L`approccio centrato sulla persona ei suoi malintesi ideologici
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L`approccio centrato sulla persona ei suoi malintesi ideologici
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1991 L'approccio centrato sulla persona e i suoi malintesi ideologici Anna Maria Boano Attingo la mia esperienza da un "posto" non residenziale di supporto socio-terapeutico a persone motivate ad uscire dalla tossicodipendenza e/o colpiti da sindrome da A.I.D.S.: un "posto" in cui la vita è vera ; infatti, a mio avviso, le osservazioni fatte in questo contesto sono estensibili ai rapporti quotidiani con partners, parenti, datori di lavoro, amici, ecc... Sulla prima pagina di un ciclostilato che usiamo come nostra presentazione ai nuovi arrivati tra noi nel centro di sostegno socio-psicologico, siano essi aspiranti utenti o aspiranti operatori, è riportato il seguente pensiero di Carl Rogers: "Posso riconoscere nell'altro una persona impegnata in un processo di "divenire", o non sarò limitato nella mia percezione dal suo passato o dal mio passato? Se nel mio incontro con l'altro lo tratto come un "bambino immaturo", come uno "studente ignorante", come una "personalità nevrotica", come uno "psicopatico", gli impedirò in qualche modo di essere tutto ciò che può essere nella relazione". E’ il manifesto programmatico sotteso a tutta la nostra filosofia di trattamento e sta a significare che ci poniamo vergini di fronte ad ogni nuovo arrivato e lasciamo scorrere la relazione, elaborando di volta in volta gli incidenti di percorso (intendendo la parola "incidente" nel suo senso letterale di "cosa che incide" e non nell'accezione comune di "disgrazia"). E’ facile che da questo tipo di manifesto siano attratte persone con l'ideologia del siamo tutti uguali" e del "tutto è permesso"; e che queste 1 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1991 stesse persone si scandalizzino, come di fronte ad una contraddizione, allorché, durante la formazione degli operatori, tra le altre dispense che diamo, ce n'è anche una che descrive il pensiero di Claude Olievenstein (vent'anni di esperienza al Centro Marmottan di Parigi da lui fondato e diretto) a proposito della terapia al tossicodipendente: "Come sottolinea Olievenstein, la psicoterapia (del tossicomane) non è riconducibile ad un quadro nosografico che permette un inquadramento definito: in momenti successivi il tossicomane appare perverso, nevrotico, psicotico, borderline, normale, oppure contemporaneamente tutto ciò, secondo stili di esplosiva confusione (...). Il linguaggio è un imbroglio, perché lui si imbroglia sul reale. E si da un gran daffare per imporre la sua versione ad uno sconosciuto. Non è quel che era ma neppure altro da quel che era. Solo la sofferenza gli da un'esistenza (...). Chi non ha diritto che alla censura o al mettersi in mostra, se vuole evitare il rigetto totale, è costretto ad una certa duplicità: ma duplicità anche con se stesso, perché se egli non mentisse, la sua situazione sarebbe invivibile (...). Al livello della legge egli non sarà mai quieto, mai soddisfatto. Dovrà sempre andare oltre per riuscire a vedere ciò che sta dall'altra parte, perché forse oltre la norma potrà ritrovare quel qualcosa che gli permette la ricostruzione della sua identità. Il tossicomane non sentendosi persona, non saprebbe a chi rapportare la norma che viene vissuta come rifiuto" . Ce n'è abbastanza per lasciare perplessi rispetto alle nostre premesse. La nostra risposta alla perplessità è: 1. Saper ciò che in alcuni casi può verificarsi non è affezionarsi all'idea che ciò sia vero sempre; 2. sapere riconoscere i casi in cui ciò si verifica non significa discriminare ma, al contrario, significa avere la capacità di essere più attenti e avere più cura per la sofferenza; 3. la ragione per cui si prendono in considerazione tutte le grandi esperienze è che Rogers è in qualche modo 1"'antiscuola". Se siamo centrati sulla persona, siamo centrati su ogni "realtà diversa e separata" e non rifiutiamo di prenderla in considerazione, anche se questo non significa accettarla fideisticamente, come non fideisticamente sposiamo la nostra. Non a caso Rogers è anche colui che scrive: "Ha grande valore il momento in cui posso permettermi di capire una persona. E' necessario permettersi di capire un altro? Credo di sì, perché comprendere fa correre dei rischi. Se veramente mi permetto di capire una persona posso essere cambiato da quanto comprendo". E questo non può riferirsi soltanto ad un utente o cliente ma anche ad ogni altrui esperienza; 4. infine non bisogna cadere nell'equivoco che accettare una persona significhi accettarne tutti i comportamenti: La frase "considerazione positiva incondizionata" può essere forse fonte di equivoci poiché suona come un concetto assoluto, non elastico. Essa non esiste, se non in teoria. Sarebbe meglio dire che il terapeuta la prova per il cliente, in molti momenti del suo rapporto con lui, mentre in altri momenti sperimenta una considerazione positiva condizionata ed in altri ancora, forse una considerazione negativa. E' proprio per questo che "considerazione positiva incondizionata" può essere presente in misura più o meno ampia, in ogni relazione. 