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Isole Borromeo: bella gita e tanta solidarietà
Notiziario N° 20 - Dicembre 2012 per i soci Dal 1892 competenza e professionalità prestate in un rapporto umano Isole Borromeo: bella gita e tanta solidarietà La carica dei 400 soci Rinuncia al regalo di 5.000 euro per devolverlo alle popolazioni terremotate dell’Emilia. p.12 MONASTERO AL BINENGO Il tempio caro ai Sergnanesi p.18 LA BANCHÈTA DA SANTA MAREA Don Lunghi: «Mio padre, direttore...» Le nostre riflessioni Non siamo un’isola: cooperare conviene Celebriamo l’anno internazionale della cooperazione. Con l’obiettivo di conciliare sempre produttività economica e responsabilità sociale. Il 2012 è l’anno internazionale delle Cooperazione che l’Onu ha dedicato al milione e 400mila cooperative diffuse in oltre 100 Paesi del mondo e agli 800 milioni di cooperatori. Dentro le quali ci sono anche le banche locali e cooperative italiane, estranee alle attività finanziarie ad alto rischio che hanno causato la crisi e che, al contrario, hanno continuato a concentrare la propria attività sull’economia reale, concedendo credito alle famiglie e alle piccole e medie imprese anche quando altre banche avevano cessato di farlo. Non è narcisismo e autoreferenzialità. Sono i bilanci a parlare. E di quello di Banca Cremasca ne parliamo proprio in queste pagine. Nella massima trasparenza. Ma andiamo al nocciolo della questione: che cosa significa essere un’impresa cooperativa? A mio parere, il ruolo di una cooperativa, bancaria e non, è quello di 02 diventare un motore di sviluppo sociale ed economico del territorio. Di vivere da protagonista il processo di miglioramento del bene comune che ha sempre rappresentato la linea guida del nostro istituto, un ruolo sempre più apprezzato e riconosciuto dalle comunità nelle quali Banca Cremasca ha visto svilupparsi le proprie radici. Ma essere cooperativa significa anche promuovere la partecipazione piena delle persone; quindi, diventare un ingranaggio ben lubrificato e affidabile di democrazia partecipata perché basata sul rapporto dialettico tra banca, soci, correntisti, istituzioni e comunità. Con l’obiettivo possibile di conciliare produttività economica e responsabilità sociale. L’anno internazionale delle Cooperative arriva in un momento in cui l’economica è sempre più globalizzata. E se, tempo fa, il modello cooperativo contribuì principal- mente a sradicare la povertà in molte parti del mondo, oggi l’impresa cooperativa offre reali speranze di risolvere i problemi anche nei Paesi sviluppati alle prese con la crisi finanziaria, gli spread e i debiti sovrani. In che modo? Non certo con l’attività speculativa, ma con la consapevolezza che si può coniugare business ed etica. Infatti le cooperative - imprese a proprietà diffusa e a gestione democratica che tendono a migliorare la vita dell’uomo in ogni angolo del pianeta – con il loro modello di business hanno già raggiunto in Italia 108 miliardi di produzione generati da 71.500 imprese attive e oltre un milione di lavoratori. Su questo tracciato ci stanno le Bcc che, fra i pilastri del sistema bancario cooperativo, hanno conferito stabilità ai sistemi bancari e finanziari, e promosso la tenuta e lo sviluppo dei territori. Sono l’ennesima dimostrazione che le aziende cooperative, in genere, possono dare un contributo decisivo nella crisi perché risultano radicate nelle loro aree di appartenenza, non “scappano” all’estero per massimizzare i profitti e rivolgono particolare attenzione al capitale umano. Infine, non sembri il mio un discorso utilitaristico, ma si deve cooperare non soltanto per responsabilità solidale, ma anche perché conviene. Lo ha detto anche il premier Mario Monti che considera la cooperazione un investimento strategico in termini di sicurezza, di gestione di flussi migratori, di protezione dell’ambiente, di sicurezza energetica e di promozione di opportunità per le imprese italiane. Già molti piccoli e medi imprenditori, anche concorrenti tra loro, cooperano con contratti di rete per competere sui mercati mondiali. L’uomo, finalmente, ha scoperto davvero di non essere un’isola. Il credito cooperativo l’ha scoperto 129 anni fa con la nascita della prima Cassa Rurale nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova. E 120 anni fa con la nascita di Banca Cremasca. Francesco Giroletti 03 Filo diretto Notiziario con i soci per i soci: una copia per casa Se avete qualche comunicazione da trasmettere alla banca, se avete dei chiarimenti da chiedere, se avete bisogno di consigli e se volete risolvere i vostri dubbi, ora puoi scrivere o telefonare a Banca Cremasca. Sarai ascoltato e troverai una risposta. La lotta agli sprechi nasce anche da piccoli gesti. Infatti, può capitare che in una famiglia ci siano più soci a Banca Cremasca, a ognuno dei quali viene spedito il «Notiziario per i soci» della banca. Ma avere in casa più copie della stessa pubblicazione è sicuramente uno spreco. Per riceverne una sola, scrivi o telefona a Banca Cremasca. E’ stata fornita liquidità alle aziende e alle famiglie Il nostro bilancio Sommario PAG.2 Le nostre filiali PAG.3 Giroletti: cooperare conviene PAG.5 Bilancio 2011: fornita liquidità a famiglie e aziende PAG.8 Cosmesi: un plafond di 5 milioni PAG.11 Azimut, un partner PAG.12 Un monastero di religiose unito al Santuario del Binengo In che modo? Ricordiamo l’emissione di obbligazioni per finanziare le imprese, il «Piano Famiglie» per rinegoziare i mutui e sospendere il pagamento delle rate, la garanzia dell’erogazione del credito ai lavoratori in difficoltà. PAG.16 La Cattedrale sta tornando bellissima PAG.18 Se hai un computer, scrivi a questa e-mail: [email protected] Se hai un computer, scrivi a questa e-mail: [email protected] La banchèta da Santa Marea: ecco come è nata e come si è sviluppata. Due testimonianze importanti PAG.24 L’internet banking: la tua banca in tasca con un semplice smartphone PAG.25 Se hai un telefono, chiama: Vera Delmiglio 0373-877136 Se hai un telefono, chiama Vera Delmiglio 0373-877136 Av v i s o i m p o r t a n t e Direttore responsabile: Sergio Cuti Coordinatore editoriale: Vera Delmiglio Comitato di redazione: Francesco Giroletti, Giuseppe Capellini, Lamberto Brambatti, Gianfranco Rossi e Cesare Cordani. Testi di: Chiara Scuri, Gionata Agisti, Michele 04 PAG.26 Gita alle isole Borromeo: una bella giornata, e anche tanta solidarietà. PAG.28 Nell’ottica di agevolare la canalizzazione delle disposizioni di bonifico dall’estero, a decorrere da LUNEDI’ 8 OTTOBRE 2012 il CODICE BIC (Bank Identifier Code) di Banca Cremasca Credito Cooperativo è stato variato. Pertanto, dalla decorrenza sopra indicata, il nuovo codiice BIC di Banca Cremasca Credito Cooperativo è il seguente: ICRA IT RR TW0. NOTIZIARIO PER I SOCI Termini finanziari: dizionario Editore: Banca Credito Credito Cooperativo soc.coop p.zza Garibaldi 29 CREMA Registrazione del Tribunale di Crema n.128 del 20.1.2003 Progetto Grafico: TRENTUNODIECI Stampa: Grafica G.M. via degli Artigiani 8, Spino d‘Adda (provincia di Cremona) Associato all’USPI Si ringraziano tutti coloro che hanno messo a disposizione le immagini presenti nel notiziario Bcc, «non ci resta che crescere»: tutto il resoconto del convegno di studi del Credito cooperativo lombardo PAG.29 Sport: Banca Cremasca ha premiato le squadre finaliste del trofeo Dossena PAG.30 Libri: «Vince in Bono Malum» di Vittorio Dornetti PAG.31 Cucine: tortelli cremaschi Sul numero scorso, avevamo fatto alcuni cenni al bilancio 2011 della banca, approvato il 20 maggio scorso dall’assemblea dei soci, riportando i dati essenziali che dimostravano sia la solidità di Banca Cremasca sia la fedeltà alla sua missione che è quella di sostenere l’economia del territorio. Avevamo, quindi, riassunto alcuni dati: l’utile netto di 1,7 milioni, il coefficiente patrimoniale di solvibilità superiore del doppio al minimo previsto, i maggiori finanziamenti (rispetto al 2010) a imprese e famiglie, le molteplici attività di supporto alla cultura e allo sport così come numerose sono state le iniziative di solidarietà ritenute meritevoli. Dopo i flash, ecco su questo numero l’approfondimento del conto economico. Innanzitutto, la situazione dell’economia cremasca nello scorso anno, che, come quella a livello nazionale, ha risentito degli effetti della crisi finanziaria – iniziata nel 2008 negli Usa – che si è poi allargata lungo tutta la Penisola; a questi vanno aggiunti i contraccolpi dovuti ai debiti sovrani e al declassamento del rating di alcuni Paesi europei, tra i quali anche l’Italia. Come uscire dal tunnel? Banca Cremasca ha indicato alcuni rimedi, quali: l’accesso al credito, l’internazionalizzazione e l’innovazione delle imprese. E si è attivata su questa strada con iniziative - realizzate in proprio o insieme alle istituzioni economiche del territorio per fornire liquidità ad aziende e famiglie. Quali? Ricordiamo «Insieme per il territorio-bond territoriali»: è stata un’opera05 Il tavolo della presidenza. Da sinistra: Mauro Regazzetti (vice direttore), Mario Tagliaferri (presidente del Collegio sindacale), Giuseppe Capellini (vice presidente), Francesco Giroletti (presidente dell’istituto), Cesare Cordani (direttore generale) e Giovanni Barbaglio (notaio). Gli atti concreti di supporto all’economia cremasca hanno fornito ossigeno alle imprese e alle famiglie nella speranza che la fine della crisi possa migliorare la «bontà» del credito. Banca Cremasca nel 2011 ha prestato molti più soldi che nel 2010: 397 milioni, crescita del 4%. zione vincente, realizzata con l’associazione Industriali di Cremona, che ha permesso di finanziare le aziende del settore manifatturiero attraverso l’emissioni di obbligazioni che, in brevissimo tempo, sono state collocate presso i risparmiatori. Il «Piano famiglia»: la Bcc ha prorogato i termini di adesione all’iniziativa, proposta dal ministero delle Finanze, che aveva previsto la possibilità, nei casi di difficoltà, di rinegoziare i mutui e di sospendere il pagamento delle rate. Banca Cremasca ha anche prorogato il protocollo per anticipare l’indennità di cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, siglato nel 2009 da amministrazione provinciale, Camera di commercio, 06 sindacati, associazioni di categoria e banche locali, che si sono impegnate per garantire l’erogazione del credito alle categorie di lavoratori in difficoltà. Ma non è finita: la banca ha sostenuto con continuità le iniziative imprenditoriali in appoggio allo sviluppo economico e sociale delle proprie comunità. La realizzazione di tutte queste azioni è stata possibile grazie all’elevato livello di liquidità ed al significativo patrimonio della Banca. Questi atti concreti di supporto all’economia cremasca hanno fornito ossigeno alle imprese e alle famiglie pur nella consapevolezza che il perdurare della crisi può migliorare la «bontà» del credito. Banca Cremasca, nel 2011 ha prestato molti più soldi che nel 2010: 397 milioni, una crescita del 4%. Il 71,3% dei finanziamenti ha riguardato i mutui che, nel giro di un anno, sono passati da 271 a 283 milioni, con un incremento del 4,4%. Ma come anticipato, proprio a causa dei tempi lenti di uscita dalla crisi, sono contemporaneamente cresciuti (5,1 milioni) i crediti deteriorati che, al lordo delle svalutazioni, hanno raggiunto la cifra di 21,7 milioni. Questo deterioramento del credito ha influito negativamente sulla redditività della banca a causa dei costi connessi alle rettifiche di valore apportate. Sempre parlando dei crediti non performing, cioè deteriorati, c’è da rilevare il capitolo delle sofferenze. Se al lordo dei dubbi esiti, sono ammontate a 10,4 milioni (6,7 milioni nel 2010) con l’indicatore sofferenze/impieghi al 2,6% (inferiore alle percentuali a livello provinciale e regionale che si sono attestate rispettivamente al 3,9% e al 4,6%), queste stesse sofferenze, al netto delle svalutazioni effettuate, sono risultate pari a 6 milioni e il rapporto sugli impieghi netti si è attestato all’1,5% rispetto allo 0,7% del 2010. Queste ultime cifre e percentuali che cosa indicano? Un fatto importante: la buona qualità delle garanzie a supporto dei crediti in esame e le fondate aspettative di recupero hanno prodotto una significativa riduzione della necessità di accantonamento. Se i prestiti (gli «impieghi») sono stati in crescita nel 2011, la raccolta da clientela complessivamente è scesa del 2,2% - rispetto al 2010 - a 718,3 milioni di euro. Che cosa è successo? Questo: invece di mettere i soldi sul conto corrente, i clienti di Banca Cremasca hanno investito in titoli obbligazionari o di Stato; e questa scelta è stata penalizzante nel totale delle masse amministrate per la forte diminuzione dei corsi nel secondo semestre. La raccolta indiretta è, invece, cresciuta dell’1,2% a 212,9 milioni, dopo un buon primo semestre a +7,13% sul 31 dicembre 2011 con una quota di 225,4 milioni. Il patrimonio, una voce fondamen- tale per il giudizio della gestione di ogni azienda.Dunque, il patrimonio netto di Vigilanza ha raggiunto i 67,656 milioni, in aumento di 1,2 milioni rispetto al 2010 mentre il requisito patrimoniale del coefficiente di solvibilità, ottenuto dal rapporto tra il patrimonio di Vigilanza e le attività a rischio a fine 2011, è stato pari al 16,85% contro un minimo previsto dell’8%. L’utile netto. il bilancio 2011 ha chiuso a oltre 1,7 milioni, in diminuzione rispetto ai 2,5 milioni del 2010. Un calo dovuto al venire meno dei ricavi da intermediazione, dall’aumento delle spese amministrative e dall’inasprimento percentuale delle imposte (950 milioni, pari al 35,8% dell’utile lordo realizzato, mentre nel 2010 la percentuale era stata del 27,3%). Grande è stata l’attenzione della banca nei confronti della clientela. Oltre ad avere prorogato i provvedimenti anticrisi a favore di imprese e famiglie (“sospensione dei debiti delle Pmi nei confronti del sistema creditizio” e “piano famiglie» già citati all’inizio dell’articolo), l’istituto ha puntato sui servizi di «Trading On Line» e «Directa», entrambi fruibili sul sito Internet della banca, mentre tra i prodotti offerti è stato istituto il «Conte Corrente On Line», un importante segnale rivolto soprattutto ai giovani che sono il segmento di clientela più incline all’utilizzo della tecnologia. Inoltre è entrato in vigore il «Conto Cassaforte»: è un conto di deposito che offre una particolare remunerazione alle giacenze subordinate a un vincolo di durata di 12 mesi. Il personale. Al 31 dicembre 2011 i dipendenti erano 127 con un incremento di 3 unità. E l’incidenza del personale impiegato nella rete commerciale rispetto al totale dei collaboratori, è passato dal 64% al 71%; il che dimostra l’impegno della banca a rafforzare il numero dei dipendenti in servizio presso le filiali, mentre anche lo scorso anno è stato centrale l’impegno sulla formazione (7.300 ore) per supportare l’ampliamento delle conoscenze e competenze tecniche del personale. A chiusura dell’esercizio, inoltre, e precisamente il 23 febbraio scorso, gli organi di Vigilanza di Bankitalia hanno consegnato il resoconto della loro periodica attività di ispezione, che ha fatto emergere risultanze positive. Infine Banca Cremasca ha partecipato all’asta a lunga scadenza indetta dalla Bce, sottoscrivendo una tranche di 30 milioni di fondi. Questa liquidità ha già permesso alla banca di fronteggiare ogni richiesta di finanziamento ritenuta meritevole di fiducia. Beneficenza e liberalità. Ma segnaliamo anche sponsorizzazioni, eventi ed iniziative a favore di soci, clienti e comuni del territorio. Un lungo capitolo sulla scelta della banca di «costruire il bene comune…». Ne citiamo alcune di queste liberalità non per narcisismo e auto-celebrazione, ma per ragioni di trasparenza. Nel 2011 sono stati erogati 140mila euro a favore delle parrocchie e regalativi circoli della Diocesi di Crema e del Cremasco. Per il recupero della Cattedrale è stato assegnato un contributo di 100mila euro. Per quanto riguarda la fondazione Benefattori Cremaschi Onlus, l’istituto ha continuato a contribuire al mantenimento dell’hospice cittadino ed è stato concesso un contributo significativo per l’acquisto di un «ecocolordoppler». Altri apporti sono stati concessi in opere e risorse all’Anffas e all’Auser Anziani, e anche alle iniziative editoriali de «Il Nuovo Torrazzo» e de «La Provincia» per la stampa di due volumi a ricordo della visita di papa Giovanni Paolo II a Crema e Cremona. Numerosi i sostegni alla cultura sia a Crema che nel Cremasco, così come molteplici sono stati gli interventi nell’ambito sportivo, dal calcio alle bocce, dalla pallavolo al basket, mentre tra i tornei più significativi, ricordiamo le sponsorizzazioni al «Trofeo Dossena» di calcio, al «Trofeo Città di Crema» organizzato dall’A.S.D. Crema Nuoto, e al Torneo di A1 del Tennis Club. Per quanto riguarda le scuole, da sottolineare i fattivi contributi destinati agli enti morali, in primis alla Fondazione Manziana, punto di riferimento importante e qualificato per l’educazione cattolica nel territorio, oltre al sostegno alle scuole dell’infanzia. Da ricordare il concorso «Talent Scout», organizzato dalla Camera di commercio di Cremona e dall’Associazione Giovani Industriali, in collaborazione con Bcc Cremonese, e il concorso «Intraprendere» promosso dall’omonima associazione e dalla Libera artigiani di Crema. E si potrebbe continua per altre pagine. Atti concreti, nel perseguire il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche di soci, clienti e per la scelta di costruire il bene comune. 07 Il presidente e il direttore di Banca Cremasca - Francesco Giroletti e Cesare Cordani sono soddisfatti delle magliette griffate «Polo» (della cosmesi) ricevute in regalo da Reindustria per il supporto finanziario dato alle aziende del settore. I nostri finanziamenti Un plafond di 5 milioni alla cosmesi L ’ idea è nata in collaborazione con Reindustria e gli imprenditori del Polo della cosmesi mentre i vertici di Banca Cremasca partecipavano al Cosmoprof di Bologna. L’ipotesi di un finanziamento da parte dell’istituto di credito si è formata proprio lì. I titolari delle imprese del make up avevano illustrato la situazione del loro comparto che viaggia su buoni livelli produttivi, ma ha bisogno di liquidità e ne ha bisogno in fretta perché spesso gli ordini arrivano improvvisi. E, quindi, c’è estrema necessità di un fido subito per acquistare materia prima o assumere personale a tempo determinato. Detto, fatto. Banca Cremasca ha messo a disposizione degli operatori della cosmesi un plafond di 5 milioni di euro che sia Reindustria che Banca Cremasca si augurano vengano utilizzati al più presto perché significherebbe che il settore sta continuando a macinare fatturati. «Se così sarà» ha detto il presidente dell’istituto di credito di piazza Garibaldi, a Crema, Francesco Giroletti, «ne metteremo altri a disposizione delle aziende del comparto». Alla conferenza stampa, oltre al presidente Giroletti e ai numerosi imprenditori del settore che hanno voluto così sottolineare con la loro presenza l’importanza dell’iniziativa, erano presenti anche Giuseppe Capellini e Alessandra Ginelli (rispettivamente presidente e direttore di Reindustria, e Capellini è pure vice presidente 08 09 Azimut, un partner I nostri accordi Sottoscritta la convenzione con la società leader del risparmio gestito L’obiettivo di Banca Cremasca è garantire alla propria clientela una più ampia disponibilità di soluzioni, con un’offerta di fondi che hanno dimostrato di essere validi e performanti. Ma sono stati illustrati anche i fondi pensione proposti dal mercato. A parlarne nella sede dell’istituto Roberto Zoia e Andrea Milesio. Da sinistra: Alessandra Ginelli (direttore Reindustria), Giuseppe Capellini (presidente Reindustria), Francesco Giroletti (presidente di Banca Cremasca), Cesare Cordani (direttore di Banca Cremasca) e Paola Riviera (funzionario di Banca Cremasca). Sotto: imprenditori e giornalisti. dell’azienda creditizia), Cesare Cordani e Paola Riviera (rispettivamente direttore generale e funzionario di Banca Cremasca), e molti imprenditori della cosmesi, comparto che vanta 90 aziende e 3mila addetti, mentre il fatturato annuo è di 500 milioni. Un settore che ne sta trainando altri. Giroletti, infatti, non ha dubbi: «Con la cosmesi, ambito all’avanguardia, stiamo sperimentando questa formula di finanziamento, in attesa che possa venire presto applicata ad altre aree produttive». Come a quella della meccanica, che oggi è ancora in difficoltà, ha rimarcato Capellini, ma Banca Cremasca, «che ha superato in modo brillante l’ispezione di Bankitalia, sta Sono tre le caratteristiche principali del prodotto finanziario riservato alle aziende del Polo della cosmesi: la sua flessibilità perché è stato modulato sulle necessità di ciascun imprenditore; ma anche la velocità e la certezza del finanziamento. Infatti, se la liquidità è importante, averla subito è meglio. andando incontro alle esigenze di settori specifici della nostra economia con prodotti studiati appositamente per loro». 