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litigare triplica rischio morte per qualsiasi causa ictus: con piu` frutta

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litigare triplica rischio morte per qualsiasi causa ictus: con piu` frutta
Anno III – Numero 407
Notizie in Rilievo

Scienza e Salute
1. Litigare triplica rischio
morte per qualsiasi
causa
2. Contro russamento e
apnee nel sonno
ecco il boccaglio
stampato in 3D
3. Due patologie
infiammatorie croniche
dell’intestino
Alimenti e Salute
4. Ictus: con piu' frutta e
verdura rischio giu' del
21%
5. La fibrillazione atriale
può essere scatenata
anche da troppi caffè?

Prevenzione e
Salute
6. Pneumotorace: da cosa
dipende?
E si può prevenire?
7. Sbadigliare fa bene alla
salute
Lunedì 12 Maggio 2014, S. Rossana
Proverbio di oggi……..
Vederse pigliate d''e turche.(Non sapere che fare - vedersi perduto)
are vestito = Ridursi alla miseria
LITIGARE TRIPLICA RISCHIO MORTE PER
QUALSIASI CAUSA
Litigare non fa bene alla salute.
Un nuovo studio pubb. sul Journal of
Epidemiology & Community Health ha
dimostrato che le frequenti discussioni con
partner, amici e familiari raddoppiano (e talvolta triplicano) il rischio di
morire per qualsiasi causa nella mezza eta'.
I più vulnerabili sono gli uomini e le persone che non hanno un lavoro.
Dati che indicano che reti sociali positive e relazioni di sostegno sono ottimi
promotori della salute e del benessere generali.
STUDIO: La ricerca ha intervistato quasi 10.000 persone. L'analisi ha indicato
che le richieste frequenti o le preoccupazioni relative a partner e/o bambini
sono collegabili ad un aumento del 50-100% del rischio di morte per tutte le
cause. I litigi, in ogni caso, sono emersi come il killer principale. Frequenti
conflitti con partner, parenti, amici e vicini di casa sono associabili al
raddoppiamento, e in alcuni casi triplicamento, del rischio di morire per
qualsiasi causa. (Agi)
ICTUS: CON PIU' FRUTTA E VERDURA
RISCHIO GIU' DEL 21%
Mangiare piu' frutta e verdura puo' ridurre
il rischio di ictus di oltre il 20%.
I ricercatori hanno condotto uno studio pubblicato sulla rivista internazionale
Stroke.
In media le persone che mangiano piu' frutta e verdura sono risultate avere un
rischio inferiore del 21% rispetto a quelle che ne mangiano di meno, con la
probabilità di avere un evento che diminuisce del 32% per ogni 200 g. in più
mangiati al giorno e dell'11% per ogni 200 g. di vegetali.
''Agrumi, verdure a foglia e mele e pere sono gli alimenti per cui la relazione è
accertata - mentre per gli altri non ci sono evidenze conclusive".
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PAGINA 2
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 407
PREVENZIONE E SALUTE
PNEUMOTORACE: DA COSA DIPENDE?
E SI PUÒ PREVENIRE?
È un evento frequente, soprattutto nei più giovani, e non
deve preoccupare più di tanto, anche se chi ne soffre può
spaventarsi molto
Un giorno ho accusato un dolore molto intenso e acuto al torace, a sinistra, accompagnato da
un’improvvisa mancanza di fiato: ho pensato potesse trattarsi di un infarto, anche se sono giovane e
non fumo, e sono subito andata al Pronto soccorso. Dopo pochi esami e una radiografia del torace mi
hanno spiegato che si trattava di uno pneumotorace, mi hanno tranquillizzata e hanno posizionato un
piccolo tubicino di drenaggio, con il quale mi sono sentita subito meglio. Dopo qualche giorno sono
stata dimessa, tutto è passato ma sono terrorizzata all’idea che lo pneumotorace possa ripresentarsi.
Che cosa posso fare per evitarlo?
Risponde Sergio Harari, primario reparto di Pneumologia, Ospedale San Giuseppe, Milano
Lo pneumotorace (pnx) si verifica quando dell’aria entra nello spazio tra le due pleure (le due
membrane che rivestono i polmoni e l’interno della gabbia toracica), dove non dovrebbe trovarsi:
questa “gonfia” lo spazio pleurico e causa un collasso del polmone che così non può più espandersi e
respirare. Non è una situazione grave, ma lo può diventare se non vi si pone rimedio facendo uscire
l’aria dalle pleure attraverso un drenaggio, come è stato fatto nel suo caso.
