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L`estratto conto non è una prova

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L`estratto conto non è una prova
CASSAZIONE/
Accolto il ricorso dell'azienda
contro l'istituto pronto al
pignoramento
L'estratto conto non è u n a prova
L'atto unilaterale
della banca non dimostra i crediti
DI D A R I O F E R R A R A
estratto del conto corrente, se contestato del
cliente, non costituisce
di per sé prova del credito della banca che procede per
il pignoramento. È quanto emerge dalla sentenza 9695/11, emessa dalla terza sezione civile della
Cassazione e depositata ieri.
Nessuna prova
Non conta la certificazione di
cui all'articolo 50 del dlgs 385/93:
l'estratto del conto corrente è atto
unilaterale della banca creditrice e non può costituire di per sé
piena dimostrazione dell'entità
del credito a favore dell'istituto.
È vero, in base alla disposizione
contenuta nel Testo unico bancario la Banca d'Italia e le banche
possono chiedere il decreto d'ingiunzione previsto dall'articolo
633 del codice di procedura civile
anche in base all'estratto conto,
«certificato conforme alle scritture
contabili da uno dei dirigenti della
banca interessata, il quale deve
altresì dichiarare che il credito
è vero e liquido». Ma attenzione,
nel procedimento monitorio c'è la
garanzia del contraddittorio con il
debitore che propone opposizione:
si tratta dunque di un caso eccezionale che non può essere oggetto
di un'interpretazione estensiva.
Nell'ipotesi del processo esecutivo
intentato dalla banca nei confronti dell'azienda, invece, l'estratto di
conto corrente sia pure certificato
come vuole il testo unico bancario
non vale da solo, in caso di contestazione, a documentare l'entità
del credito vantato dalla banca
procedente.
E s t r a t t o insufficiente
Accolto nel caso affrontato
dai giudici di legittimità uno
dei motivi di ricorso dell'azienda
«braccata» dall'istituto di credito:
i crediti contestati, che scaturiscono da contratti di conto corrente,
risultano infatti documentati dalla banca unicamente con la produzione in giudizio dell'estratto
conto finale. Nella sua decisione
la Suprema corte fa chiarezza
anche su altri aspetti del rapporto fra cliente e istituto di credito:
ogni pattuizione sugli interessi
per essere valida deve avere forma scritta e il tasso da applicare
deve essere specificato in modo
vantati
puntuale; è escluso che si possa
configurare un uso normativo
nelle condizioni abitualmente
praticate dalle aziende di credito
sulla piazza (rinvio a clausole «su
piazza») senza l'esistenza di discipline vincolanti fissate su scala
nazionale con accordi di cartello:
altrimenti sarebbe impossibile
stabilire a quale previsione le
parti contraenti abbiano voluto
riferirsi di fronte alle diverse tipologie di interessi esistenti. E
identica certezza è necessaria
per le previsioni di costi, commissioni e la disciplina della postergazione delle valute di accredito.
Infine, è nulla la capitalizzazione
trimestrale degli interessi sui
saldi del conto corrente passivi
per il cliente prevista da clausole
anatocistiche stipulate prima del
dlgs 342/99 (e della delibera del
Comitato interministeriale per
il credito e il risparmio prevista
dall'articolo 25 comma secondo
del decreto legislativo): le clausole
non sono valide perché risultano
fondate su di un uso negoziale e
non normativo: la nullità scaturisce dalla violazione dell'articolo
1283 ce.
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