibilità “psicogenetica” del fenomeno delirio.
Se si allarga l’ottica dei vissuti emozionali ad aree relativamente poco esplorate rispetto
alla colpa o al trionfo, quali i sentimenti di vergogna (che sono l’altra faccia della rabbia disforica)
le linee genetiche di alcune sindromi paranoidi diventano più afferrabili, più intuibili. La noncomprensibilità che la tradizione psicopatologica porta il merito e la responsabilità di avere
attribuito, quale strumento euristico delimitativo, al vero delirio, non appare, né forse vuol essere
una linea di netto e invalicabile confine.
In Michael Kohlaas, raccontato nella novella di Kleist, o nel maestro Wagner, raccontato
nel libro di Cargnello, resta solo l’ombra dell’umiliazione patita. L’interesse dell’interpretazione
dinamica che Kretschmer propone per il delirio dei suoi sensitivi deriva dunque anche dal fatto che
nuclei di questo tipo possono affiorare in altri deliri, nosograficamente diversi da quello sensitivo, e
questi nuclei – una volta percepiti nel rapporto terapeutico – divengono una sorta di guado, come
massi sui quali poggiare fra le due sponde della incomprensibilità del delirio: la sponda del paziente
e quella del terapeuta.
Copertina di Tiziano Zuliani
prezzo: € 26,00
p.288
ISBN: 978-88-95930-83-1
[email protected] www.fioriti.it
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