10 Per quanto riguarda le imprese del make up, il finanziamento è legato allo smobilizzo dei crediti già fin dall’atto della sottoscrizione del contratto. Se, infatti, un imprenditore presenta in banca il contratto, l’istituto di credito anticipa il 35% ed integra queste anticipazioni fino all’80% contro la presentazione della fattura o delle fatture. E l’imprenditore estinguerà la sua posizione con l’incasso delle fatture stesse. Se la liquidità è importante, averla subito è ancora meglio. La caratteristica dell’iniziativa di Banca Cremasca sta, infatti, proprio in questo: la velocità e la certezza di erogazione del finanziamento, una volta accertata la documentazione presentata all’istitu- to. La somma ha un tetto di 250mila euro per azienda, mentre i tassi sono stati fissati al 5,25% per l’anticipo ordini e contratti e al 4,75% per anticipo delle fatture. Lo strumento che è stato messo a disposizione delle aziende - per alcuni importi consentiti dalla legge anche oltre il Cremasco - ha la peculiarità di essere flessibile e quindi modulato sulle necessità di ciascun imprenditore. Giustamente ha sottolineato Cordani, «non prefabbrichiamo prodotti standard, ma li costruiamo su misura per il cliente. Il nostro è un finanziamento che viene modulato a seconda delle richieste del beneficiario. Lo possiamo fare perché Banca Cremasca è un istituto solido e liquido». Banca Cremasca ha sottoscritto una convenzione con Azimut, società di gestione leader sul mercato che già collabora con altre banche cooperative. Come mai questa scelta dal momento che le Bcc operano con Aureo Gestioni SgrpA, che resta la società di riferimento per la gestione del risparmio del credito cooperativo? La risposta è semplice: per garantire alla clientela una più ampia disponibilità di soluzioni, con un’offerta di fondi che hanno dimostrato di essere validi e performanti. A spiegare questa opportunità ai clienti della Bcc di piazza Garibaldi (60 persone circa presenti all’incontro che si è svolto in Banca Cremasca), sono intervenuti due qualificati relatori. Uno dei quali era il dot- tor Roberto Zoia, responsabile dell’Ufficio studi e analisi di Azimut; nel gruppo da oltre 15 anni, coordina un team di analisti che producono report sull’andamento dei mercati azionari, valutari e obbligazionari e, sempre all’interno della Sgr, si occupa del gruppo di formazione specialistica su tematiche relative alla costruzione dei portafogli. Zoia ha effettuato un excursus sulle dinamiche e le prospettive del mercato finanziario, e sugli spread che hanno infiammato l’estate europea delle Borse, del mondo del credito e soprattutto di alcuni Stati - come Grecia e Spagna - alle prese con i loro debiti e con “i compiti a casa” richiesti dall’Unione europea per rientrare dai debiti con riforme economiche e sociali non più procrastinabili; inoltre ha spiegato che la situazione non si è ancora rasserenata, e quindi le preoccupazioni per il futuro restano. L’altro relatore era il dottor Andrea Milesio, ex giornalista economico di «Milano Finanza» che ha recentemente pubblicato due manuali sulla pianificazione patrimoniale per Buffetti e un manuale sulle pensioni per la Sperling. Entrato in Azimut dal 2005 segue le banche clienti nell’ambito dell’asset management e della previdenza. Milesio si è, infatti, soffermato sui fondi pensione, sui prodotti che propone oggi il mercato e a chi convengono, ricordando che la crisi ha cambiato anche il settore della previdenza. 11 I nostri monumenti Il monastero proprio unito al Santuario del Binengo Lo ha promesso il vescovo, monsignor Oscar Cantoni. E il parroco di Sergnano conferma che il progetto resta ancora valido. La storia architettonica, religiosa e pittorica del tempio. Al suo interno, c’è la statua della Madonna che ha “preferito” Sergnano a Pianengo. L a notizia ce la ricorda don Francesco Vailati: nella sua visita alla comunità di Sergnano, nel 2010, il vescovo di Crema, monsignor Oscar Cantoni, aveva svelato questo suo progetto: «So quanto i Sergnanesi amino il loro Santuario del Binengo, un’oasi di pace, un luogo di preghiera e di consolazione. Dopo aver molto pregato e riflettuto, con il consiglio di molte persone che hanno condiviso il mio desiderio, penso di aver identificato nel vostro Santuario del Binengo, lo spazio utile per la costruzione, nei prossimi anni, di un piccolo Monastero di religiose (o religiosi) dedite alla vita contemplativa. Già abbiamo provveduto a dotare il futuro Monastero di un congruo spazio di terreno adiacente, mentre si attende di conoscere la spiritualità delle Religiose che accetteranno l’invito a risiedere per poter progettare un convento adeguato». Don Francesco ci conferma che quel progetto resta sempre valido. Come ripete che gli abitanti di Sergnano sono da sempre devoti al loro santuario della Beata Vergine al Binengo al quale è riservata una specifica festa popolare e religiosa la prima domeni12 ca di settembre. La struttura sorge vicino alle rive del Serio su un alto terrapieno. Della località, di origine longobarda, si parla fin dal 1022. Non è nota la data della sua costruzione (certo prima del secolo XV), forse a seguito di una apparizione o ritrovamento di una statua della Madonna nel Serio. La chiesetta, architettonicamente molto semplice e graziosa, preceduta da un pronao a tre archi, è arricchita da un ciclo di affreschi, di scuola del Busso, che ne fanno un capolavoro dell’arte popolare cremasca. Quale può essere l’origine e il significato del nome «Binengo»? Dobbiamo leggere quanto ha scritto monsignor Gabriele Lucchi che di Sergnano è stato un illustre parroco dal 1948 al 1976, ma che fu anche uomo di studio e amante delle arti figurative e letterarie. Troviamo il termine «Binengo», anche se nella forma di «Albeningo», in un documento del 3 novembre 1022 e successivamente nel 1192 in un documento imperiale nel quale si parla di «Albernegum». E ancora: nel 1756, negli Atti della Visita Lombardi, si legge «Albinengo» e nel 1911 nella «Carta dell’Istituto Geografico 13 In alto da sinistra: sopra la porta dell’entrata nel tempio è affrescata una settecentesca immagine di Maria, sotto la quale fu apposto il versetto: Mostra Te esse Matrem; don Francesco Vailati, l’attuale parroco di Sergnano e lo spendido interno del Santuario del Binengo. Militare» si legge «Il Binengo». Ci siamo. Binengo sarebbe un termine composto da due parole: «bine» dall’antico tedesco «bühne» ed «engo» di denominazione longobarda. Bühne significherebbe «suddivisione di vicinia», e nel nostro caso l’interpretazione potrebbe essere «parte della vicinia» di Sergnano. Altri storici sottolineano, invece, che la parola «bina» è usata a indicare «riparo, palafitta, chiusa…», e infatti i due corsi d’acqua che irrigano il Serio, la Babbiona e il Menasciutto, hanno origine proprio di fronte al Binengo, mediante «chiusa» di traverse e palafitte. Sicuramente la desinenza «engo», che significa abitato, insediamento circostante, sta a indicare che il nome Binengo è di origine longobarda. Questa desinenza «longobardica ci persuade che l’epoca d’origine della località debba assegnarsi al secolo VII 14 circa» scrive sempre monsignor Lucchi. Il Binengo è caratterizzato da un’antica chiesa con il suo campanile e la casa del custode. «C’è ancora un custode» avverte don Francesco, «che si prende cura del santuario». In antico, forse, qui sorgeva un gruppo di case. E nei pressi del santuario «esisteva un’altra chiesetta dedicata a S. Stefano», la chiesa di una piccola comunità oppure la cappella cimiteriale del villaggio scomparso. Si sa, invece, che ancora nel 1756 qui vi dimorava in permanenza un sacerdote che vi celebrava la messa ogni giorno. «Una tradizione immemorabile» registrata negli Atti della Visita Lombardi (1756), «racconta che la Madonna sarebbe apparsa l’8 settembre (non si dice di quale anno) a una fanciulla che conduceva le oche al pascolo. La Vergine avrebbe ingiunto che in quel luogo si edificasse un santuario in suo onore, e in segno del suo volere sarebbe stato fatto fiorire miracolosamente la piccola verga che la fanciulla teneva nelle mani. Secondo una variante, la verga sarebbe fiorita dopo che fu piantata in terra… Tutto è da ritenersi una favolosa diceria popolare, a cui non si può dare nessun credito, e che abbiamo qui riferito solo per smentirla». Veniamo alla struttura: «… il nostro oratorio, che la gente si compiace di chiamare santuario, è di semplice e bella architettura cinquecentesca…», ed entrando «nel divoto ed elegante santuario, la prima impressione è quella di entrare nell’atelier del pittore Aurelio Busso, perché tutto qui ci riporta a lui… dobbiamo ammettere che al seguito del vecchio Busso si era formata una nutrita schiera, o scuola, di allievi che presero da lui non solamente l’avvio dell’arte, ma ne ereditarono i disegni e i carto- In basso, sempre a partire da sinistra: l’esterno del noto santuario; l’arco trionfale sul quale vi è rappresentata l’assunzione di Maria con, ai lati, san Giovanni Battista e santo Stefano, e sopra il crocefisso ligneo cinquecentesco; infine, lo splendore dell’altare con la nicchia dove si venera la famosa Madonna con Bambino, fiancheggiata da due statue rappresentanti i genitori di Maria, cioè Giochino e Anna. ni… siamo quindi davanti ad un episodio artistico che caratterizza la pittura cremasca sulla