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verbale n° 22 - tommaso ciccarone

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verbale n° 22 - tommaso ciccarone
VERBALE N° 22
SIMONA ROSIELLO
05\02\2016
I PARADOSSI DI SOCRATE
In epoca socratica la parola paradosso aveva un significato diverso da ora,
ovvero era qualcosa di contrario a ciò che comunemente si pensa,
letteralmente paradosso significa ‘contrario all’opinione comune’.
A quel tempo le persone pensavano che si fosse felici quando si riusciva a
soddisfare un bisogno materiale o corporale. Al contrario, per Socrate la virtù
consiste nella conoscenza, ovvero egli pensava che si era virtuosi se si
conosceva ciò che è buon, che non è ciò che soddisfa i sensi.
Quindi possiamo dire che il primo livello di paradosso socratico è capire che
la felicità non è immediata ma è una conquista che deve partire dal prendersi
cura della propria dimora (l’auto coscienza).
Socrate sosteneva che i sensi si potessero dominare con la ragione e che
nessuno pecca volontariamente e chi fa il male lo fa per ignoranza del bene,
ovvero egli riteneva del tutto naturale che una persona che non conosceva il
bene, che era ignorante riguardo ciò, facesse cose cattive. Possiamo
paragonare il suo pensiero a quello di Gorgia, il quale, parlando di Elena di
Troia, affermava che lei non ha fatto quel che ha fatto volontariamente ma
insinua che fosse stata trascinata dall’amore. Socrate non ammette sfumature,
o fai il bene o fai il male, ed affermava che per fare la cosa giusta bastasse
solo sapere qual’era la cosa buona.
Egli mette troppo in evidenza il potere della ragione, per lui la giustizia si
doveva basare sulla razionalità. Relativamente Socrate supera i sofisti, i quali
pensavano che al mondo ci fossero diverse virtù di varia natura, mentre lui
invece le riduce a una, tutte si dovevano fondare sul bene, sulla giustizia
(virtù del bene o del bello).
Possiamo dire che l’archè di Socrate fosse la virtù interiore, poiché per lui la
natura stessa dell’uomo è proprio la sua anima, ossia la ragione. Al contrario
della mentalità cristiana che faceva sviluppare un forte senso di
responsabilità, i greci ne avevano una che escludeva la colpa, infatti
pensavano che le cose succedessero per via del fato e riuscirono a
rispecchiarsi perfettamente nel pensiero di Socrate (si pensa che Socrate
stesso sia stato influenzata dalla mentalità greca). Socrate non pensava al
peccato come un atto vero e proprio ma come un semplice errore di calcolo, il
male c’è perché c’è l’ignoranza.
In questa epoca abbiamo anche un nuovo concetto di felicità, abbiamo il
passaggio da una realtà mitologica, arcaica ad una più razionale.
Normalmente la felicità era legata alla volontà degli dei, mentre ora il
demone non era più una cosa esterna ma era la propria coscienza, così
Socrate voleva far intendere che se c’era un dio quello era all’interno di ogni
persona. Egli voleva far capire che l’artefice di ogni persona è la persone
stessa e che se c’è un dio a cui si debba credere è la ragione.
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