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1991 Accettiamo la diversità dell'eterosessuale dall'omosessuale e viceversa, accettiamo la diversità del tossicomane e dell'alcolista dal sobrio e viceversa, accettiamo la diversità dell'immigrato dall'indigeno e viceversa, ecc.; non siamo affatto tenuti a farci calpestare da nessuno di loro quando non ci rispettano o non rispettano il patto sociale liberamente contratto con noi, né possiamo sperare di essere accettati se ci mettiamo nella medesima condizione. Non trattiamo a priori nessuno da nevrotico ma dobbiamo saper distinguere l'episodio di malessere. Mi aspetto dai miei collaboratori che sappiano fare una valutazione clinica, scevra di generalizzati giudizi di valore sulla persona e che tuttavia permetta loro di rendersi conto di cosa sta accadendo "qui ed ora". Dunque, non lo ripeteremo mai abbastanza, non discriminiamo nessuno, non rigettiamo nessuno, ma sappiamo distinguere quando in gruppo ci troviamo di fronte, ad esempio, ad una manifestazione di sana aggressività oppure a un "acting out", nel qual caso qualcuno prenderà a braccetto il disagiato del momento, se lo porterà in una stanzetta dove gli chiederà cosa sta succedendo. Per riassumere: uno degli assunti della filosofia rogersiana è la "accettazione positiva incondizionata", cioè l'accettare la persona per quello che è e non per quello che fa, mentre in un'accettazione positiva condizionata il valore dipende da quello che uno fa. D'altra parte come sapere quello che uno è se non da quello che uno fa? La confusione che si fa tra questi due concetti è, secondo me, che si confonde l'atto con l'agente. L'agente è sempre accettato, l'atto può non essere a volte accettato senza che ciò significhi rifiuto dell'agente. Anzi non sarà male tenere presente che spesso la mancanza di norma è vissuta come disattenzione e disamore proprio da quello stesso soggetto che in altri momenti vive la norma come rifiuto e che dal canto suo la rifiuta, appunto in quello "stile di esplosiva confusione". L'altro assunto rogersiano è la congruenza o autenticità, a proposito della quale Rogers scrive: "II terapeuta non assume in nessun caso, consciamente o inconsciamente, atteggiamenti di circostanza. Non è necessario né possibile che il terapeuta si mantenga sempre a questo livello di integrazione e di completezza. E' sufficiente che sia fedele a se stesso anche in situazioni non ideali come "ho paura di questo cliente" oppure "la mia attenzione è focalizzata sui miei problemi personali". La soluzione, per me, sta nell'esprimere se stessi senza imporsi, e soprattutto esprimere la propria comprensione empatica. Spesso, è l'espressione facciale e il tono di voce che possono risultare minacciosi: allora l'altro si sente male, stupido o pazzo e la sua autostima cala. A questo dobbiamo fare particolare attenzione perché abbiamo spesso a che fare con persone con bassa autostima. Il terzo assunto è l'empatia: la capacità di dare valore ai sentimenti dell'altro anche se i nostri valori sono diversi. Anche questa parola ingenera molti equivoci: l'empatia viene scambiata per una sorta di banale appiattimento della propria personalità. Invece scrive Rogers: "Sentire il mondo personale del cliente "come se" fosse il nostro, senza mai perdere questa qualità del come se: sentire l'ira, la paura, il turbamento del cliente come se fossero nostri, senza però aggiungervi la nostra ira, la nostra paura, 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1991 il nostro turbamento". Allora forse la frase di Rogers, citata all'inizio, può voler dire che tratto la persona come un "bambino immaturo", come uno "studente ignorante", come una "personalità nevrotica", come uno "psicopatico" (come un tossicodipendente, come un malato di A.I.D.S., aggiungo io) proprio quando non lo tratto alla pari e cioè da adulto capace quanto me di assumersi le sue responsabilità, permettendomi anche di "arrabbiarmi" con lui. Un rapporto adulto prevede, secondo me, che non debba farmi Carico io anche dell'altro, perché io sono responsabile verso l'altro ma non per l'altro. Lo tratto da malato o diverso proprio nel momento in cui tollero tutto di lui. Tutto questo mi da personalmente un senso di grande compiutezza interiore perché non è in disaccordo con la cultura cristiana della mia infanzia e adolescenza, la cultura dell'"ama il prossimo tuo come te stesso" non più di te stesso e del "non fare giudizi temerari", e neppure con la cultura liberale ricercata nella mia giovinezza, quella del voltairiano "io non condivido le tue idee ma lotterò con tutte le mie forze perché tu come me possa liberamente esprimere il tuo pensiero". Rogers raccoglie, compendia ed è per me la sintesi di tutto ciò nella mia maturità a tutto tondo. Bibliografia Bion Wilfred R., "Esperienze nei gruppi", Armando Editore, Roma, 1971. Olievenstein C., "II destino del tossicomane", Boria, Roma, 1984. Rogers R. C., "La terapia centrata sul cliente", Martinelli, Firenze, 1968. Rogers C.R., "Un modo di essere", Martinelli, Firenze, 1986. Kinget G. M., "Psicoterapia e relazioni umane", Boringhieri, Torino, 1978. 4