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le incongruenze del “pentito” giancarlo lotti
Altri misteri Il mostro di Firenze La settima volta del mostro LE INCONGRUENZE DEL “PENTITO” GIANCARLO LOTTI Sono molte le incongruenze nel racconto che il “pentito” Giancarlo Lotti fa sui delitti del mostro di Firenze. Uno dei più marchiani riguarda proprio la ricostruzione del duplice delitto del 1984, quello di Vicchio in cui persero la vita Pia Rontini e Claudio Stefanacci. A proposito di questo misfatto, il settimo in ordine di tempo, Lotti nel descrivere la scena criminis parla delle urla della povera Pia Rontini mentre uno dei “compagni di merende” (Vanni) la trascina fuori dall'auto. In realtà la povera Pia non poteva urlare mentre veniva estratta dall'auto, per il semplice motivo che i colpi di pistola sparati dal mostro le avevano già leso l'encefalo. La donna era già in coma profondo e non poteva avere alcuna reazione. Dov’è l’errore di Lotti? Sta nella perizia firmata dai medici legali Maurri e Marini, che scrivono: “sul cadavere (della donna ndr) non ci sono segni che indichino la comparsa di morte immediata, ma al contrario, ci sono segni indicativi di una certa sopravvivenza che, come abbiamo detto, sono rappresentati dall'edema polmonare”. Lotti ha letto quella perizia o qualcuno l’ha letta per lui? Durante il dibattimento di primo grado ai “compagni di merende”, su questo specifico punto, i periti saranno chiarissimi: una “certa sopravvivenza” non significa altro che la donna non aveva ancora cessato di respirare e non che, volontaristicamente, potesse urlare tanto da essere sentita da Lotti che si trovava alla distanza di diversi metri dal luogo del delitto. Il coma profondo non permette di urlare, tutt'al più di emettere qualche flebile lamento, un gorgoglio emesso mentre la vittima ancora, tenuamente, respira. Di fronte a questa contestazione, ecco Lotti, durante il processo, aggiustare la sua versione. Ha detto “urlare”, ma intendeva riferirsi ad un lamento. Tra urlare e lamentarsi forse qualche differenza c’è.