fine del Cinquecento e il principio del Seicento. Sono gli anni in cui l’eredità del Civerchio è esaurita; i nuovi astri della pittura cremasca, Carlo Urbino e Giovanni da Monte, benché si dica di loro che furono allievi di Aurelio Busso, lavorano lontano; l’epoca del Pombioli e del Barbelli non è ancora venuta; sul nostro suolo sono rimasti gli allievi del Busso, che cercano di fare del loro meglio copiando il maestro... si comprende che tutto questo lavoro è frutto di diverse mani; diciamo di un maestro-capo, molto dotato e molto vicino al Busso, e verosimilmente suo diretto discepolo, con dei collaboratori più o meno esperti…». Di sicuro, sempre secondo monsignor Lucchi, dopo quello «grossolano del 1944 che ripassò con maldestro pennello tutte le figure...», nel 1985 ci fu un secondo restauro, «una sospirata revisione restituì tutte le parti originali, levando via le false sovradipinture e mettendo in chiaro le condizioni degli affreschi originali. Questa prima operazione di pulitura rivelò subito finezze inaspettate, specialmente nei volti soavi delle Madonne» La figura centrale è quella della Madonna con Bambino, rara immagine in terracotta policroma che la rappresenta seduta su un trono in terracotta. Questa è un’importante opera risalente «al fine del secolo XV», «che si venera nell’oratorio» e che secondo le credenza popolare, «fu depositata dalle onde infuriate» del Serio, e poi essendo «sorta la questione tra Sergnano e Pianengo, a chi dovesse toccare il privilegio di appropriarsela», la statuetta stessa ha indicato «Sergnano col volgersi ripetutamente e misteriosamente verso Sergnano». «... il nostro oratorio che la gente si compiace di chiamare santuario» scrive monsignor Lucchi, «è di semplice e bella architettura cinquecentesca... ed entrando nel divoto ed elegante santuario, la prima impressione è quella di entrare nell’atelier del pittore Aurelio Busso, perché tutto qui ci riporta a lui...» 15 La Cattedrale sta ritornando bellissima Purtroppo è slittata ancora l’apertura del Duomo. Ma una visita al cantiere ci dimostra che il principale tempio di Crema non è mai stato così bello. Si procede comunque verso la fine dei lavori. B isognerà pazientare ancora un po’ per ammirare finalmente il Duomo restaurato. Non è chiaro quanto, ma l’augurio di monsignor Vito Barbaglio, presidente del Capitolo della cattedrale, nonché della Commissione Restauri, è che l’opera possa essere completata entro l’anno, dopo oltre un anno e mezzo di lavori. Non è stato, infatti, possibile riaprire il Duomo in occasione del 12 ottobre, data in cui ha preso il via l’Anno della fede indetto dal Papa, così come avrebbe sperato il vescovo Oscar Cantoni. La primavera scorsa si era parlato addirittura di una possibile, parzia- le apertura per la festa di San Pantaleone, il 10 giugno, ma fu presto evidente che rimaneva ancora molto da fare. Il restauro ha interessato le cappelle del Crocifisso, della Madonna e di San Pantaleone e le tre navate, di cui è stata completata la pulitura del cotto, delle pareti intonacate e delle parti in pietra, con un’attenzione particolare alle volte, dove si è lavorato per mantenere la tonalità d’intonaco originaria, rinvenuta durante la stessa operazione di pulitura. Il rosone della facciata nord è stato smontato per intero, in modo da consentire una pulitura efficace e poi è stato Quelle che potete ammirare in queste due pagine sono soltanto alcune delle foto che sono state scattate dal geometra Ferdinando Vacchi, responsabile della sicurezza del cantiere del Duomo. 16 risistemato, con l’aggiunta di un secondo telaio metallico come protezione, identico all’originale ma con vetro trasparente, così da figurare invisibile. La stessa procedura ha riguardato anche le vetrate: pure in questo caso, sono state realizzate delle protezioni invisibili. Per quanto riguarda le opere in pietra, come la lunetta che domina il portone principale, i tecnici si sono avvalsi di un particolare sistema di pulitura a laser, per rimuovere in maniera molto più soddisfacente lo strato di sporco, accumulatosi con il tempo. Scartata, invece, dopo una prima presa in considerazione, l’ipotesi di interrare il sistema di riscaldamento. All’appello, ora, mancano solo il campanile, l’impianto di illuminazione e i lavori affidati a Mario Toffetti, che si sta occupando della cattedra, del pavimento del presbiterio e dell’ambone. Lo scultore è attualmente al lavoro sul pavimento, è a buon punto con la cattedra episcopale. Per l’impianto luci, come ci informa l’architetto Vania Scaramuzza, coordinatrice dei restauri, occorre aspettare il parere positivo della Soprintendenza, il cui sopralluogo è atteso a giorni. «Fino a che non ci sarà questo controllo» spiega l’architetto, «non è possibile lucidare il pavimento e quindi trasportare gli arredi all’interno». Infine, i lavori al campanile sono terminati da breve. L’intera opera di restauro arriverà a costare presumibilmente 3,5 milioni di euro, praticamente un milione in più della cifra iniziale, ma il Capitolo aveva preventivato questo possibile aumento. «Tuttavia, questi costi sono notevoli» sottolinea il presidente del Capitolo della Cattedrale. «Per questo stiamo cercando altri sponsor, oltre a quelli che già ci hanno sostenuto. In caso contrario, dovremo per forza di cose ricorrere a un mutuo». Come si ricorderà, Banca Cremasca è stata tra i primi sponsor che hanno risposto all’appello per il restauro della Cattedrale di Crema. 17 La nostra storia Sono ormai passati 120 anni dalla sua fondazione dovuta alla forte determinazione dell’allora parroco, don Agostino Fasoli. La Cassa ebbe sede nella canonica per tanti anni, e per questo fu il simbolo di una scelta confessionale marcata. Poi, il nostro salto nel tempo ci porta agli anni Trenta quando - fino ai tempi del «miracolo» economico - a dirigere l’istituto fu chiamato Mario Lunghi. E suo figlio, don Marco, ci svela quel periodo nel quale il microcredito salvò moltissimi dalla miseria. La banchèta da Santa Marea: ecco come è nata e si è sviluppata Una tesi di laurea ci illustra perché le origini di Banca Cremasca si trovano anche in questo quartiere. E il figlio illustre di un grande direttore ci racconta i suoi ricordi. Q uando, come e perché è nata la Bcc di Santa Maria che oggi fa parte di Banca Cremasca? Fra i testi che abbiamo trovato, degno particolarmente di nota è la tesi di laurea di Elena Pariscenti (Economia e Commercio, Facoltà di Economia dell’università degli Studi di Bergamo) dal titolo: «Storia delle Banche Cooperative: il Caso della Cassa Rurale dei Prestiti fra i Terrazzani di Santa Maria della Croce». E’ da questa tesi di laurea che andiamo a prendere alcuni paragrafi per inquadrare la nascita e i primi anni di vita di quella che venne familiarmente chiamata «la banchèta da Santa Marea». Leggiamo. «Domenica 27 novembre 1892, nel comune di S.Maria della Croce e precisamente nella casa parrocchiale sita nella Piazza del Santuario, venne formato l’atto costitutivo della Cassa di prestiti tra i Terrazzani del comune di Santa Maria della Croce. La denominazione “terrazzani” è traducibile con “contadini”, ma anche con “abitanti di un borgo, paesani”; essa ben rappresenta le categorie a cui si rivolse la Cassa, la stretta circoscrizione locale di riferimento e il forte senso di appartenenza ad una comunità limitata». Lo scopo della Cassa, così come indicato nell’atto costitutivo era quello di «migliorare la condizione materiale e mora18 le dei suoi soci, fornendo loro, sotto speciali garanzie e contratti, il denaro necessario per i loro bisogni agricoli e commerciali e di favorire nello stesso tempo il risparmio». Continua lo scritto di Elena Pariscenti: «La costituzione della Cassa avvenne per iniziativa del parroco, don Agostino Fasoli… l’atto venne redatto dal notaio Luigi Meneghezzi, che aveva stilato anche quello della cassa Rurale di S. Bernardino… la Cassa venne costituita sotto forma di società cooperativa in nome collettivo da venti soci fondatori… appare subito evidente la scelta confessionale abbracciata dalla Cassa, testimoniata non solo dalla presenza tra i soci del parroco e del curato (era Carlo Polomini ndr) della parrocchia, ma anche dalla scelta della casa parrocchiale come sede ufficiale della Cassa (ubicazione che rimase invariata per molti anni). Dopo le guerre, l’ufficio della Cassa venne trasferito in un locale delle Acli di S.Maria e solamente in seguito si affittò un locale che fosse riservato esclusivamente all’attività della Cassa». Dunque, ecco la caratteristica dominante della «banchèta»: era una banca «fortemente cattolica fin dalla sua nascita; elemento caratterizzante della sua storia fu il fortissimo legame tra i parrocchiani e il loro par19 La nostra storia roco, Don Agostino Fasoli, e il loro grande impegno in campo religioso»; un’impronta cattolica «in contrasto con quella laica della Cassa rurale di S. Bernardino». Ma nello statuto della banca non viene richiesto di essere cattolici, come in altre Casse; fra i requisiti fondamentali richiesti è la residenza nel comune di Santa Maria della Croce o l’avere lì “frequente dimora o coll’avervi continuate relazioni”, tanto che il trasferimento della residenza ad altro comune è motivo di perdita della qualità di socio». Chi era don Fasoli? «Nato il 30 novembre 1825 a San Michele, figlio di Michele Fasoli, di professione contadino, e di Margherita (o Margarita) Fusar Poli, originaria di Credera, venne ordinato sacerdote il 23 settembre 1848 nel Duomo di Crema. Nel 1850 fu ordinato coadiutore del Vicario Spirituale di S. Benedetto di Crema, nel 1858 preposto di S. Michele e nel settembre 1860, parroco di Santa Maria della Era il 16 gennaio 1893: quel giorno si riunirono 17 dei 20 soci fondatori della banca. Che elessero il primo Consiglio d’amministrazione dell’istituto che fu rappresentato da un «fittabile», un «negoziante», 2 «possidenti» e 2 «lavandai». derazione di Santa Maria della Croce come parrocchia “difficile”». Forse c’era già stato, prima dell’arrivo di don Fasoli, «qualche tentativo di manifestazione anticlericale, contro il quale la popolazione della parrocchia si era