Lo pneumotorace è un evento frequente, soprattutto nei più giovani, e non deve preoccupare più di
tanto, anche se chi ne soffre può spaventarsi molto: il dolore causato dall’ingresso dell’aria tra le
pleure è acuto, “a pugnalata”, inoltre si respira male e a fatica.
Nella maggior parte dei casi, una volta drenato correttamente, il pnx si risolve e il problema finisce lì;
talvolta però può ripresentarsi e può allora rendersi necessario un intervento chirurgico per
identificare e circoscrivere la perdita di aria.
Durante l’intervento inoltre si induce una cicatrizzazione delle due pleure in modo da chiudere
definitivamente lo spazio dove si può formare il pnx. Questa operazione è semplice e non comporta
alcun danno funzionale respiratorio o limitazione di sorta.
Per evitare che il pnx si possa ripresentare bisogna capire se vi è una condizione predisponente (non
sempre si riesce a trovare la ragione per cui si è verificato).
Ci sono malattie che possono dare come primo segno di sé il pnx.
Tra le donne giovani una delle più frequenti è l’endometriosi: in questi casi un po’ di tessuto
endometriale si trova a livello pleurico e va anch’esso incontro a fenomeni di sfaldamento nei periodi
mestruali, causando il cosiddetto pneumotorace catameniale. Altra rara malattia del sesso femminile
che può esordire con pnx è la linfangioleiomiomatosi polmonare, un’affezione che può determinare lo
sviluppo di lesioni simil-enfisematose nei polmoni.
La sindrome di Marfan, la malattia di cui si dice soffrisse Abramo Lincoln, tipica delle persone
longilinee e “allungate”, può anch’essa dare pnx.
Nell’adulto il pnx può poi essere determinato da un tumore o dalla tubercolosi, ma si tratta di
situazioni infrequenti, che vengono escluse da una semplice Tac del torace.
Nel caso si identifichi una malattia alla base del pnx, la prevenzione di possibili recidive si baserà sulla
terapia della malattia che l’ha causato; nel caso in cui invece sia «idiopatico», ovvero senza cause
evidenti, come spesso avviene, bisogna condurre una vita assolutamente normale, evitando però
immersioni con il respiratore e i viaggi aerei per qualche tempo.
Se poi dovesse sfortunatamente ripresentarsi, allora sarà bene prendere in considerazione la
risoluzione chirurgica del problema. (Salute, Corriere)
PAGINA 3
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 407
ALIMENTI E SALUTE
LA FIBRILLAZIONE ATRIALE PUÒ ESSERE SCATENATA
ANCHE DA TROPPI CAFFÈ?
L’aritmia insorge senza cause dietetiche identificabili: pertanto attenzione agli
eccessi, come sempre, ma senza limitazioni specifiche
Domanda: Ho 43 anni e soffro di fibrillazione atriale parossistica (non ho
altre patologie cardiache). Dopo un episodio di aritmia durato sei ore, mi
è stata cambiata la cura, ma con il nuovo farmaco ho spesso episodi brevi
di aritmie. È possibile che il cambio di farmaco porti a un peggioramento?
E i farmaci usati a lungo possono perdere efficacia? L’ablazione, che mi
propongono, sarebbe risolutiva? Comporta rischi? La mia aritmia
potrebbe essere condizionata dall’alimentazione (abbondo con caffè, cioccolato e tè)? E, infine: dove
posso trovare Centri sicuri per l’ablazione?
Risponde Filippo Crea, Dir. Dip. medicina cardiovascolare, Policlinico Gemelli, Roma
Quanto alla prima domanda, il «successo» nella prevenzione della ricorrenza di fibrillazione atriale
con farmaci antiaritmici è variabile e non è predicibile nel singolo individuo.
Un nuovo farmaco può, quindi rivelarsi meno efficace di uno assunto in precedenza.
Anche l’ effetto a lungo termine di un farmaco è variabile, e questo non perché il medicinale perda
efficacia nel tempo, ma per un peggioramento del substrato aritmico del singolo individuo, che rende
l’aritmia meno facilmente controllabile.
