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convincere adonare

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convincere adonare
TRAPIANTI E INFORMAZIONE
CONVINCERE
ADONARE
di GIUSEPPE REMUZZI
S
tefano (non è il
suo vero nome) nasce già malato,
una malattia rara
che colpisce vari organi,
anche il cervello. A un certo punto serve la dialisi,
Stefano ha appena dieci
anni. Chi non ha mai visto un bambino in dialisi
non può nemmeno immaginare quanto si stia male. E per Stefano malato
di mente è anche peggio.
Urla tutto il tempo, gli infermieri non sanno più a
che santo votarsi. I genitori sempre lì, provano a distrarlo ma non ci riescono quasi mai. «Se almeno
si potesse sperare in un
trapianto...». La mamma
un giorno trova il coraggio di parlarne a un medico. Quello allarga le braccia: «Signora, con i pochi
reni che ci sono... Uno come Stefano non lo trapianteranno mai, non si
faccia illusioni». La mamma gira diversi ospedali,
la domanda è sempre la
stessa. Arriva a Bergamo,
alla fine il trapianto si fa.
Stefano va a scuola adesso, una scuola speciale,
rintanato in un angolo, a
lui basta vedere gli altri
che giocano. Adesso può,
e per lui e per i genitori è
cambiato tutto. Ed è cambiato tutto anche per due
giovani donne che in questi giorni lasceranno il nostro ospedale dopo aver
avuto un trapianto di fegato e che se no sarebbero
morte. Con loro in questi
giorni lascerà l'ospedale
un uomo non più giovane dopo un trapianto di
pancreas e rene. Da qualche giorno non ha più bisogno di insulina e nemmeno di dialisi.
Purtroppo ancora oggi
in Italia il trapianto è per
pochi, solo uno su cinque
di quelli che potrebbero
tornare ad una vita normale con un trapianto di
fatto ci arriva. Non abbia-
mo abbastanza donatori.
In Lombardia i donatori
sono 26 per milione di
abitanti, meglio di qualche anno fa, ma siamo ancora lontani dal Friuli e
dal Trentino che ne hanno quasi 40. La legge non
c'entra. La Toscana che fa
più trapianti della Spagna
ha la stessa legge dell'Umbria, dell'Abruzzo, della
Calabria, dove di trapianti se ne fanno più o meno
come in Turchia. Perché?
Un po' perché gli ospedali in Italia non sono organizzati tutti allo stesso
modo, e poi perché ci sono ancora remore a lasciare i propri organi dopo la
morte. Insomma, c'è ancora chi dice no. Di «no»
non ce ne dovrebbero essere, nemmeno uno. Per
ogni «no» due ammalati
restano in dialisi, un grave cardiopatico muore, e
se da quel cadavere si poteva prelevare il fegato,
un adulto e un bambino
perdono forse per sempre la possibilità di tornare a vivere. Molto dipende da noi medici. Cosa si
può fare? Convincere la
gente che lasciare i nostri
organi — quando a noi
non servono più — a chi
ne ha bisogno per vivere
è un dovere come assistere gli anziani e vaccinare i
bambini. Si tratta di saperlo spiegare con garbo
e sensibilità. «Perché portarsi gli organi in paradiso? Il paradiso sa che ne
abbiamo bisogno qua».
C'è un dottore un po'
speciale, a Bergamo, per
anni è stato lui a parlare
con i parenti. È uno di
quelli che vivono per
l'ospedale e che seguono
gli ammalati con passione, dedizione e competenza. Non qualche volta,
ma sempre. E i parenti se
ne accorgono. A lui nessuno ha mai detto di no,
nemmeno una volta.
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