ribellata… all’interno del paese si manifestavano contrasti tra i cattolici e al- carattere molto forte. Ma ritorniamo alla banca. «Il 16 gennaio 1893 si riunirono 17 dei 20 soci fondatori per “nominare gli individui che devono assumere le cariche di componenti la Amministrazione della Società”». In pratica, il Consiglio di amministrazione di oggi. Nella stanza dei bottoni dell’istituto entrarono un «fittabile», un «negoziante», due «possidenti» e due «lavandai». «La professione di lavandaio (“laandèr”) era tipica del comune di Santa Maria della Croce. Essi lavavano la biancheria dei nobili e dei borghesi cremaschi, le tovaglie delle trattorie e le lenzuola dell’ospedale utilizzando enormi caldaie nelle quali facevano bollire ad acqua e cenere i panni che poi venivano sciacquati nei numerosi fossi… i lavandai erano una categoria privilegiata con guadagni superiori a quelli dei contadini. Significativa nel Comune era anche la presenza dei mulini e A sinistra, don Marco Lunghi. In alto, l’attuale sede della filiale di S. Maria di Banca Cremasca. Qui sotto, la villetta in via Bergamo, subito dopo la curva della Basilica in direzione di Pianengo, nella quale Mario Lunghi, l’amato e stimato direttore della «banchèta da Santa Marea», trasferì l’istituto di credito negli anni che furono contrassegnati dal boom economico. «I clienti venivano sia da Crema che dai paesi vicini». Don Marco Lunghi Croce». Divenne prevosto di questa parrocchia per meriti particolari? No. Ecco, infatti, un’altra delle tante curiosità storiche trovate in questa tesi di laurea: «… il vescovo Ferrè annunciò il concorso per l’assegnazione della parrocchia. Don Fasoli fu l’unico candidato, forse a causa della consi20 cuni abitanti laici o addirittura anticlericali, contrasti resi più aspri dal clima generale di scontro tra Stato e Chiesa e dal conflitto di competenze sorto tra potere religioso e potere laico… Don Agostino Fasoli entrò in conflitto con il potere laico in più occasioni…». Era un sacerdote, dunque, dal dei mugnai, che rientravano nella categoria degli agricoltori. Lungo la Via Mulini, infatti, le attività diffuse erano quelle dei lavandai e dei mugnai per la presenza di fossi su entrambi i lati della via». Ma qual era la professione dei primi soci della banca? Lo si scopre leggendo il verbale della sesta adunanza dell’assemblea generale della Cassa. «Quando la nostra Società si è costituita legalmente, i Soci iscritti erano 17, e al 31 dicembre 1893 salirono a 28. Undici soci in più! E’ un bel numero se si considera che questa nostra Società Cooperativa è ristretta al solo nostro Comune che non arriva alle duemila anime. Di questi soci, 9 sono agricoltori, 10 possidenti, 5 lavandai, 3 negozianti, 2 sacerdoti, 1 muratore». Vediamo ora che cosa emerge dall’analisi dei primi bilanci. «Nonostante l’esiguità del capitale sociale (£ 280) e dei depositi di terzi quasi inesistenti (£ 5,17), la Cassa Rurale di Santa Maria della Croce riuscì nel primo anno d’esercizio a erogare ai soci ben 26 prestiti utilizzando un prestito in Conto Corrente aperto presso la Banca Popolare di Crema. I prestiti venivano richiesti principalmente per esigenze legate all’attività produttiva. E’ significativo sottolineare che, tranne il primo anno d’attività, la Cassa non ha mai registrato perdite negli anni presi in considerazione (1892-1901). E a conferma dell’importanza sociale di questa istituzione, il numero dei soci continuò a crescere, passando da 20 a 62 nei primi otto anni di attività, così come aumentarono le richieste di prestiti e i depositi di terzi». Infine, per quanto riguarda i primi anni di vita della banca, ecco il verbale dell’assemblea che ha approvato il primo bilancio (1893) redatto dal presidente don Agostino Fasoli: «Ciò che merita di essere bene rilevato da Voi è: 1. Il cresciuto numero dei Soci in questo primo anno di vita della nostra Società; 2. Il movimento di Cassa, che in detto anno si è effettuato; 3. L’ammontare dei Prestiti distribuiti; 4. L’uso che di questi si è fatto… Il movimento di Cassa in questo primo anno d’esercizio salì a 4.364,92 tanto nell’entrata quanto nell’uscita. I prestiti fatti per un ammontare di 3.580 furono 26. Di questi, 7 per la complessiva somma di £ 1.120 furono impiegati nella compera di legna da fuoco, 9 per la complessiva somma di £ 1.200 hanno servito in parte a soddisfare affitti scaduti ed in parte a comperare Bestie, 1 per £ 200 fu impiegato nella compera di grano da commerciare, 3 per £ 370 a pagare la “mercede” ad operai impiegati in lavori necessari ed utili, 1 di 21 santa maria La nostra storia Mario Lunghi con il figlio, don Marco. Ricorda il sacerdote: «Mio padre era un buon ragazzo e una buona testa, nonostante i suoi studi non siano mai andati oltre le elementari». Due furono i suoi maestri di economia e finanza: «Lello Frezza», milanese, e «Rito Rocca», cremasco, «direttore della Cassa rurale di Capralba». Altro momento storico: così imbandierata, viene inaugurata la nuova sede della Cassa rurale ed artigiana di S. Maria. 22 £ 180 per far acquisto di masserizie, 5 per £ 510 furono impiegati nella compera di frutti da rivendere». E il verbale così continua: «E’ un discreto movimento e, possiamo dirlo con compiacenza, attivato e compiuto con la prescritta regolarità, mercé l’opera assidua giudiziosa del nostro contabile, nelle mani del quale sta la relativa registrazione e per la puntualità, con cui i Soci hanno soddisfatto il loro dovere alla scadenza delle relative cambiali. Questo cioè: le attività del nostro contabile, e la puntualità dei Soci nel soddisfare ai propri impegni, quando non vengano meno, fanno sperare un prospero avvenire nella nostra Cassa Rurale; prospero avvenire che, ove si effettui, come ne ho piena fiducia, tornerà di grande vantaggio al nostro Comune, e di non scarsa soddisfazione anche per noi tutti, che ci siamo adoperati a fondarla, e con diligente premura la sosteniamo». Ora, come se avessimo in mano la macchina del tempo, passiamo dalla fine dell’Ottocento, ai primi decenni del Novecento. Che banca era diventata quella di Santa Maria? Per saperlo, ci viene in soccorso don Marco Lunghi, figlio di Mario, il famoso e amato direttore che tenne prima in vita l’istituto di credito e costruì, poi, le basi per lo sviluppo della «banchèta». «Ho vissuto di riflesso quanto accadeva alla banca perché a quei tempi frequentavo il seminario, e i seminaristi non erano tanto presenti nelle loro famiglie». D’accordo. Affidiamoci, quindi, ai ricordi di don Marco, docente di antropologia culturale all’università Cattolica, direttore di «Insula Fulcheria», e inoltre, racconta, «mi occupo degli scout, scrivo e tengo conferenze». Via al racconto. «Le origini dei Lunghi risalgono ai “laander” di Santa Maria. Poi si sono dedicati all’agricoltura: possedevano una cascina alla Boscarina con i campi attorno. Era la “old house” (la “vecchia casa”) della famiglia. Papà è nato lì, vi è cresciuto prima di trasferirsi al Torchio, località nei pressi del cimitero di Santa Maria, dove c’era la ruota del mulino. In poche parole, papà dirigeva una piccola azienda agricola». «La mia era una famiglia molto religiosa» continua don Marco, «legata alla parrocchia e dedita alle opere sociali promosse dai parroci all’inizio del secolo scorso. Erano i tempi dei “masaniei” e della gente che emigrava in America. Le prime grandi iniziative del credito cooperativo nascono nell’ambiente delle parrocchie. A Vaiano, soprattutto, dove era diventata emblematica la figura del parroco come persona attiva sia in campo religioso che sociale». Nel 1885, infatti, don Barboni fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso che garantiva un minimo di assistenza in caso di malattia o infortunio ai lavoratori agricoli; nella stessa direzione andò anche la sua più importante iniziativa: la fondazione della Cassa Rurale nel 1894. Ma riandiamo agli primi anni del Novecento. «Mario Lunghi» racconta il figlio sacerdote, «era un buon ragazzo e una buona testa, nonostante i suoi studi non fossero andati oltre le elementari». Il futuro direttore della «banchèta» era del 1904. La moglie, figlia di un mugnaio, veniva da via Mulini. Parroco ai quei tempi era don Pietro Brazzoli, canonico onorario. Un quartiere turbolento quello di Santa Maria, si diceva. «C’erano i lavandai, gli operai della Ferriera» racconta don Lunghi, «e si stavano diffondendo i primi segnali di socialismo. Brava gente, senza dubbio, ma parroco e curato avevano una maggiore predilezione per i parrocchiani che venivano dalla campagna». D’accordo. Ma come si è arrivati alla «banchèta»? «A Santa Maria, abitava una nobile, Antonietta Donati. Durante la guerra del ‘15-’18, conobbe un ufficiale, Lelio Frezza. Veniva da Milano. Lo accolse in casa. Frezza aveva frequentato le scuole superiori e aveva conoscenze in quella che oggi chiameremmo la business admistration. Sposatosi, si era trasferito con la famiglia nell’abitazione della Donati diventando amministratore dei beni della signora. Aveva fondato anche una fabbrica di ferri da cavallo. Aveva aderito al fascismo e partecipato alla guerra civile spagnola; nella battaglia di Guadalajara, che si svolse dall’8 al 23 marzo del 1937, fu ferito a morte, lasciando così una la moglie vedova e tre orfani, due ragazze e un ragazzo». Come avete capito, siamo negli anni Trenta. Mario Lunghi è giovane. «Frezza, con pazienza» racconta sempre don Marco, «lo istruisce, e papà impara». Nel frattempo, diventa utile la conoscenza di un altro personaggio importante per il giovane direttore della Rurale di Santa Maria: Rito Rocca, direttore della Cassa rurale di Capralba che aveva una preparazione più specifica avendo frequentato quelle che un tempo si chiamavano le «Commerciali». «Mio papà, per casi specifici, sentiva sempre Rocca». Il giovane bancario si sposa nel 1932, don Marco nasce nel 1933, primo di nove figli, e la famiglia si trasferisce dalla Boscarina al Torchio dal 1934. In un locale della casa, ricomincia la storia della banca di Santa Maria. Poi la seconda Guerra mondiale. Tempi difficili. «La gente apprezzava mio papà, un uomo sincero e pio. Alla sera, all’ora di