In pazienti con fibrillazione atriale parossistica ma cuore strutturalmente sano, l’ablazione ha, se
eseguita in Centri con esperienza nel settore, un’efficacia intorno al 75%. Si deve però riconoscere che,
al momento. mancano dati a lungo termine.
I rischi di eventi gravi sono bassi, ma comprendono fenomeni ischemici cerebrali, il
tamponamento cardiaco ed episodi fatali (ognuno inferiore all’1%).
È stato proposto che alcune sostanze contenute nei cibi o nelle bevande possano facilitare
l’induzione dell’aritmia, di fatto essa insorge senza cause dietetiche identificabili. Pertanto attenzione
agli eccessi, come sempre, ma senza limitazioni specifiche. Quanto ai centri, ce ne sono diversi in Italia
in grado di affrontare efficacemente questo tipo di problema, compreso il nostro. Il suo medico o
cardiologo di fiducia potranno senz’altro consigliarla in merito. (Salute, Corriere)
CONTRO RUSSAMENTO E APNEE NEL SONNO
ECCO IL BOCCAGLIO STAMPATO IN 3D
Scienziati australiani hanno creato grandi paragengive su misura con un
beccuccio a collo d'anatra che fuoriesce dalle labbra. In commercio dal 2015
I problemi di russamento e di apnea nel sonno saranno presto solo un brutto ricordo. Grazie alla
tecnologia di stampa tridimensionale, un gruppo di scienziati
australiani ha creato dei boccagli in titanio su misura, che
assomigliano a grandi paragengive con un beccuccio a collo d'anatra
che fuoriesce dalle labbra. Il congegno, sarà disponibile per i pazienti a
partire dal 2015.
Il congegno, sviluppato usando uno scanner 3D per mappare la bocca
del paziente, devia l'aria attorno ai denti verso la trachea, bypassando il tessuto ostruttivo nella bocca
che bloccherebbe la respirazione durante il sonno. (Salute, Tgcom24)
PAGINA 4
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 407
SCIENZA E SALUTE
Due patologie infiammatorie croniche dell’intestino
Una colpisce il tubo gastrointestinale «a pezzi» e in profondità, l’altra in modo
continuo e più superficialmente
Malattia di Crohn e colite ulcerosa sono due condizioni caratterizzate da
un’ infiammazione cronica dell’intestino.
Vengono spesso accomunate, ma hanno più differenze che analogie.
«Entrambe sembrano legate a un’anormale risposta di «difesa» verso
stimoli potenzialmente nocivi, come tossine, germi o altre sostanze, con il
risultato che a farne le spese sono le strutture che dovevano essere
protette.
Non ci sono, invece, prove sulla «colpevolezza» di particolari alimenti - spiega Silvio Danese,
responsabile del Centro malattie infiammatorie intestinali dell’Istituto clinico Humanitas di Milano -.
In circa un terzo dei casi queste malattie esordiscono intorno ai 20 anni, ma possono comparire anche
alla soglia della pubertà.
La malattia di Crohn può interessare tutto l’apparato digerente, dalla bocca all’ano; la mucosa sana è
in genere intervallata a quella malata, e l’infiammazione penetra fin negli strati sottomucosi
dell’apparato digerente.
La rettocolite ulcerosa, invece, colpisce solo il retto e/o il colon con un’infiammazione continua,
limitata a strati più superficiali della mucosa intestinale».
Quali sono i sintomi? «Nel Crohn i disturbi sono variabili, in relazione all’area interessata.
La forma più comune (circa i due terzi dei malati), è quella ileo terminale e in genere si manifesta con
tre sintomi non necessariamente presenti allo stesso tempo: diarrea cronica, calo di peso e dolore
addominale ricorrente.
I sintomi tipici della rettocolite ulcerosa, che si presentano dall’esordio, sono dolore addominale e
diarrea frammista a sangue».
Come si può avere una diagnosi certa? «Per il Crohn serve innanzitutto un esame endoscopico
del tratto intestinale interessato, con esame istologico.
In genere occorrono anche altri esami (ecografia delle anse intestinali, clisma dell’intestino tenue, Tac
o risonanza magnetica a seconda dei casi).
Nella rettocolite ulcerosa i sintomi sono chiari e per una conferma in genere bastano colonscopia ed
esame istologico».
Quali sono le terapie? «Nessun farmaco guarisce, ma tutti possono contenere
o far regredire, almeno in modo temporaneo, i sintomi e ridurre il rischio di complicazioni.
