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Bruinese, una stagione da incorniciare Maculan: «Ha vinto il bel

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Bruinese, una stagione da incorniciare Maculan: «Ha vinto il bel
Bruinese, una stagione da incorniciare
Maculan: «Ha vinto il bel calcio».
La Bruinese ha conquistato, meritatamente, la Coppa Piemonte-Valle D'Aosta di Seconda
Categoria. Ora, staff tecnico e Direttivo sono naturalmente proiettati verso la prossima stagione,
quando la squadra tornerà, dopo l'esperienza di tre anni or sono, in Prima Categoria.
Con l'allenatore Claudio Maculan, abbiamo l'occasione di tracciare un quadro dell'avventura da
poco conclusa.
Partiamo da un elemento fondamentale: la Bruinese ha potuto sedersi al tavolo delle neopromosse osservando le altre protagoniste del girone sfidarsi nei play-off. Che effetto le ha
fatto?
Sto respirando un senso di sollievo per non dover scendere nella mischia: poi, però, sovviene il
pensiero di come non ci si debba mai rilassare troppo, nemmeno a qualificazione ottenuta. In
realtà, bisogna cominciare già a lavorare di lima per preparare la prossima stagione...
Secondo lei, le vostre pari del girone hanno sottovalutato l'importante chance che permette la
coppa regionale?
Non voglio giudicare gli altri, ma questa manifestazione rappresenta una preziosa opportunità: non
solo perché alzare il trofeo garantisce la promozione diretta, ma anche per altri validi motivi.
Quali?
Ruotare i giocatori della rosa e, parimenti, provare soluzioni di gioco alternative. Aspetti entrambi
basilari, considerando anche la scelta di una linea orientata verso i giovani.
Quando avete cominciato a fare un pensierino al traguardo massimo?
Dopo la partita di andata, dei quarti di finale, contro una equipe ben strutturata come il
Bacigalupo. La vittoria esterna, per 3-0, ha rappresentato il giro di vita del torneo.
Oltre l'approccio iniziale, quali sono state le differenze più marcate tra le partite di coppa e
quelle di campionato?
Non voglio fare l’ipocrita: il risultato è importante, tuttavia ci sono diversi modi di perseguirlo. Un
iperbole: Real e Barcellona sono due dei club più titolati al mondo. Il pubblico, però, fischia se gli
allenatori di tali superpotenze calcistiche schierano i loro fuoriclasse solo in funzione utilitaristica.
Dunque: vincere conta ma, anzitutto, è fondamentale mettere in campo un undici in grado di
disegnare geometrie che possano strappare l'applauso. Questo rappresenta l'unico modo per far
crescere tutto il nostro movimento. Dai quarti in avanti, ho visto squadre propositive con ritmi di
gioco, mediamente, più intensi che in campionato e con capacità tecniche espresse al massimo delle
nostre (inteso come categoria) potenzialità.
Quindi, secondo lei, l'estetica della prestazione diventa lo spartiacque del giudizio...
Assolutamente! Vincere non è mai sicuro, nemmeno se si dispone dei calciatori più forti. Bisogna
mettere da parte il cinismo ed orientarsi verso l'unico aspetto sicuro: se la squadra esprime un
calcio armonioso, sportivamente abbiamo già vinto. Ed alla lunga arrivano anche i risultati
desiderati.
Quindi, secondo lei, la coppa esalta tale filosofia?
Certamente. Le partite sono più avvincenti perché si gioca a viso aperto: lo spirito delle equipe
arrivate in fondo è simile. L’effetto del responso immediato ha tolto buona parte del tatticismo e del
“mestiere”, costringendo a ricercare, sempre, di realizzare una rete più degli avversari.
Nel vostro cammino, qual'è stato l'avversario più difficile?
Il match chiave è stato il primo contro il Bacigalupo. Tuttavia, escludendo la finale (che fa sempre
storia a se) con il Fiano, la formazione contro la quale abbiamo rischiato di più è stata lo
Champdepraz. Lo score dell'andata (5-1 casalingo, con una gara perfetta) sembrava aver spazzato
via ogni dubbio: il ritorno, viceversa, è stato al calor bianco, sebbene si sia disputato sotto una
costante pioggia.
Una sconfitta per 5-2 forse, alla vigilia, non pronosticabile...