cena, c’era sempre un via vai di povera gente che veniva a chiedere in prestito i soldi per sposare i figli, per aprire una piccola attività, per pagare i debiti. Mio papà mangiava rapidamente ed era poi disponibile ad accogliere queste persone che arrivavano anche sotto l’acqua e la neve. Finché vivrò, non potrò dimenticare quegli sguardi pieni di tristezza e di speranza. Forse le mie future scelte di sacerdote ebbero origine proprio lì, nell’osservare quelle facce di umanità semplice e dignitosa». Finita la guerra, «noi seminaristi tornavamo a casa per le feste di Natale. Mi ricordo i bilanci di fine anno che dovevano essere chiusi il 31 di dicembre. Venivo assoldato anche se in matematica non ero una cima, ma per fare somme e sottrazioni, insomma, ci arrivavo anch’io. Si trascorreva l’ultimo giorno dell’anno a fare i conti. Lo stesso succedeva nelle altre banche». Don Marco si ricorda anche le tradizionali visite («una volta l’anno») degli ispettori di Banca d’Italia: «Papà non ha mai avuto problemi con la Vigilanza, ma in quei due o tre giorni di ispezioni, in casa scendeva il silenzio». E, finita la guerra, «ci fu un salto di qualità». Il fratello Domenico, dopo le «Commerciali», entrò in banca che venne trasferita in una villetta (oggi è un’abitazione privata), costruita negli anni ’50-’60 su via Bergamo, appena dopo la Basilica in direzione di Pianengo. «E fu il boom. I clienti venivano dai paesi vicini e da Crema». Vennero assunti altri collaboratori. Mario Lunghi si trasferì dal Torchio in via Berga- mo, a pochi passi dalla «banchèta», nella casa che fu di Antonietta Donati, la nobile che aveva ospitato quel Frezza che gli aveva insegnato i primi rudimenti su come dirigere una banca. «Poi papà andò in pensione negli anni Settanta». Oggi don Marco abita nella casa paterna che considera l’autentico patrimonio di suo padre: patri-munus, etimologicamente «il dono del padre». Racconda sempre don Marco: «La gente apprezzava mio papà, uomo sincero e pio. Alla sera, all’ora di cena, c’era sempre un via vai di povera gente che veniva a chiedere in prestito i soldi per sposare i figli, per aprire una piccola attività, per pagare i debiti». Quanti ricordi! Siamo al momento della benedizione della nuova sede della filiale di Santa Maria di Banca Cremasca con un sorridente monsignor Carlo Manziana, l’allora vescovo della nostra città. 23 Il nostro linguaggio Sopra, Luisa Bajetta dell’ufficio analisi gestionale, direzione strategica e mercati finanziari di Abi. Sotto, Federico Rajola, professore di organizzazione aziendale della Cattolica. F ederico Rajola, professore di organizzazione aziendale dell’università Cattolica, direttore del Cetif (Centro di ricerca su tecnologie, innovazione e servizi finanziari) non ha dubbi: «Ci sono canali diversi dallo sportello da utilizzare in modo strategico e attraverso i quali fare marketing negli istituti». Se, infatti, si parla di tecnologia nel rapporto tra banca e cliente, «bisogna accendere i riflettori su Internet perché nulla è paragonabile alla Rete e ai canali virtuali». «Il nuovo territorio è il Web. Con uno smartphone si ha la banca in tasca». La multicanalità? «E’ già vecchia, oggi bisogna parlare di intercanalità». Luisa Bajetta, dell’ufficio analisi gestionale, direzione strategica e mercati finan24 L’internet banking: la tua banca in tasca con un semplice smartphone ziari di Abi, ci fornisce dati interessanti: i clienti di Internet banking erano 9 milioni due anni fa, sono cresciuti a 10 milioni nel 2010 e saranno 12 milioni e 800mila nel 2012. Fra questi, il 38% è cliente di più istituti di credito, il 50% utilizza l’home banking per i bonifici, il 48% per fare investimenti e il 77% ha la carta di credito. Sono esperti della Rete: il 20% naviga tutti i giorni nei siti, altri una volta la settimana. I 2/3 di questo esercito si serve di Internet banking da casa, il 37% dal posto di lavoro e, infine, il 25% utilizza non solo il computer, ma altri strumenti quali gli smartpho- C’è chi continua a preferire gli sportelli delle banche perché ha la filiale vicino a casa o vuole interloquire con il cassiere e il funzionario o ritiene la Rete ancora poco sicura a causa degli hacker. ne, i palmari e i tablet. Ma ci sono molti italiani che preferiscono la filiale. Loro l’hanno spiegato così: il 34% privilegia lo sportello perché vuole interloquire di persona con il cassiere e il funzionario, il 39% perché ha l’istituto di credito a pochi passi da casa, il 41% perché ritiene superfluo il Web dovendo effettuare solo pochi movimenti, mentre, infine, il (20%) ritiene poco sicuro l’Internet ban- king. Ecco altri dati interessanti: nel 2005 passavano comunque in filiale un milione e 900mila clienti (media mensile) che utilizzavano già l’Internet banking; i quali, 5 anni dopo, erano già scesi a 1,5 milioni, mentre il 30% di chi utilizza la Rete, in agenzia non ha messo piede nell’ultimo anno. Se questa è la realtà, se cioè il cliente banconauta dallo scaffale finanziario virtuale prende quello che vuole, questa sua autosufficienza si rivela un bene o un male per il marketing? Luisa Bajetta avverte: «E’ un cliente difficile da approcciare per fare business. I motivi? Tanti. Il primo: i prodotti finanziari non sono facili da trasferire sulla Rete. Il secondo riguarda le aspettative: chi usa il canale virtuale si aspetta di ottenere tutto e subito, mentre l’apertura di un conto corrente e la vendita di un prodotto finanziario sono operazioni che richiedono un certo tempo». Insomma, l’Internet banking crea una desertificazione della relazione. Coloro che lo usano hanno codici propri e, quindi, bisogna saper dialogare con un mondo che si aspetta essenzialmente tre cose: utilità, velocità, economicità. Soprattutto per loro, la nuova frontiera del marketing deve saper costruire una piattaforma esperienziale plurimodale. Che significa: coinvolgere il cliente sulla Rete, emozionarlo, consolidarne la relazione, spingerlo ad avere un atteggiamento empatico nei confronti della stessa banca. Dizionario Finanziario TITOLI DI STATO BTP Btp è la sigla indicante un titolo del debito pubblico emesso dallo Stato italiano a tasso fisso che di norma viene emesso su scadenze a medio e lungo termine. I Btp sono acquistabili in asta in base ad un apposito calendario definito dal Dipartimento del Tesoro del Mef, il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Oppure si possono comprare sul MOT, il Mercato Telematico Obbligazionario tutti i giorni di Borsa aperta. Sul mercato i prezzi dei Btp si muovono in funzione di diversi fattori. Uno dei principali è dato dal rating che identifica il rischio paese. CCT I Cct o Certificato di Credito del Tesoro sono titoli di debito a tasso variabile emessi dallo Stato italiano attraverso delle aste programmate e riservate agli investitori privati ed a quelli istituzionali. I Cct sono indicizzati nel tasso all’andamento dei Buoni ordinari del Tesoro, e pagano al pari del Btp una cedola con la cadenza semestrale. I Cct possono essere acquistati e venduti sul MOT per lotti che attualmente sono pari a 1000 euro nominali o multipli di mille euro. Il MOT - Mercato Obbligazionario Telematico - è accessibile attraverso gli intermediari sia da parte degli investitori privati, sia da quelli qualificati e istituzionali. CTZ Il Ctz, o Certificato di Credito del Tesoro Zero Coupon, è un titolo di debito emesso dallo Stato italiano a tasso fisso e con scadenza a 24 mesi. Il Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e delle Finanze lo emette sul mercato in base ad uno specifico calendario di aste. Una volta collocati, i Ctz si possono poi negoziare tutti i giorni di Borsa aperta sul Mercato Obbligazionario Telematico (MOT) organizzato e gestito da Borsa Italiana S.p.A. Sul MOT, detto anche mercato secondario, i Ctz si possono comprare e vendere tutti i giorni di Borsa aperta per lotti pari a minimo mille euro nominali o multipli di mille euro. Avere una cultura finanziaria è meglio. Perché parlare la stessa lingua di chi lavora in banca significa capirsi bene. I termini di attualità. OBBLIGAZIONI Le obbligazioni sono dei titoli di debito emessi da società quotate e non, enti pubblici. Possono essere emesse anche da uno Stato sovrano e rientrano allora nella categoria dei titoli di Stato. Le obbligazioni offrono un rendimento che può essere a tasso fisso, variabile o misto in ragione di parametri noti e definiti in sede di collocamento delle obbligazioni stesse. Il rendimento delle obbligazioni è funzione del grado di solvibilità dell’ emittente che viene misurato con il cosiddetto rating da parte delle Agenzie specializzate. Più il rating è di qualità, minore sarà il tasso offerto dall’emittente per rastrellare liquidità sul mercato. Il mancato rimborso dei prestiti obbligazionari si traduce in un default sia per una società, quotata e non, sia per uno Stato sovrano. AZIONI Le azioni sono titoli rappresentativi di una quota della proprietà di una società. Le azioni sono dei titoli che, quotati e negoziabili su un mercato regolamentato ( detto mercato azionario), risultano essere rappresentativi del capitale contribuito alla società da parte degli azionisti, chiamato anche capitale di rischio o capitale sociale. Le azioni più diffuse in Italia sono quelle ordinarie, ma ci sono anche le azioni di risparmio e le azioni privilegiate. I titolari di azioni ordinarie di una società hanno diritto a partecipare alle Assemblee degli azionisti e a votare anche per delega. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO Il Fondo Comune di Investimento è una forma di “investimento collettivo” nel quale confluiscono i capitali messi a disposizione da svariati investitori. Il fondo Comune di Investimento fa parte degli organismi di Investimento Collettivo del Risparmio. I Fondi raccolgono il risparmio degli investitori con le somme conferite che vengono investite sui mercati, ad esempio in quelli azionari e/o obbligazionari. In Italia, un Fondo Comune di Investimento è soggetto ad uno stringente controllo e a una altrettanto severa politica di vigilanza a tutela dei risparmiatori. Le quote di un Fondo comune di Investimento si possono sottoscrivere in banca previa lettura del prospetto e delle note informative dove sono contenuti anche i fattori di rischio legati all’investimento unitamente agli eventuali costi di sottoscrizione. Le quote di un Fondo Comune di Investimento si possono sottoscrivere anche fuori dai locali commerciali avvalendosi del supporto e della consulenza offerta da un promotore finanziario. 