Per la malattia di Crohn si usano immunosoppressori e nuovi farmaci biologici.
La rettocolite ulcerosa risponde bene agli aminosilicati, ma talora si ricorre anche agli
immunosoppressori e ai farmaci biologici.
Se i farmaci non bastano ci si rivolge alla chirurgia.
Nel Crohn serve soprattutto per risolvere possibili complicazioni, come stenosi, ascessi e fistole.
Si basa su tecniche conservative, volte a risparmiare più intestino possibile, poiché sono alte le
possibilità di interventi chirurgici ripetuti.
Nella rettocolite ulcerosa la rimozione del colon è totale.
Grazie alla quotidiana collaborazione fra gastroenterologi e chirurghi specializzati oggi è possibile
ottimizzare la tempistica dell’intervento, riducendo il rischio di complicanze e permettendo al paziente
di riprendere più rapidamente la propria vita sociale e lavorativa».
(Salute, Ansa)
PAGINA 5
FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 407
SCIENZA E SALUTE
SBADIGLIARE FA BENE ALLA SALUTE
Lo sbadiglio non è solo una manifestazione di noia o sonnolenza, ma un
meccanismo intelligente di raffreddamento del cervello. Lo studio
Sonno, fame, noia... Queste sono le condizioni più comuni dello sbadigliare.
Perché mai, però, dovrebbe venirci voglia di sbadigliare quando siamo affamati o assonnati? Deve pur
esserci una funzione dietro questo insolito meccanismo.
Lo sbadiglio pare sia necessario al mantenimento della
giusta temperatura del cervello. Si tratterebbe, perciò,
del classico processo di omeostasi che il nostro
organismo mette spesso in funzione.
L’omeostasi, per chi non lo sapesse, è un sistema che
adotta il nostro corpo per ritrovare l’equilibrio.
Quanto allo sbadiglio, vi sono anche ipotesi che
classificano la sua funzione come un mezzo per
aumentare il livello di ossigenazione.
Questo studio, invece, afferma che l’eccitazione corticale, lo stress del momento e il sonno, sono tutti
fattori associati alle fluttuazioni di temperatura del cervello.
Ma possono anche essere manipolati con facilità dalle variazioni di temperatura dell’ambiente. Per
esempio, l’aria fresca che si può trovare all’esterno nelle stagioni più fredde può facilitare
l’abbassamento della temperatura del cervello.
Come accennato, le variazioni di temperatura del cervello sono associate ai cicli di sonno ed
eccitazione corticale; in questa maniera lo sbadiglio migliorerebbe lo stato di veglia, di vigilanza, il
tono muscolare e la frequenza cardiaca.
Se dunque il preciso compito dello sbadiglio sarebbe quello di raffreddare è possibile che se siamo
fuori casa, in inverno, la voglia di sbadigliare diminuisca sensibilmente.
Per arrivare a tali conclusioni alcuni ricercatori dell’Università di Vienna hanno condotto due tipi di
test. Il primo prevedeva la misurazione della frequenza di sbadiglio – e la relativa contagiosità – nei
passanti durante l’estate e l’inverno.
Il secondo è stato condotto in Arizona – dove il clima è generalmente più caldo e secco – mostrando ai
pedoni immagini di persone che sbadigliavano per vedere se guardandole sbadigliavano anche loro.
Dai risultati è emerso che a Vienna le persone sbadigliavano più in estate che in inverno, mentre in
Arizona facevano esattamente l’opposto: più in inverno che in estate.
Si è potuto quindi constatare che non erano né le stagioni né la quantità di luce a influenzare la voglia
di sbadigliare.
Quello che invece si è potuto evidenziare era che si tendeva a sbadigliare quando la temperatura era
intorno ai 20 gradi Centigradi. Che però si riduceva oltre i 37 gradi in Arizona o le fredde gelate in
Austria.
Il dottor Jorg Massen dell’Università di Vienna ha quindi dedotto che la funzione di raffreddamento
non serve quando l’aria è più fredda di quella corporea.
Anzi, se fa troppo freddo, secondo la sua ipotesi, potrebbe essere persino dannosa.
Il fatto che il meccanismo sia così contagioso potrebbe derivare dal perché lo sbadiglio migliora
l’eccitazione e l’efficienza mentale.
Diffondendo questo genere di comportamento potrebbe migliorare la vigilanza globale all’interno di
un gruppo. (Salute, la Stampa)
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