Hanno dimostrato esperienza, sapendo leggere bene le varie situazioni di gioco. Noi avevamo
cominciato alla grande ma, sullo 0-0, abbiamo sciupato almeno cinque nitide occasioni. La loro
seconda rete, allo scadere della prima frazione, ha determinato un punteggio surreale. Nella
ripresa, siamo stati bravi a non perdere la bussola, segnando i due goal che ci hanno garantito
l'approdo in finale: ma abbiamo tremato sino alla fine.
Com'è stato l'avvicinamento della sfida contro il Fiano?
La preparazione è iniziata proprio nel return match in Valle d'Aosta. In quella occasione, siamo
andati in campo con dieci giocatori diffidati ed un unico obiettivo: qualificarci senza patire
squalifiche. Molto importante, anche, la possibilità di aver visto l'ultima di campionato tra Fiano e
Collegno. Infine, la gestione della tensione: prima della fischio d'inizio, i ragazzi erano molto tesi.
Mi sono messo a raccontare storielle divertenti: ha funzionato...
Quale la valutazione sulla finale?
Il primo tempo è stato più attendista, il secondo più spettacolare. Tuttavia, abbiamo cercato, già
nella prima frazione, di alzare progressivamente il baricentro dell'azione. I frutti li abbiamo
raccolti nel secondo tempo: è stata premiata la spavalderia e l’entusiasmo dei nostri giovani (età
media 21 anni).
L'allenatore del Fiano vi ha reso omaggio: «Queste partite, anzitutto, si vincono con la testa...».
Una considerazione signorile e, sicuramente, ponderata. Credo, però, che la differenza, per loro,
l'abbiano fatta gli squalificati: in Zona Cesarini, avrebbero persino potuto trovare il 2-2. I miei
hanno mantenuto i nervi saldi. Si, queste sfide sono, soprattutto, una questione di testa.
Nel corso dei 90' ha effettuato delle varianti tattiche?
Nel secondo tempo, non essendo riusciti a chiudere il match, ho abbassato le ali, trasformando il
4-3-3 in un 4-1-4-1. Non siamo bravi a difenderci: quindi abbiamo rischiato di essere rimontati. I
ragazzi non hanno, però, mai smesso di seguire le mie indicazioni, realizzando una vera impresa.
Mi ha colpito l'affermazione di Eudo Giachetti, vicepresidente vicario Figc/Lnd
Piemonte/Valle D'Aosta: «Ma questa squadra come ha fatto a non arrivare nemmeno ai playoff?». Come si spiega la vostra differenza di rendimento tra campionato e coppa?
Ribadisco: nella stagione regolare, si scende in campo pensando più al risultato che al gioco. Le
cause sono molteplici (esempi emblematici: l'età media avanzata degli atleti ed una mentalità dura
a morire). Il risultato fine a se stesso comporta lotte dove vale tutto: prevalgono i valori
squisitamente più fisici ed aggressivi e gli arbitri hanno cattivo gioco a cercare di sanzionare le
situazioni. Noi abbiamo, semplicemente, scelto un'altra strada...
In questo campionato, avete contato gravi infortuni...
Purtroppo, ci sono state gare dove non si riuscivano a mettere insieme tre passaggi di fila senza
subire falli intimidatori od antisportivi. Sono a testimoniarlo le cause che hanno prodotto la
clavicola rotta a Ievolella, il crociato rotto a Demasi, l'infortunio al crociato di Maina ed altre
caviglie e ginocchia malconce. Perché questa aggressività viene considerata “legittima” dai
direttori di gara?
Vuole dire che non c'è la dovuta tutela del gioco?
Si, ma tale finalità dovrebbe simboleggiare una meta ideale. In coppa, fortunatamente, gli
arbitraggi hanno sanzionato con più puntualità gli atteggiamenti antisportivi: ciò ha permesso alla
Bruinese di esprimersi secondo i suoi reali valori. I tifosi (che ringrazio per il calore dimostratoci)
accorsi a sostenerci si sono divertiti ed i miei ragazzi hanno alzato, al cielo di Torino, il trofeo più
sognato: un cammino che resterà, per sempre, nella storia di questa società. Un trionfo da dedicare
al tutto il Direttivo, al presidente Andrea Taramasco e all’operato prezioso del Direttore Sportivo
prima squadra, Michele Sforza.
Federico Rabbia
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