25 Gita alle isole Borromeo: che bella giornata con solidarietà I soci hanno rinunciato al premio annuale di 5mila euro - offerto a loro dalla banca per devolvere questa cifra alle popolazioni terremotate dell’Emilia.Un grande gesto. E vento con solidarietà. L’evento, come annunciato, c’è stato nel settembre scorso con oltre 400 soci di Banca Cremasca che hanno visitato le Isole Borromeo, situate nel Lago Maggiore a 400 metri circa al largo di Stresa. La solidarietà è stata, invece, una sorpresa: durante il pranzo, nei saloni dello splendido Regina Palace, i soci hanno rinunciato al regalo annuale del valore di 5 mila euro offerto dalla banca per devolvere questa cifra alle popolazioni terremotate dell’Emilia, concordando, quindi, con la proposta avanzata dal Consiglio di amministrazione della Bcc e illustrata dal presidente dell’istituto, Francesco Giroletti, che ha ricordato come il 2012 sia stato proclamato dall’Onu «anno internazionale della solidarietà». Sempre in quest’occasione, il presidente Giroletti e il vice presidente di Banca Cremasca, Giuseppe Capellini, hanno premiato il socio più anziano (Francesco Paiardi detto Tonino, del 1920) e la più giovane partecipante (Daniela Zavattiero del 1988). Grandi applausi. Assistiti da 24 dipendenti della banca, i soci sono arrivati a Stresa alle 10 circa del 23 settembre. Poi, la traversata in traghetto per l’Isola Bella con la visita a Palazzo Borromeo e al suo lussureggiante parco, illustrata da guide molto professionali. 26 Di gusto barocco, l’imponente edificio, la cui costruzione è iniziata nel 1632 ed è terminata nel 1671, è ancora di proprietà dei Borromeo che occupano a tutt’oggi i locali ai piani superiori. Molto apprezzati sono stati l’interno, elegantemente arredato, e le grotte sotterranee - incrostate di conchiglie e decorate da ninfe - utilizzate nei secoli per la loro frescura dai Borromeo e dai loro ospiti che vi passeggiavano d’estate. L’edificio fu visitato anche da Napoleone con Josephine de Beauharnais. Ma ciò che veramente ha colpito e lasciato senza parole i soci di Banca Cremasca è stato il famoso parco: un giardino all’italiana composto da dieci terrazze sovrapposte a piramide mozza, abbellito da statue, fontane, arbusti rari, piante esotiche e fiori dai profumi delicati come la magnolia e le camelie. Ammiratissima e molto fotografata la parte in alto dei giardini, soprannominata «anfiteatro» per le rappresentazioni che qui si tenevano. Risaliti sui traghetti, i soci hanno passeggiato per l’Isola dei Pescatori, la più pittoresca delle Isole Borromeo e l’unica a essere stabilmente abitata. Il suo piccolo e antico borgo è caratterizzato dagli stretti vicoli su cui spiccano le tipiche abitazioni a più piani, con lunghi balconi adibiti all’essiccamento del pesce; gli abitanti dell’isola vivevano principalmente di pesca, mentre oggi il turismo è la principale loro attività. L’Isola Madre, la più vasta tra le Isole Borromeo non è abitata, e i soci hanno potuto ammirare dai traghetti una parte del suo splendido giardino botanico all’inglese. Ritornati a Stresa, i soci hanno avuto la sorpresa di essere serviti sotto berceaux bianchi del Regina Palace che coprivano tavoli imbanditi per gli aperitivi. Poi, il generoso e sostanzioso pranzo, qualche passo di danza per alcuni ballerini e visita a Stresa per la gran parte dei soci che hanno potuto ammirare la città e consumare qualche caloria. Infine, la ripartenza per il Cremasco. Bella gita. Bella compagnia. Bella giornata. Bcc, «non ci resta che crescere!» Il convegno delle banche lombarde di credito cooperativo: l’esigenza della crescita è centrale per gli istituti e il Paese. L e Banche di Credito Cooperativo non arretrano dinanzi alla crisi e consolidano i risultati ottenuti nell’ultimo anno nonostante un contesto economico e sociale che rimane molto incerto, complesso e in parte peggiorato. È quanto emerge dagli indicatori economici aggregati del primo semestre 2012 riferiti alle 44 Banche di Credito Cooperativo operative nel territorio della Lombardia che sono stati presentati nel corso del convegno di studi del Credito Cooperativo lombardo a Pacengo di Lazise del Garda (Verona). In particolare, la raccolta presso la clientela nel primo semestre del 2012 è cresciuta di quasi due punti percentuali, superando i 30 miliardi di euro (nel giugno 2011 le Bcc lombarde avevano raccolto 29,5 miliardi di euro). In leggero aumento anche gli affidamenti alla clientela passati dai 27,6 a 27,7 miliardi di euro (+0,6% rispetto a giugno 2011). Il dato di crescita forse più significativo per le 44 Bcc della Lombardia è quello relativo alla base sociale, passata dai 165.764 soci del primo semestre 2011 ai 171.669 del 2012. Numeri importanti si rilevano anche sul fronte della rete commerciale sul territorio: al 30 giugno 2012 le filiali e gli sportelli delle Bcc lombarde erano 832, mentre i dipendenti ammontano a 6.061 unità. Nel complesso, quello delle Bcc si conferma un sistema capace di rispondere alle molteplici esigenze provenienti da famiglie e imprese. «Il contesto tuttavia è ancora molto incerto, per queste serve un forte impegno per governare il cambiamento» ha dichiarato Alessandro Azzi, presidente di Federcasse e della Federazione Lombarda delle Banche di Credito Cooperativo. «Le nostre linee strategiche, già indicate nel Convegno di studi 2011, rimangono quanto mai attuali: rafforzamento della rete, razionalizzazione dei costi, sistema dei controlli e fondi di garanzia». Il titolo del convegno era: «Non ci re28 sta che crescere». Che cosa ha detto Azzi? «“Non ci resta che crescere” è un’espressione che può valere sia per l’Italia, sia per il credito cooperativo. Se guardiamo al sistema Paese, l’esigenza della crescita risulta centrale. Dai dati dell’Istat, emerge che a metà del 2012 il Pil è sui livelli di fine 2003. La crescita del Prodotto negli anni 2000-2011 è stata in Italia del 4,2%, rispetto al 16,5% della media Ue a 27 Paesi. Se guardiamo all’industria bancaria italiana nel suo insieme, emerge un dato molto preoccupante - sottolineato dal presidente dell’Abi - circa la drammatica caduta di redditività. Le banche italiane non riescono a guadagnare: nel 2011 il Roe dei principali gruppi bancari è stato del 2,1% al netto delle rettifiche sugli avviamenti, il più basso in Europa (la media è del 7%). Se si fa un confronto tra settori produttivi dei rendimenti totali per gli azionisti (sommando dividendi e capital gain), quello bancario è negativo per oltre il 32%». Ha continuato il presidente Azzi: «E intanto sui conti economici delle aziende di credito si riflettono i costi della crisi (au- mento del rischio essenzialmente, ma anche innalzamento del costo della raccolta) e la difficoltà di comprimere i costi operativi, la cui voce principale è rappresentata dalle spese per il personale, decisamente più alte nel nostro Paese rispetto all’Europa, con prospettive di gestione che la riforma pensionistica, con l’innalzamento dell’età pensionabile, ha reso più difficili. Sui giornali si parla di esuberi per 37.000 persone, più del 10% della popolazione bancaria. Sull’edizione bresciana del Corriere della Sera si titolava: “Bancari, su Brescia la scure dei tagli”, rilevando che, per ora, il sistema BCC non è stato toccato dalla riorganizzazione. Potremo continuare a permettercelo? A quali condizioni?». Belle domande. Ma continua il presidente di Federcasse: «Intanto i ricavi faticano ad aumentare. L’Italia ha il 76% di conti correnti per abitante in meno della media europea; il 103% in meno delle carte di credito per abitante. Lo stock investito nei fondi pensione in rapporto al PIL è in Italia del 2,4%, rispetto al 26,5% della media europea». Dunque…non ci resta che crescere! La tavola rotonda al convegno e Alessandro Azzi (a destra e sotto), presidente di Federcasse e della Federazione lombarda delle Bcc. E, allora, qual è il senso del “non ci resta che crescere” per il Credito Cooperativo?». Ecco le cinque risposte di Azzi. «C’è la crescita in intensità e profondità di relazione con i propri soci, clienti e territorio: ci siamo già detti che in questo il Credito Cooperativo deve fare passi in avanti. Ci stiamo accorgendo del fatto che la concorrenza sta sempre più lavorando sul crossselling? Guardate la recente comunicazione pubblicitaria di una grande banca che propone le polizze auto allo sportello…». C’è la crescita dimensionale: «Non bisogna essere troppo piccoli da essere costretti ad arrancare, né troppo grandi da correre il rischio di perdere il contatto con i nostri territori». C’è la crescita in termini di approccio al mercato, che può diventare più evoluto e proporsi proattivamente per accompagnare le esigenze di privati e imprese lungo tutto l’arco della vita, biologica o professionale. C’è la crescita in termini di visibilità, reputazione, capacità di rappresentanza degli interessi, tutti ambiti nei quali il Credito Cooperativo ha fatto indubbi passi in avanti. Ma che oggi pongono nuove, impegnative, sfide, all’interno di culture che permangono poco orientate alla biodiversità bancaria e poco disposte a riconoscere peculiarità, proporzionalità ed esigenze di semplificazione. C’è soprattutto la crescita in termini di cultura, che, «metodologicamente, dovrebbe essere la prima crescita su cui investire. E significa apertura, investimento in conoscenza e competenza, capacità di elaborazione strategica distintiva, capacità di fare rete, capacità di valorizzare l’identità». Ed ecco i temi sui quali interrogarsi, che riguardano tutta l’industria bancaria e, quindi, non possono non riguardare anche il Credito Cooperativo: • Se la ripresa si allunga, come riuscire a «garantire la tenuta»? • Data la compressione dei margini, come continuare a fare banca per l’economia reale? • C’è una forte tendenza alla rivisitazione del modello di business delle banche. Da un lato, la standardizzazione dei servizi “di massa” (la «banca supermercato»); dall’al- tro, la qualificazione e personalizzazione dei servizi di consulenza, sui quali è richiesto un costante investimento in professionalità e competenza (la «banca boutique»). Come ci poniamo come credito cooperativo rispetto a tali tendenze? Tema costi. Se la tendenza è verso la segmentazione dei canali di fruizione ed una crescente digitalizzazione dei rapporti, come “saturare” la capacità produttiva dei nostri 4.400 sportelli? Personale. Noi crediamo al valore delle persone, e lo abbiamo dimostrato in questi anni, anche sostenendo l’occupazione. Ma non siamo immuni dai problemi che il contesto pone a tutti. Anche in relazione ai contratti di primo e secondo livello, quali sono le flessibilità che dobbiamo costruire, per salvaguardare il bene primario della stabilità e del futuro delle aziende e di chi vi lavora? Tema ricavi. Quali investimenti sono imprescindibili per rafforzare la nostra capacità di reddito? Investimenti in cultura, in competenze, in organizzazione, in strumenti? Banca Cremasca premia le finaliste del «Dossena» Cesare Cordani e i mister di Parma (Pizzi) e Albinoleffe (Del Prato) Cesare Cordani, direttore di Banca Cremasca, mentre premia Fausto Pizzi (a sinistra), allenatore del Parma, e Ivan Del Prato, allenatore dell’Albinoleffe. Le due squadre si sono affrontate, il 15 giugno scorso, allo stadio Voltini di Crema, nella finalissima del Trofeo Dossena 2012. A vincere questa edizione è stato l’Albinoleffe. La rete ha deciso il torneo alla mezz’ora circa della ripresa: l’attaccante Belotti è stato abile a raccogliere la respinta del portiere parmense De Angelis su calcio di punizione battuto da Pontiggia. Per l’Albinoleffe è stato un successo che vale il primo trofeo Dossena della sua storia e l’inserimento della squadra nell’albo d’oro della manifestazione. 29 Le nostre ricette S Obiettivo: la cooperazione migliora la vita da subito «Vince in Bono Malum», cioè «Vinci il Male con il Bene». E’ il titolo del libro scritto dal professor Vittorio Dornetti che ha spiegato la nascita delle Casse rurali cremasche. U n libro nato su commissione, quando scattarono i 100 anni di fondazione della Casse rurali di San Bernardino e di Santa Maria, le antesignane di tutte le attuali Bcc del Cremasco. Il lavoro fu, infatti, commissionato a Vittorio Dornetti - docente di italiano, latino, storia antica al liceo Scientifico di Crema, e già autore di altre pubblicazioni - dal Consiglio di amministrazione dell’allora Cassa rurale ed artigiana di Crema di cui faceva parte anche Giorgio Natale Carniti, insegnante di francese al liceo Scientifico di Crema. Fu lui a scegliere il titolo della pubblicazione: «Vince In Bono Malum» («Vinci il Male con il Bene») e a segnalare il professor Dornetti al Cda della cooperativa di credito. Un libro di 302 pagine. Tante per una storia locale, o no? «Sì, se ci si basa sui pochi documenti che ci sono stati tramandati. Ma il metodo di investigazione storica che predili30 go parte certamente dai fatti locali che, però, vengono inquadrati e spiegati da avvenimenti di ambito nazione. Così si capisce perché le Casse rurali sono nate in Italia e perché sono nate anche qui. Fondate in un’Italia prettamente contadina, dirette da parroci e curati, e animate da semplici fedeli che si organizzavano intorno ai prevosti e ai Comitati parrocchiali, queste banche raggiunsero due obiettivi: quello urgente di dover alleviare la miseria nelle campagne senza fare ricorso a metodi rivoluzionari, e quello più a lungo tempo che doveva dimostrare come il cooperativismo fosse il modo di produzione - alternativo a capitalismo e socialismo rivoluzionario - in grado di migliorare la struttura stessa dell’economia». E perché le Bcc attecchirono qui? «Perché il Cremasco era una zona bianca, diretta e coordinata dai parroci, gli “intellettuali” di questa enclave. E perché qui fece proseliti, soprattutto nel “basso clero”, l’Opera dei Congressi e, quindi, l’integralismo cattolico di fine Ottocento: le Casse rurali, insomma, nacquero anche per realizzare una presenza nuova di cattolici all’interno di uno Stato liberale che veniva radicalmente osteggiato dal clero e nelle parrocchie. Non bisogna neppure dimenticare, però, che anche i cosiddetti “radicali” , cioè la sinistra dell’allora partito liberale, che aveva sèguito nella piccola e media borghesia, non erano molto teneri nei loro attacchi anticlericali». Ma al di là dei rapporti Stato-Chiesa, quale fu l’importanza delle Casse rurali? «Furono la risposta giusta per contadini, piccoli commercianti e lavoratori autonomi ai quali mancava la liquidità. I contadini, per esempio, pagavano con la merce l’affitto della terra e il costo delle sementi, e non gli rimanevano mai soldi da investire. Le Casse rurali diedero a queste persone cifre modiche, ma che permisero loro non solo di evitare gli usurai, ma anche di svincolarsi dalla schiavitù dai proprietari terrieri». Per esempio? «Questi anticipavano il denaro ai contadini quel tanto che bastava per acquistare sementi e attrezzi, ma già sapendo che non sarebbero riusciti, comunque, a restituirlo per intero. Così il proprietario terriero legava sempre di più a sé chi lavorava la terra. La Cassa rurale, invece, cominciò a elargire del micro-credito e per molti contadini fu l’uscita dal tunnel della miseria potendo disporre di piccole somme da investire e sulle quali progettare un futuro di guadagni. A capo di questi istituti troviamo sempre il parroco che custodiva le risorse nella casa parrocchiale. Il capitale era formato dalle tasse di iscrizione, anche rateizzate, alla cooperativa di credito e, con gli interessi ricavati, si cominciò a prestare i primi soldi. Altre risorse arrivavano da rappresentanti dell’alta borghesia e nobiltà. Così è iniziata una grande lezione di economia, di cooperazione e di solidarietà sociale che continua ancora oggi». i dice che il Cremasco sia la patria del tortello. E che ogni paese di questo territorio, e addirittura all’interno di ogni comunità, ci siano tortelli e tortelli. Nel senso che ogni ricetta, top secret, viene tramandata di madre in figlia. Il 15 di agosto si festeggia la tortellata in piazza Aldo Moro a Crema, nelle feste popolari e nelle sagre il piatto di tortelli non manca mai. Per saperne l’origine, bisogna andarsi a leggere il capitolo scritto da Roberta Schira e Annamaria Piantelli nel libro «Crema a tavola ieri e oggi» edito dal Gruppo Antropologico Cremasco. Da cui prendiamo alcuni passi. Scrive Roberta Schira: «E’ possibile ipotizzare l’origine del ripieno dei tortelli cremaschi al XVI secolo, periodo che vide la mescolanza di dolce e salato nei piatti e soprattutto nel ripieno di ravioli e tortelli…». «Anche l’uva sultanina compare in più di una ricetta; sono presenti oltre che due libre di carne, un’oncia e mezza di cannella, una libbra e mezza di uvetta secca e una libbra di zucchero (1 oncia= 28 g; 1 libbra = 336 g)…». «Se il tortello cremasco è una derivazione di questo genere di preparazione, resta da stabilire quando e perché si è persa la presenza di carne nel ripieno…». «Per quanto riguarda le spezie, presenti in tutte le versioni della ricetta, ma soprattutto componente base del famoso mustassì…». Aggiunge Annamaria Piantelli: «La realizzazione dei tortelli è quasi un rito, perché richiede il ripetersi di gesti, un impegno di tempo notevole, e il coinvolgimento di diverse persone. Bisogna distinguere le tre fasi di lavoro: il ripieno, la pasta, la cottura. Il ripieno è quello che lascia più spazio alla fantasia, in quanto gli ingredienti (amaretti, uvetta, cedro, pane grattato, biscotto mustasì, noce moscata, formaggio grana, sale, uovo, mentine, qualche liquore) vengono amalgamati in dosi non stabilite, e non sempre tutti utilizzati, a secondo dei gusti». «La pasta (farina, uovo, acqua) dovrebbe essere rigorosamente prodotta a mano, tirata sottile con il matterello, tagliata in cerchio, in genere con un bicchiere; i cerchi vengono, poi, imbottiti col ripieno, che è riposato almeno dodici ore, piegati, pizzicati o fissati con la forchetta;: in genere in famiglia c’è l’esperto per ognuna delle fasi. La cottura, in acqua salata, lentamente; la scolatura e il condimento con abbondante burro fuso, salvia e grana grattugiato. «I gà da negà ‘dal buro = devono annegare nel burro; «I gnòc quant iè còt i ga da vègn a Tortelli cremaschi I segreti, le versioni, i riti Roberta Schira e Annamaria Piantelli ne svelano l’anima. Il ripieno risale al XVI secolo. Come lavorarli e cuocerli, gli ingredienti da usare. gala, i turtèi i va sota = gli gnocchi quando sono cotti devono venire a galla, i tortelli devono cadere sul fondo della pentola». Infine, «Quant i sa tira so còn la furchèta, se i sbasa i ale i è cot = quando si sollevano con la forchetta, se abbassano le “ali” (i bordi) sono cotti». IN CUCINA, PICCOLO GLOSSArIO (DI FrANCA GINELLI) Buter = burro; al noda ‘andal buter = avere tutto facilmente, essere nel lusso. Cece = carne Chisoi = schiacchite di pane chisoi ‘n padèla = dolci fatti di pastella cotti nello strutto. Cinà = succhiare rumorosamente, mangiare la fetta d’anguria fino alla parte verde. Còte o còce da pa = infornate di pane. Custine da maiàl = costine di maiale generalmente cucinate con le verze. Furmai = formaggio; Truà chél dal furmai = trovare chi ti insegna a stare al tuo posto. Gandoie = noccioli Grèmula = arnese per impastare il pane; Fa ‘nda la grèmula = masticare, mangiare. Mantìl = tovagliolo. Marùda = matura, pronta Tirà marut = spazientire. Méche = pane di forma rotonda. Menà = impastare Al siòta menala = continua a girarci attorno. Mischèrpa = mascarpone; restà come la mischèrpa = rimanere senza parole. Mustasì = mostacino, biscotto speziato usato per i tortelli. Nadròt = anatra. Pacià = mangiare. Paciàda = scorpacciata. Poce = intingolo. Quèrc = coperchio. Ròsca = buccia. Saurìt = saporito Scusàl = grembiule. Sfregoia = sbriciolarsi. Sgagnàt = masticato. Tòch = pezzo. Tùchelì = pezzettino. 31